Una brutta campagna elettorale era
immaginabile, non così brutta. Teatrino e cialtronerie, cinismo e
avanspettacolo, apprendisti stregoni e sepolcri imbiancati fino
all'immancabile spettacolo dei duecento simboli, affastellati l'uno
sull'altro a esibire narcisismi da basso impero. In tutto questo
squittire, le idee per uscire dalla situazione indecente in cui la crisi
globale e venti anni di politiche fallimentare hanno cacciato questo
paese sono per lo meno ridicole.
Silvio Berlusconi, naturalmente, non deve fare altro che seminare illusioni e diversivi, tornando sul refrain della riduzione delle tasse, sperando che qualcuno abbocchi all'amo. Quel qualcuno ci sarà, inutile illudersi sul rinsavimento di un paese stordito, ma non sarà gran cosa. E il protagonista delle macchiette in tv lo sa, tanto che gioca a fare il burattino, la nuova maschera italiana, il pagliaccio di regime per far dimenticare lo scannatoio di cui è stato protagonista. Una scena infima, degna della peggior commedia dell'arte, anzi di quel cinepanettone indigesto che prima o poi un Berlusconi qualunque lo ospiterà al suo interno (e non a caso, nella performance televisiva da Santoro si è fatto accompagnare da "cipollino" Massimo Boldi).
Ma se Berlusconi ha successo, se torna in campo e si fa notare è perché quelli che pretendevamo di averlo affossato non solo non ne sono stati capaci (anzi gli hanno permesso di tornare) ma hanno da farsi perdonare quanto e più di lui. In primis Monti che gioca a fare il politico della Prima Repubblica, baloccandosi con soldatini-candidati disposti sul tavolo da gioco, dandosi arie da statista e comportandosi come un Forlani qualunque. Doveva essere lo statista del secolo ma il secolo si è dimostrato ancor più breve di quello precedente e il nostro uomo rischia di scendere al livello di Mastella e Pomicino che, al confronto, risultano almeno più simpatici.
Poi c'è Bersani con l'alleato Vendola, che fanno finta di fare una campagna elettorale normale. Il primo dimenticando che di Monti è stato l'alleato più fedele e che se oggi pensioni, lavoro e tasse tormentano gli italiani, il "merito" è anche del Pd che quelle misure le ha voluto fortemente. Il secondo facendo finta di non sapere che il suo alleato è l'alleato di Monti e proponendo quel braccio di ferro con i centristi che ci ha già propinato, prima di lui, il suo predecessore alla guida della sinistra alternativa.
Di Beppe Grillo non c'è poi molto da dire perché riesce a dire tutto lui. Si propone come un rompighiaccio della politica, riesce a stupire e a scardinare e poi si avviluppa dentro beghe di partito tra scomuniche ed espulsioni. Aveva attraversato lo Stretto a nuoto, facendoci divertire ed è finito a litigare con i presunti Laqualunque, fino a nutrire la voglia di apparire dei neo-fascisti nostrani, digiuno anche di un minimo di anticorpi democratici.
Infine, Ingroia. Le modalità di formazione delle liste - decise a un tavolo di sei o sette persone, dirigenti e segretari dei partiti che compongono l'alleanza - la dice lunga sull'efficacia di una proposta che, probabilmente, supererà lo sbarramento del 4% (ma non bisogna fidarsi dei sondaggi che, anche nel 2008, davano la lista Arcobaleno al 7-8%) ma che un minuto dopo smetterà di esistere come tale.
Una campagna elettorale truffaldina, utile a posizionare apparati, a formarne di nuovi, a ballare sul Titanic della Crisi senza una parola chiara per uscirne. Il problema è che il convitato di pietra delle elezioni si chiama Fiscal Compact. Nessuno lo nomina, tutti sanno però che esiste. E che condizionerà le scelte future e renderà obbligate manovre finanziarie, politiche sociali, politica delle tasse. Chi dovrà governare non dice nulla. Chi è consapevole del problema e dichiara di opporsi non ha la minima forza per invertire la tendenza perché del tutto sradicato da movimenti reali e da una presa sociale sul paese reale che, imbambolato, osserva il teatrino offerto dalla campagna in Tv.
Fonte
Silvio Berlusconi, naturalmente, non deve fare altro che seminare illusioni e diversivi, tornando sul refrain della riduzione delle tasse, sperando che qualcuno abbocchi all'amo. Quel qualcuno ci sarà, inutile illudersi sul rinsavimento di un paese stordito, ma non sarà gran cosa. E il protagonista delle macchiette in tv lo sa, tanto che gioca a fare il burattino, la nuova maschera italiana, il pagliaccio di regime per far dimenticare lo scannatoio di cui è stato protagonista. Una scena infima, degna della peggior commedia dell'arte, anzi di quel cinepanettone indigesto che prima o poi un Berlusconi qualunque lo ospiterà al suo interno (e non a caso, nella performance televisiva da Santoro si è fatto accompagnare da "cipollino" Massimo Boldi).
Ma se Berlusconi ha successo, se torna in campo e si fa notare è perché quelli che pretendevamo di averlo affossato non solo non ne sono stati capaci (anzi gli hanno permesso di tornare) ma hanno da farsi perdonare quanto e più di lui. In primis Monti che gioca a fare il politico della Prima Repubblica, baloccandosi con soldatini-candidati disposti sul tavolo da gioco, dandosi arie da statista e comportandosi come un Forlani qualunque. Doveva essere lo statista del secolo ma il secolo si è dimostrato ancor più breve di quello precedente e il nostro uomo rischia di scendere al livello di Mastella e Pomicino che, al confronto, risultano almeno più simpatici.
Poi c'è Bersani con l'alleato Vendola, che fanno finta di fare una campagna elettorale normale. Il primo dimenticando che di Monti è stato l'alleato più fedele e che se oggi pensioni, lavoro e tasse tormentano gli italiani, il "merito" è anche del Pd che quelle misure le ha voluto fortemente. Il secondo facendo finta di non sapere che il suo alleato è l'alleato di Monti e proponendo quel braccio di ferro con i centristi che ci ha già propinato, prima di lui, il suo predecessore alla guida della sinistra alternativa.
Di Beppe Grillo non c'è poi molto da dire perché riesce a dire tutto lui. Si propone come un rompighiaccio della politica, riesce a stupire e a scardinare e poi si avviluppa dentro beghe di partito tra scomuniche ed espulsioni. Aveva attraversato lo Stretto a nuoto, facendoci divertire ed è finito a litigare con i presunti Laqualunque, fino a nutrire la voglia di apparire dei neo-fascisti nostrani, digiuno anche di un minimo di anticorpi democratici.
Infine, Ingroia. Le modalità di formazione delle liste - decise a un tavolo di sei o sette persone, dirigenti e segretari dei partiti che compongono l'alleanza - la dice lunga sull'efficacia di una proposta che, probabilmente, supererà lo sbarramento del 4% (ma non bisogna fidarsi dei sondaggi che, anche nel 2008, davano la lista Arcobaleno al 7-8%) ma che un minuto dopo smetterà di esistere come tale.
Una campagna elettorale truffaldina, utile a posizionare apparati, a formarne di nuovi, a ballare sul Titanic della Crisi senza una parola chiara per uscirne. Il problema è che il convitato di pietra delle elezioni si chiama Fiscal Compact. Nessuno lo nomina, tutti sanno però che esiste. E che condizionerà le scelte future e renderà obbligate manovre finanziarie, politiche sociali, politica delle tasse. Chi dovrà governare non dice nulla. Chi è consapevole del problema e dichiara di opporsi non ha la minima forza per invertire la tendenza perché del tutto sradicato da movimenti reali e da una presa sociale sul paese reale che, imbambolato, osserva il teatrino offerto dalla campagna in Tv.
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