No all’istanza di dissequestro dei prodotti finiti: la legge ‘salva Ilva’ è incostituzionale. La procura di Taranto
ha dato parere negativo alla richiesta presentata in mattinata
dall’azienda, rimettendo la decisione al giudice per le indagini
preliminari Patrizia Todisco. A meno di 24 ore dalla pubblicazione della legge 231 che il 24 dicembre ha convertito il decreto 207 del 3 dicembre 2012 e ribattezzato “salva Ilva”, gli avvocati della fabbrica del Gruppo Riva
hanno depositato nella cancelleria della procura, quale organo di
esecuzione del sequestro, una paginetta a firma del presidente Bruno Ferrante con la quale ha chiesto che venisse “data immediata esecuzione” al contenuto della legge “anche disponendo la rimozione dei sigilli dei beni” bloccati dalla Guardia di finanza il 26 novembre scorso.
“Si sottolinea – si legge ancora nella richiesta giunta in procura – la
straordinaria necessità e urgenza a che si proceda, così come
riconosciuto dagli organi costituzionali competenti in sede di
decretazione e successiva conversione del provvedimento legislativo
sopracitato”.
Il pool di magistrati che indaga i vertici Ilva per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, formato dal
procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero, Pietro Argentino e Remo Epifani,
si è attivato immediatamente. In una riunione i magistrati hanno
esaminato la richiesta a cui era allegato il testo della legge approvata
dal Senato. Una richiesta, tuttavia, era attesa da qualche settimana. I
pubblici ministeri hanno così preparato una documentazione in cui hanno
espresso i dubbi riguardo alla legittimità della legge rispetto alla
Costituzione. Dubbi, del resto, che i pm avevano anticipato nel
conflitto di attribuzione contro il decreto inviato alla Consulta lo
scorso 20 dicembre affermando che “le
disposizioni in esame si pongono in termini di assoluta
incompatibilità con gli art. 101, 102, 103, 104, 111, 113 e 117”.
La
palla, quindi, passa nelle mani del giudice Patrizia Todisco che dovrà
valutare se i rilievi della procura sono fondati o meno. Qualora il gip
dovesse ritenere “manifestamente infondata” la questione – ritenendo
quindi la norma legislativa conforme alla carta costituzionale –
potrebbe decidere di restituire i beni all’azienda: 1 milione e 700 mila tonnellate di acciaio del valore, secondo l’Ilva, di circa 1 miliardo di euro.
Diversamente, se il giudice Todisco dovesse ritenere valide le
eccezioni sollevate dalla procura, dovrebbe inviare gli atti alla Corte costituzionale
e sospendere il giudizio – lasciando quindi i prodotti sotto sequestro –
fino alla decisione dei giudici delle leggi sulla legittimità
Costituzionale. In quel caso l’ultima parola spetterebbe proprio alla
Corte Costituzionale.
Nei giorni scorsi la procura ha già inviato
alla Consulta un ricorso per il conflitto di attribuzione generato dal
decreto “salva Ilva”. Una procedura diversa rispetto a quella innescata
oggi sulla legittimità costituzionale delle legge. Con il conflitto di
attribuzione, infatti, si stabilisce a chi appartiene il potere di
intervenire in una determinata vicenda. Nel caso Ilva, ad esempio, la
procura ha contestato con il conflitto di attribuzione “il grave
‘vulnus’ operato dal Decreto ai principi di obbligatorietà
dell’azione (art. 112 Cost.) e di indipendenza del pm (art. 107 Cost.)”
spiegando che “Il decreto legge impugnato, oltre ad annullare
l’efficacia del provvedimento cautelare adottato dal gip per evitare
l’aggravamento e la commissione di altri reati, ha anche legittimato,
mediante la prosecuzione dell’attività produttiva per un periodo di
tempo determinato, la sicura commissione, per quanto sopra detto in
ordine alle caratteristiche degli impianti, di ulteriori fatti
integranti i medesimi reati per cui è procedimento”.
Non solo. Per
i pm “tali fatti, per detto periodo, non potranno essere perseguiti, né
potranno essere addebitati ai loro autori” e pertanto il magistrato
inquirente non potrà nel “formulare le imputazioni, andare oltre, con
riferimento alla data del commesso reato, a quella coincidente con
l’entrata in vigore del decreto legge in esame”. Nei prossimi giorni la
Corte costituzionale dovrà fissare la data della camera di consiglio per
valutare l’ammissibilità del ricorso contro il decreto. La procura,
intanto, sarebbe già al lavoro per depositare un secondo ricorso per il
conflitto di attribuzione questa volta sulla legge di conversione.
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