Il giorno dopo la sua morte, i media si sono esercitati nel loro macabro
rituale. Abbiamo intervistato Francesco Piccioni, che con Prospero ha
condiviso buona parte della vita militante.
Prospero non c'è più. Ti aspettavi questa reazione dei media?
Tutto sommato sì, anche se c'è sempre una qualcosa di più, di infame, che riesce a sorprendere.
A cosa ti riferisci?
Tutti
i giornali e tutti i tg – sia di destra che di centrosinistra - hanno
dato sostanzialmente lo stesso servizio, centrato su una frase semplice e
ripetuta ossessivamente: “se n'è andato con i suoi segreti”. Nessuno ha
provato a chiedersi come mai un uomo con la sua storia, della sua età e
con tre infarti sul cuore, se ne stesse andando come tutte le mattine a
lavorare, per uno stipendiuccio da precario o quasi, uscendo da una
casa popolare. Chi detiene segreti importanti o muore presto o viene
ricoperto d'oro, non fa una vita così, no? Ma l'informazione, in Italia,
è diventata un semplice copia-e-incolla della “verità” delle agenzie
stampa...
È il frutto della “dietrologia”...
Sì, ma
con una differenza importante rispetto a 20 o 40 anni fa. Allora la
dietrologia era sostanzialmente “di sinistra”. Nel senso che i
dietrologi militanti (Flamigni, i fratelli Cipriani, ecc) venivano dal
Pci e lavoravano per i suoi giornali. Era una dietrologia orientata
dalla teoria di comodo del “doppio stato” (uno fedele alle istituzioni,
uno agli ordini di “forze oscure”), ma che era nata dentro uno scontro
politico e ideologico a far data dal '68: chi era “veramente” comunista?
Il Pci che guardava al compromesso con le altre “grandi famiglie” della
politica italiana (Dc e Psi), oppure i soggetti che guardavano alla
Rivoluzione come un obiettivo possibile? Persino “il manifesto”, a quei
tempi, venne accusato di esser “pagato dalla reazione”. La dietrologia
di oggi è invece un discorso vago, che parla di “misteri” senza nemmeno
più nominare gli episodi che in una mente malata o in malafede
potrebbero sembrare tali.
Un cambiamento, certo; ma cosa significa?
È
come se si fosse raggiunto un certo accordo, per cui è conveniente
lasciare la storia di questo paese avvolta nella nebbia anche quando la
nebbia non c'è. Del resto, ad un certo punto, per iniziativa di Fragalà e
qualcun altro era nata persino una dietrologia di destra, che puntava
ovviamente e cercare nella lotta armata le “responsabilità” segrete del
Kgb, così come fino a quel punto quella "di sinistra" le aveva cercate
nella Cia o nei "servizi deviati". Ora hanno fatto pace e quindi la
versione ufficiale diventa: ci sono dei misteri, non si può risolverli,
ma va bene così. Ma è un accordo politico che guarda soprattutto al
futuro, più che al passato.
In che senso?
C'è un
bisogno disperato di dire che nulla è possibile al di fuori del campo
politico disegnato dagli attuali rapporti di forza, che è inutile
opporsi, organizzarsi, lottare, progettare futuro. La figura di Prospero
rompe decisamente questo schema paralizzante: un contadino comunista
che insieme a operai e studenti arriva a “colpire il cuore dello stato”,
catturando il principale protagonista del potere dell'epoca. Al di là
delle forme storiche, è la prova empirica che l'organizzazione degli
sfruttati può raggiungere risultati impensabili. Una constatazione del
genere, già da sola, rappresenta una minaccia per la continuità del
potere. Specie in tempi di crisi. Quindi bisogna, come direbbe Monti,
“silenziarla”. E nulla più della nebbia dei “misteri” può tornare utile
allo scopo. Il "mistero" serve a ricacciare tutti nella frustrazione,
ognuno racchiuso nella propria individuale impotenza.
Per quale ragione?
Perché
un “mistero” è il rovesciamento dell'onere della prova! Non serve più
che l'accusatore debba esibire le prove della sua accusa, è sufficiente
mettere l'accusato nella posizione di chi deve “soddisfare” le attese
dell'accusatore. E naturalmente starà sempre all'accusatore di decidere
se “credere” oppure no. Basta guardare l'Unità di oggi, che
ripubblica una pseudo-intervista (in realtà una chiacchierata informale
con un gruppo di brigatisti prigionieri) fatta a Prospero da Veltroni
nel '93. Con “Uòlter” impegnatissimo a ripetere che “non basta” mai
esibire le proprie verità, neppure condite da prove; che insomma
bisognerebbe ammettere di "esser stati manovrati".
Tu hai scritto spesso che la “dietrologia” è anche una questione di interessi economici...
Beh,
basti pensare che c'è stata una commissione di inchiesta parlamentare
aperta continuativamente per 18 anni. I “consulenti” - come i fratelli
Cipriani ed altri – hanno avuto compensi favolosi per tutto il periodo.
Figuriamoci se qualcuno di loro poteva accettare di arrivare
all'accertamento della verità, di mettere un punto finale... Solo
l'archivista della Comissione, Vladimiro Satta, l'unico che sie era
letto il milione e mezzo di pagine degli atti, alla fine ci ha scritto
un libro definitivo ("Odissea nel caso Moro") distruggendo tutti i
cosiddetti "misteri" uno per uno. A momenti lo accusano di essere un
brigatista! Finché c'è mistero, c'è un prodotto da vendere, libri da
fare, film da girare, pseudo-inchieste giornalistiche che ti riportano
sempre al punto di partenza, così magari tra due anni se ne fa un'altra
uguale... Su questa strada sono state costruite fortune politiche,
giornalistiche, editoriali, con tanto di poltrone parlamentari e
contratti d'oro. Un'industria che poi ha chiuso bottega per manifesta
insussistenza dell'oggetto, ma che ha distribuito a lungo dei bei
dividendi.
C'è un dato di fatto che può smontare tutta la dietrologia?
Premetto
che in queste cose, stabilito un punto, si può sempre ricominciare da
capo a inventarne altre. Però, se uno conosce la letteratura
dietrologica, tutto si riduce a un solo punto e una sola persona: “Mario
Moretti non ce la conta giusta”. Basta guardare alla situazione di
fatto. Dei brigatisti storici e di tutti gli uomini e donne di via Fani,
soltanto uno è ancora in carcere, e da 32 anni: Mario Moretti. Un
osservatore neutro ne trarrebbe una sola conclusione: Mario ha sempre
detto la verità e sta pagando di persona per essere stato a capo
dell'organizzazione che ha “messo paura” al potere in Italia. Del resto,
al governo di questo paese ci sono stati piduisti ed ex comunisti,
democristiani “tecnici” e ora persino il capo europeo della Trilateral. E
Mario è sempre rimasto dentro, da semilibero, con una lavoro che rende
poco e che si deve continuamente inventare. Vale quel che ho detto prima
per Prospero: che detiene segreti “decisivi” o muore presto e viene
coperto d'oro. Altrimenti, è uno che ha sempre raccontato la verità. Che
poi questa sia sgradita, è cosa che pone domande sugli accusatori, non
sull'accusato.
Torniamo a Prospero, per concludere. Di tutti i ricordi pubblicati oggi, ce n'è qualcuno un po' meno falso della media?
Diciamo che soltanto uno è completamente onesto e veritiero, quello di Giovanni Russo Spena, sul manifesto di
oggi. Per il resto, è la sagra del fasullo, con abissi di ignominia
toccati ad esempio da Ferdinando Imposimato. E con l'eccezione
illuminante di Severino Santiapichi, il presidente della Corte d'Assise
che ci condannò in 32 all'ergastolo, all'inizio dell'83. Il quale riconosce la serietà e la correttezza dell'atteggiamento nostro e di
Prospero. Sembra insomma che soltanto tra nemici veri, che si sono
combattuti sul serio, come fu anche con Francesco Cossiga, si possa
stabilire quel riconoscimento della verità che è la base su cui si può
istituire un qualsiasi confronto. Coi leccaculi che vivono dietro una
scrivania, invece, non è proprio possibile. E' come parlare di montagna
con chi l'ha vista in fotografia...
Qual'è stata la sua importanza, nella vostra storia?
È
stato il militante che dava l'esempio, senza alcuna preoccupazione
individualistica. Un esempio per come – da contadino orgoglioso delle
proprie origini – ha “studiato di notte”, rubando ore al riposo dopo il
lavoro, per migliorare la propria conoscenza. Per come ha interpretato
la dimensione del “collettivo”, del fare insieme, dell'assumere ruoli di
direzione soltanto perché “qualcuno deve pur farlo”, mantenendo sempre
quel distacco autocritico che consiste nel non darsi individualmente
troppa importanza. È qualcosa che oggi appare difficile persino da
raccontare, figuriamoci a spiegarlo. Ma chiunque abbia “militato”
davvero in un'organizzazione rivoluzionaria, dove si rischia la vita e
non c'è una poltrona (e uno stipendio) da conquistare, sa che la
posizione di vertice è un ruolo funzionale; che il “dirigere” è
un'attività complessa che viene fuori come risultante dall'insieme dei
militanti. Anche nelle ultime interviste appare evidente questo lato
della sua cultura umana e politica. E' il suo contributo alla politica
comunista anche dopo la sua morte, che sapeva poter arrivare in
qualsiasi momento.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento