Erano le prime ore della mattinata quando al 118 di Reggio Emilia è
arrivata una richiesta di soccorso per un uomo che si sentiva male
dentro la sua auto. Quando i paramedici sono arrivati, hanno caricato il
paziente sull’ambulanza e lo hanno trasportato d’urgenza all’ospedale,
ma l’uomo è morto appena dopo. A quel punto si è scoperto che si
trattava di Prospero Gallinari, 62 anni compiuti lo scorso 1 gennaio.
L’ex brigatista rosso nato a Reggio Emilia nel 1951, alla fine del 1969 aveva aderito con Alberto Franceschini, Tonino Paroli
e altri militanti al “gruppo dell’appartamento” dopo un passato
iniziato quando aveva 14 anni nella Fgci, la Federazione giovanile
comunista italiana. Deluso dalle posizioni del Pci, alla fine dell’anno
che si era concluso con la strage di piazza Fontana aveva partecipato a
Chiavari ai lavori costitutivi del Collettivo politico metropolitano (Cpm) e aveva iniziato il percorso che lo avrebbe condotto alla clandestinità e alla lotta armata.
In un primo momento, simpatizza con le idee di Corrado Simioni.
Sono gli anni che precedono il 1972 e non si può parlare in quel
periodo di militanza nelle Brigate Rosse. Si può invece parlare di
un’idea di “superclandestinità”
che tuttavia Gallinari non riesce a comprendere fino in fondo.
All’inizio rimane in un appartamento di Porto Marghera in attesa
dell’azione, ma quando si rende conto che quell’azione non giungerà mai,
torna a Reggio e di qui parte poi per Milano.
Lui,
operaio, nei primissimi anni Settanta partecipa alle vertenze della
Magneti Marelli e il primo arresto risale al 30 ottobre 1974 a cui ne
seguirà un secondo con relativa evasione. In occasione del primo arresto
Si trova a Torino insieme a un altri brigatista, Alfredo Bonavita, e due anni più tardi sarà processato per due sequestri di persona. Il primo è quello di Bruno Labate,
segretario provinciale della Cisnal, catturato il 12 settembre 1973 in
via Baiamonti, sempre nel capoluogo piemontese. Il secondo rapimento è
quello del magistrato genovese Mario Sossi e risale al 23 maggio 1974.
L’evasione
avviene invece nel 1977, quando Gallinari si trova rinchiuso nel
carcere di Treviso e da qui raggiunge Roma, dove si riunisce alla colonna romana delle Brigate Rosse. È l’uomo che, nei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro,
non uscirà mai dalla “prigione del popolo” dove viene segretato il
presidente della Democrazia Cristiana. Partecipa a ciascuna delle fasi
di questo evento: dal rapimento in via Fani, il 16 marzo 1978, quando la
scorta dello statista scudocrociato è sterminata dal commando
brigatista, fino all’omicidio, il 9 maggio dello stesso anno, per il
quale Gallinari sarà a lungo indicato come esecutore materiale. A
discolparlo, nel 1993, è Mario Moretti, che nel libro intervista scritto con Rossana Rossanda e Carla Mosca si attribuisce la paternità del delitto.
Dopo
il sequestro Moro, in carcere Prospero Gallinari tornerà l’anno
successivo, il 24 settembre 1979, arrestato a Roma, e in suo possesso
sono rinvenuti i documenti per l’evasione dalla prigione speciale
dell’Asinara dei detenuti che si erano dichiarati prigionieri politici.
Accusato nel 1982 dal pentito Antonio Savasta di essere stato con Anna Laura Braghetti
tra i carcerieri di Moro, il 21 aprile 1987 si scopre un altro progetto
di evasione, questa volta dall’istituto penitenziario di Rebibbia. Nel
1987 Renato Curcio, Mario Moretti, Maurizio Iannelli e Pietro Bertolazzi scrivono al Manifesto
una lettera per dichiarare chiusa l’esperienza della lotta armata e
nell’ottobre 1988 Gallinari sottoscrive un documento in cui si dichiara
che la “guerra è finita” e viene lanciata la proposta dell’amnistia per i
prigionieri politici.
Sofferente per disturbi cardiaci fin
dall’inizio degli anni Novanta e per questo sottoposto a interventi
chirurgici, il suo legale avanza la prima richiesta di scarcerazione
(richiesta respinta). Nel 1994 subisce un ricovero per un’ischemia cerebrale
e nel marzo di quell’anno, per le festività pasquali, sempre per
ragioni di salute, gli vengono concessi i primi 5 giorni di permesso,
che trascorre a Reggio Emilia con la madre. Nel 1996, mentre proseguono i
processi, la sua pena sarà sospesa e tornerà definitivamente nella città emiliana, dove è morto.
Fonte
La morte di Gallinari ha risvegliato il mio interesse nei confronti degli anni di piombo e della storia delle BR in particolare.
Nulla di trascendentale ovviamente, dal momento che sono quasi completamente privo degli strumenti per analizzare il fenomeno con un occhio differente da quello impostato dai vari autori degli scritti che mi capitano sotto mano.
Nonostante questo, però, rimango abbastanza spiazzato dall'alone di misticismo dietrologico con cui molte testate e buona parte dei lettori interessati all'argomento, dipingono le BR e in particolare il sequestro di Aldo Moro.
Mi riferisco ad articoli come questo o a commenti come quelli che seguono:
La saggezza degli antichi, per individuare l'autore un delitto suggeriva
di capire "cui prodest", ovvero il delitto "a chi giova? " I
"benficiari" della morte di Moro sono stati in primo luogo coloro che
non volevano il cosiddetto "compromesso storico" ovvero una intesa Dc-
Pci, ipotesi che, in contrasto con i patti di Yalta, di fatto avrebbe
comportato l'allentamento dalla tutela americana sul nostro paese. Poi
le compagnie petrolifere americane, uno stato nello stato, che, per un
fatto di concorrenza, non gradivano i buoni rapporti dell'Italia con il
mondo Arabo, ed anche la finanza internazionale che anch'essa non poteva
accettare politiche monetarie troppo autonome da parte di paesi come il
nostro. A guardare bene si nota una certa "rassomiglianza" dei poteri
di cui sopra, con quelli che ora sostengono Monti. Se poi pensiamo che,
con la seconda repubblica, nata dalla distruzione "manu miltari" della
prima, la nostra sovranità che era già limitata, si è ulteriormente
ridotta, il quadro si fa ancora più chiaro. Quanto alle Br, bisogna
distinguere fra quelle di Curcio che combattevano per una idea e quelle
di Moretti, sospettato dagli stessi brigatisti di essere al servizio
della Cia e del Mossad. Si potrebbe dunque pensare che Monti ha finito, a
sua insaputa, con l'essere uno dei beneficiari finali della svolta
"morettiana" delle Br che portò al sequestro ed alla uccisione dell'on.
Aldo Moro, uomo che mai avrebbe accettato di svendere la sovranità
nazionale a chicchessia, tantomeno a quel potere finanziario cui è stata
consegnata dai suoi miserrimi successori. A mio parere potrebbe essere
proprio questa la vera ragione per la quale Moro "doveva" morire. Da
uomo intelligente qual era, una volta liberato, avrebbe certamente
svelato quale era la vera natura del complotto e la storia d'Italia
sarebbe cambiata, in meglio, ovviamente.
Si sarebbe saputo di Gladio .....un bel casino se la cosa fosse
trapelata nel '78 anziche' nel '90 per stessa ammissione di Andreotti. Le
BR avevano letto le carte di Moro,di sicuro sapevano di avere in mano
una" bomba",dato che Moro si era reso conto che gli "amici" del suo
stesso partito l'avevano gia' abbandonato a morte certa,lamentandosi
anche del Papa "che ha fatto pochino".......di sicuro aveva qualche
sassolino nelle scarpe da togliere prima di attendere la fine.Di sicuro
anche Dalla Chiesa le lesse e guarda caso fu poi rimosso
(promosso)dall'antiterrorismo e messo all'antimafia a Palermo dove fini'
come ben sappiamo.Anche Pecorelli ne sapeva abbastanza per finire
ucciso da elementi della banda della Magliana.....le Br avevano grandi
rivelazioni da rendere pubbliche "al popolo"ma guarda caso,tutto
spari'!!!Morto Moro,venne poi Ustica(giugno '80),la bomba alla stazione
di Bologna(agosto '80) e la P2 la ebbe vinta e governa tutt'oggi!!
che sostanzialmente si basano sulla teoria che distingue tra le BR "autentiche" di Renato Curcio e quelle "pilotate" o "nere" di Mario Moretti definito in alcune occasioni come il più grande agente provocatore della storia della nostra Repubblica.
A questo proposito, ammetto che la tesi dei servizi segreti deviati che al soldo americano hanno corroborato le stratificazioni sociali italiane per garantire la tenuta del blocco occidentale nei confronti della minaccia sovietica, ha indubbiamente fascino e in certe pieghe della strategia della tensione trova anche riscontro (a partire dal caso Mattei proseguendo per lo stragismo di Stato che, organizzativamente parlando, non è stato mai smantellato come invece successo con l'eversione di sinistra), tuttavia trovo forzato l'inserimento di Moretti in questo filone per un semplice motivo: non si trova ragione razionale che possa spingere un qualsivoglia personaggio a divenire un infiltrato di tale livello operativo che finisce sacrificato con 6 ergastoli sul groppone. Sì potrebbe obiettare che in fondo Moretti è stato in carcere "solo" 13 anni e dal 1994 è in regime di semilibertà. A me personalmente verrebbe da rispondere con un laconico sti gran cazzi, perchè sì tratta di una contropartita veramente scarna per uno che tanto ha (avrebbe, dovrebbe, vedete voi...) dato alla causa del destabilizzare per stabilizzare.
Ovviamente ci sarebbero tante altre cose da scrivere, ma preferisco chiudere con una citazione presa da qui che ho sentito molto mia:
A chi cercava di guadagnarsi una paga con la dietrologia (i costruttori
di "misteri", in genere provenienti proprio dall'ex Pci, ma non solo), e
faceva finta di interrogarsi su come avesse potuto un'organizzazione
così durare per tanto tempo, un giorno rispose: «Eravamo clandestini per
lo Stato, non per le masse. Vi piaccia o non vi piaccia era così
l’Italia di quegli anni, altrimenti un’organizzazione come la nostra non
avrebbe potuto restare in piedi per tanto tempo».
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