La Nord Corea: via libera all’attacco atomico agli Usa
Maurizio Molinari
Kim Jong-un dà l’ordine ai comandi militari di lanciare un attacco nucleare «senza pietà» contro gli Stati Uniti. E il Pentagono dispiega sull’isola di Guam, nel Pacifico, il più avanzato sistema antimissile in suo possesso al fine di proteggere la base militare considerata la più esposta alla minaccia.
L’escalation di mosse militari in Estremo Oriente vede il regime comunista di Pyongyang protagonista su un duplice fronte: la Sud Corea e gli Stati Uniti. Al mattino di ieri, ora di Seul, i militari della Nord Corea hanno impedito a 480 operai sudcoreani l’accesso al complesso industriale di Kaesong, costruito sul confine del 38° parallelo per testimoniare la volontà di cooperazione economica fra i due Paesi. Il passo è stato interpretato da Seul e da Washington come la conferma che Kim Jong-un vuole imporre lo «stato di guerra» nella Penisola, ponendo le premesse per un conflitto militare. Per il Segretario di Stato John Kerry si tratta di «un’aperta provocazione» e il generale James Thurman, comandante dei 28.500 soldati americani dispiegati in Sud Corea, parla di «situazione precaria e pericolosa» come «nessuno qui ricorda» dalla fine delle ostilità nel 1953, al punto da «poter degenerare in attività belliche in qualsiasi momento».
Il dispiegamento lungo i confini settentrionali della Nord Corea di un crescente numero di reparti militari cinesi lascia intendere che Pechino è consapevole dei rischi legati a un attacco della Nord Corea contro il Sud. «Abbiamo il diritto di proteggerci e non ci faremo intimidire dai nordcoreani» avverte Thurman, protagonista di una raffica di incontri con i comandi sudcoreani, ai quali il governo di Seul ha ordinato di prepararsi a «rispondere in maniera massiccia ad eventuali provocazioni di Pyongyang».
Ma Kim Jong-un minaccia anche il territorio degli Stati Uniti. È l’agenzia «France Press» a far sapere che il giovane dittatore di Pyongyang ha dato ordine alle forze armate di «lanciare un attacco nucleare contro gli Stati Uniti». «Il momento dell’esplosione si sta avvicinando, informiamo formalmente la Casa Bianca e gli Stati Uniti che i preparativi per lanciare un attacco senza pietà sono stati ultimati dalle forze armate» recita il comunicato diffuso dal regime di Pyongyang.
La reazione della Casa Bianca arriva con l’annuncio del Pentagono del posizionamento sull’isola di Guam, nel Pacifico, di una batteria antimissile «Thaad» (Terminal High-Altitude Area Defense) capace di intercettare vettori intercontinentali. Gli Usa possiedono solo due «Thaad»: sono a Ft Bliss in Texas, costano ognuna 800 milioni di dollari e ogni missile intercettore sparato costa 1 milione di dollari. Gli esperti militari americani considerano il «Thaad» assai più efficiente dei Patriot e del sistema Aegis, basato su navi, al punto da averne pianificato l’invio a protezione di Israele in caso di conflitto con l’Iran.
Il Pentagono si affretta a precisare che «la credibilità della minaccia nordcoreana non è provata» ma la scelta di dispiegare il «Thaad» a difesa della più vasta base militare nel Pacifico lascia intendere la volontà di non esporsi ad alcun rischio. «Stiamo adottando tutte le precauzioni necessarie - spiega il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney - tenendo presente le provocazioni nordcoreane che continuano ad accrescere l’isolamento del regime dalla comunità internazionale».
Un quadro assai preoccupante, come mai lo era stato in tutti questi anni. Aggravato dalle ultime novità. Secondo quanto raccontano le agenzie di stampa internazionali infatti, “(...) la Corea del Nord ha spostato sulla sua costa orientale quello che allo spionaggio occidentale appare essere un missile a gittata intermedia Musudan. Davanti a una commissione parlamentare, il ministro della Difesa sudcoreano, Kim Kwan-jin, ha escluso che si tratti di un missile a lungo raggio. Il Musudan fu presentato per la prima volta in una parata militare nell'ottobre 2010 e si ritiene che abbia la capacità di coprire circa 3mila chilometri, ovunque dunque in Corea del Sud o in Giappone, ma non le basi militari a Guam. Citando fonti d'intelligence, l'agenzia Yonhap ha aggiunto che Pyongyang potrebbe dare una prova di forza il 15 aprile, anniversario della nascita del leader della dinastia, Kim Il Sung. Intanto, mentre dalle immagini via satellite sembra essere ripresa l'attività nel reattore nucleare di Yongbyon, il regime ha bloccato per il secondo giorno consecutivo ai lavoratori sudcoreani l'accesso al complesso industriale di Kaesong (...)” (tratto da un lancio dell’AGI).
Ma siamo davvero sull’orlo di una guerra nucleare? A guardare i più importanti e influenti quotidiani internazionali non sembra proprio. E neanche a leggere il Washington Post e il New York Times, cioè i più diffusi quotidiani degli Stati Uniti – il paese contro il quale sono dirette le minacce atomiche di Pyongyang – si direbbe che dall’altra parte dell’oceano la situazione sia considerata così grave come viene raccontata. Su quei quotidiani la notizia sulla crisi coreana è riportata senza particolare enfasi dopo altre notizie di economia e politica, mentre su quelli francesi spesso non è neanche sulle homepage o se c’è non ha certo una grande importanza.
Possibile che la stampa dei due principali paesi della Nato prendano ‘sotto gamba’ una crisi che può degenerare, per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in un conflitto nucleare? E che potrebbe coinvolgere direttamente paesi non certo trascurabili come Corea del Sud, Giappone e Stati Uniti, senza contare l’inevitabile coinvolgimento – diretto o indiretto – di enormi potenze come Cina e Russia?
Non abbiamo informazioni dirette, e quindi non abbiamo certezze in merito. Quello che sappiamo è che tutti gli anni, in questo periodo, Stati Uniti e Corea del Sud mobilitano ingenti quantità di militari – alcune centinaia di migliaia – e di mezzi sofisticati e con enormi capacità offensive per realizzare esercitazioni congiunte ad un passo dai confini dell’odiata Repubblica Popolare Democratica di Corea. Nei confronti della quale negli ultimi anni le provocazioni militari e l’assedio internazionale sotto forma di sanzioni aumentano sempre più di intensità. Sappiamo anche che ad ogni provocazione il governo di Pyongyang risponde per le rime. Conscio che se mostrasse “debolezza” potrebbe convincere gli ambienti più reazionari e imperialisti dell’amministrazione di Washington che sia arrivato il momento di scatenare un’offensiva militare che forse solo il fatto che la Nord Corea detiene una qualche forma, per ora imperfetta, di armamento nucleare, le ha finora evitato. Altrimenti, a detta di molti analisti, Pyongyang sarebbe stata bombardata, invasa e occupata come è già successo con Iraq, Afghanistan e Libia, ‘stati canaglia’ assai meno problematici dal punto di vista militare.
I bellicosi comunicati del governo e dei comandi militari della Corea del Nord, quindi, vanno valutati all’interno di questo contesto di guerra permanente, che da decenni – da quando nel 1953 è stato sospeso il conflitto guerreggiato – vive alti e bassi. Ammesso che ciò che riporta la stampa italiana e internazionale sia esattamente quanto annunciato dai leader nordcoreani – e a leggere bene i lanci dell’agenzia statale KCNA non sembra – il linguaggio guerresco e altisonante va sfrondato e ridotto all’essenziale. La minaccia di utilizzare tutte le armi a disposizione del paese per difendersi da un assedio che sta diventando insopportabile e intollerabile, quale che sia il paese che lo subisce.
Questo non vuol dire che alle minacce e alla retorica bellicista di Pyongyang non corrispondano atti concreti preoccupanti. Anche perché sull’altro fronte – e sfugge ai più – Stati Uniti e Corea del Sud hanno avviato un processo di militarizzazione del quadrante che fa impressione. E che potrebbe far scoccare una scintilla che potrebbe tramutarsi in un vasto incendio, visto il livello di tensione esasperato ormai raggiunto, al di la delle intenzioni dei contendenti.
Ma a leggere alcune delle ultime notizie sembra che le minacce da parte della Corea del Nord stiano funzionando, almeno per ora, come deterrente nei confronti delle intenzioni di Washington. Che nelle ultime ore starebbe “moderando – almeno così scrivono alcuni media – il loro atteggiamento aggressivo, per timore che possa innescare, involontariamente, una crisi ancora più profonda”.
Dice un lancio di agenzia: “Stando a quanto riferito da fonti ufficiali al Wall Street Journal, Washington ha ordinato di sospendere l'applicazione del piano approvato all'inizio dell'anno dal Presidente Barack Obama, denominato 'playbook', temendo che Pyongyang, con un ridotto arsenale nucleare e un leader imprevedibile, possa sentirsi provocato più di quanto sia nelle sue intenzioni. "Il timore è di rafforzare le prospettive di incomprensioni da parte dei nordcoreani - ha detto una fonte dell'amministrazione - e che questo possa portare a giudizi sbagliati". Le fonti interpellate dal Wsj hanno fatto sapere che gli Stati Uniti non credono che la Corea del Nord voglia lanciare azioni militari in risposta alle esercitazioni congiunte con Seoul, in cui Washington ha applicato il suo piano, dando prova della sua forza militare, con il dispiegamento dei bombardieri B52 e B2 e dei caccia F22. Tuttavia, Washington teme che Pyongyang possa fare qualcosa di avventato”.
In poche righe, ecco smentiti alcuni dei principali argomenti di propaganda utilizzati da sempre da Washington per giustificare le pressioni diplomatiche e militari contro la Corea del Nord...
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