Né bravi né fortunati. La7 non ha mai avuto proprietari che abbiano saputo trasformarla nel terzo polo televisivo per fare realmente concorrenza a Rai e Mediaset.
E adesso rischia anche lo smantellamento di parte del palinsesto perché
costa troppo per un canale tv che, solo a fine 2012, ha perso 120 milioni di euro e negli ultimi dieci anni ha accumulato un rosso complessivo da un miliardo. Il nuovo proprietario Urbano Cairo, nato come collaboratore di Silvio Berlusconi a Mediaset, poi diventato editore di settimanali di gossip e anche presidente del Torino calcio,
ha dichiarato che non toglierà risorse ai programmi d’informazione,
cuore pulsante della rete. Peccato però che i costi della rete lievitino
proprio perché ci sono molti programmi realizzati attraverso consulenze esterne, a partire da una parte dello stesso tg di Enrico Mentana e da Omnibus (che la mattina e la sera riassume i principali eventi del giorno). Del resto, Cairo ha comprato La7, messa in vendita dal gruppo Telecom Italia, solo per salvaguardare il suo redditizio incarico di concessionario pubblicitario.
Nel 2012, gli spot di La7 hanno raccolto quasi 162 milioni di euro, in
calo, ma facendo molto meglio della media di mercato nonostante la
crisi.
Anche in passato, comunque, a La7 non è mai andata molto meglio. Nata nel 1974 col nome di Tele Monte Carlo
(TMC), canale in italiano della tv del principato di Monaco, passa
sotto la proprietà della tv brasiliana Rede Globo e, dalla primavera del
1993, entra a far parte del gruppo Ferruzzi, all’epoca guidato da Raul Gardini.
Fino a quell’anno il gruppo di Ravenna era uno dei più importanti del
Paese, avendo coltivato affari in svariati settori: dall’agroindustria
alla produzione di zucchero grazie a Eridania (azienda attiva tutt’ora), dalla farmaceutica all’editoria (col Messaggero) fino alla chimica, dopo aver ottenuto il controllo del polo nazionale della Montedison. Coi primi anni Novanta, però, scoppia Tangentopoli e nel luglio 1993 Gardini si suicida a Milano, poco prima di essere arrestato con l’accusa di aver pagato mazzette ai politici per la nascita di Enimont,
società creata dalla fusione delle attività chimica di Eni e
Montedison. Inizia così la crisi definitiva del gruppo Ferruzzi e Tele
Monte Carlo si ritrova di nuovo sul mercato. Questa volta per
acquistarla c’è Vittorio Cecchi Gori.
Nel 1995 il produttore cinematografico compra TMC e trasforma il canale che già possedeva, Videomusic, in TMC2. E’ adesso che s’inizia a intravedere in Italia la possibilità concreta di creare un terzo polo,
in alternativa a Rai e Mediaset. Sembra un matrimonio perfetto: Cecchi
Gori produce film, possiede quindi un importante catalogo di titoli da
mandare in onda e con Videomusic può creare un gruppo
da 150 miliardi di ricavi pubblicitari in vecchie lire, che dà lavoro a
370 dipendenti. Impegnato in politica come senatore del Partito Popolare
(ex Dc) e presidente della Fiorentina (che però
fallisce sotto la sua proprietà), Cecchi Gori è costretto a vendere
quasi tutto nel 2000 (TMC compresa) per far fronte ai debiti.
Mantiene solo la proprietà di alcune sale cinematografiche, ma dopo un
anno inizia il crollo definitivo con le disavventure giudiziarie: dalle
indagini per riciclaggio fino alla bancarotta fraudolenta.
Tele Monte Carlo si separa quindi da Cecchi Gori e finisce in dote a Seat Pagine Gialle
nell’agosto del 2000. Agli inizi del nuovo secolo, Tele Monte Carlo è
ancora vista come futuro terzo polo tv e questa volta la trasformazione
in degno rivale di Rai e Mediaset sembra possibile grazie
all’integrazione tra internet, tv e anche telefonia visto che, dal
novembre 2000, Seat P.G. entra a far parte del gruppo Telecom. A guidare
Seat c’è Lorenzo Pellicioli, che diventa successivamente amminitratore di De Agostini e consigliere di amministrazione delle assicurazioni Generali. Mentre il gruppo Telecom è diretto da Roberto Colaninno, uno dei “capitani coraggiosi” di Massimo D’Alema. Mentre per Silvio Berlusconi
diventerà il capocordata dei 21 “capitani coraggiosi” che hanno
rilevato Alitalia tra il 2007 e il 2008. Comunque, TMC non decolla
neanche questa volta e, tuttora, nemmeno la compagnia di bandiera tricolore gode di buona salute.
Nel frattempo, Tele Monte Carlo si trasforma in La7 e passa poi sotto l’egida di Marco Tronchetti Provera, guida operativa della Pirelli
e nuovo azionista di riferimento del gruppo Telecom. Ma l’avventura
nelle telecomunicazioni non porta bene al capo dell’azienda di
pneumatici. Nel settembre 2006 lascia la presidenza di Telecom in rotta
col governo Prodi e con le indagini in corso per lo scandalo dei dossieraggi illegali della security Telecom. Ad agevolare la buonuscita di Tronchetti Provera da La7 e da tutto il gruppo Telecom sono quindi intervenute le solite banche Intesa e Mediobanca, affiancate dalle Generali e dalla spagnola Telefónica, che per la causa hanno negli anni incassato ingentissime perdite: il saldo nel quinquennio supera abbondantemente i 5 miliardi di euro. Sono questi editori che hanno venduto di recente il canale tv a Urbano Cairo,
confermando ancora una volta (almeno) il finale sulla storia
dell’emittente: La7 ha avuto diversi e numerosi proprietari, tutti di
primo piano sul fronte economico italiano e sempre in stretti rapporti
con la politica. Ma con nessuno è riuscita a imporsi come terzo polo tv. Sarà stata solo colpa dell’emittente?
Fonte
Vicende come quelle di La7 dimostrano che il libero mercato esiste solo nella sua concezione teorica.
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