Schizofrenia crescente, sui mercati. La Fed promette di continuare a
stampare moneta, la speculazione può continuare a impazzare, ma non in
eterno. La "fiducia" scompare in poche ore e Tokyo impazzisce.
Le borse in festa mettono ottimismo, non è vero? Danno
l'impressione che il peggio sia alle nostre spalle, che le cose stiano
per cambiare in meglio, che forse torneremo persino a stare come stavamo
“prima”. Prima della crisi, prima di quel maledetto 2007-2008,
squarciato dalla bolla dei mutui subprime e dall'esplosione di Lehmann
Brothers, quarta banca d'affari del pianeta.
Wall Street, ieri sera, ha festeggiato. Cosa? Una promessa,
non un fatto. Ma la promessa è arrivata da Ben Bernanke, presidente
della Federal Reserve statunitense, la principale banca centrale del
mondo, cuore pulsante e cervello pensante della politica monetaria
dell'iperpotenza.
Cosa ha detto Bernanke
di tanto allegro? Che continuerà a stampare dollari e a buttarne 85
miliardi al mese nel mercato, come sta facendo ormai da ottobre e aveva a
più riprese fatto dal 2007 ad oggi. Certo, prima o poi bisognerà cambiare passo...
A
prima vista non sembra una notizia così benaugurate (e infatti Tokyo
non l'ha presa affatturato bene, una volta che si è cominciato a ragionare
più freddamente). Se da sei anni a questa parte la principale banca
centrale fa la stessa cosa e non ha ancora risolto nulla – l'economia
reale resta molto fiacca, negli Usa – non si capisce come la
prosecuzione della stessa politica possa essere presa come una buona
notizia.
Eppure è così. Il problema è chiedersi: è una buona notizia per chi?
Per
rispondere, vediamo prima come Bernanke ha motivato la sua promessa,
parlando in un'audizione davanti al Congresso. La politica monetaria
della Fed sta offrendo «significativi benefici» all'economia e resterà
accomodante per il tempo necessario; una stretta prematura della
politica monetaria potrebbe però «rallentare o mettere fine alla ripresa
economica». La traduzione, anche per i non addetti ai lavori, è
semplice: l'economia reale Usa sta in piedi, o meglio evita la
recessione, soltanto perché la Fed sta “pompando liquidità” nel sistema.
Prendere denaro a prestito, per le banche e in misura molto minore per
le imprese, costa nulla (in realtà le banche ci guadagnano, perché
prendono denaro dalla Fed a tasso zero e lo riprestano a un tasso
superiore); quindi la circolazione continua, le merci girano,
l'occupazione si mantiene a livelli “accettabili”. Ma l'economia resta
fragile; senza questa “assistenza” o facilitazione monetaria andrebbe
all'indietro.
Addirittura l'inflazione
potrebbe diventare troppo bassa, ha detto Bernanke. Parole che suonano
come una bestemmia alle orecchie di un europeo, da trent'anni
condizionato a pensare che il peggiore di tutti i mali sia proprio
l'inflazione. In realtà, come sempre, si deve ragionare sulla “misura”;
anche dell'inflazione. Un aumento dei prezzi vicino al 20% annuo,
com'era in Italia tra la fine degli anni '70 e la prima metà degli '80, è
un bel problema. Ma un'inflazione a zero segnala che non si vende più
granché; potrebbe scendere ancora e quindi trasformarsi in deflazione,
un mostro molto peggiore. Perché significa che la riduzione dei prezzi
deriva dalle amncate vendite, che provocano quindi riduzione della
produzione, chiusura di attività economiche (sia industrie che servizi,
ma anche banche e assicurazioni, ecc.), crollo dell'occupazione e dei
salari; quindi ancora meno consumi e nuova riduzione di prezzi,
produzione, occupazione. Un disastro che metterebbe a rischio la “tenuta
sociale” di qualsiasi paese, anche degli Stati Uniti.
La
Fed tiene da anni a bada questo mostro stampando dollari, ovvero
“stimolando” inflazione. Che però non si manifesta, visto che la
tendenza “naturale” va verso la deflazione. È un sistema in precario
equilibrio, in cui quel che deve avvenire non si verifica perché c'è un
intervento idraulico eccezionale (l'espressione è “pompare liquidità”,
non a caso) per impedire che il bacino si svuoti.
È
chiaro che solo gli Usa possono permettersi di “stampare moneta” senza
che questa – il dollaro – perda troppo valore. Qualsiasi altro paese
pagherebbe questa scelta con un'autentica svalutazione, che favorirebbe
certo le esportazioni, ma a prezzo di pagare molto di più per le
importazioni. Solo gli Stati Uniti, infatti, stampano una moneta
nazionale che è anche sia mezzo di scambio globale per le merci più
importanti (energia e materie prime) sia “moneta di riserva”, da mettere
in cassaforte. Solo gli Stati Uniti, in fondo, possiedono
quell'arsenale militare in grado di imporre a tutto il mondo di “aver
fiducia” in quella moneta.
Che significa,
però, “stampare moneta” per la Fed? In primo luogo significa ritirare
dal mercato quella “moneta privata” (asset-backed securities come i
mutui, cds, prodotti derivati in genere, ecc)
talmente screditata da non avere più un prezzo paragonabile a quello di
emissione. Sostituisce mezzi di scambio che non si possono più scambiare
con “moneta buona”, santi dollari degli Stati Uniti. Quindi, diciamo,
la Fed sta facendo da “lavanderia pubblica” per il capitale privato
altrimenti sull'orlo del fallimento.
La
novità sta nel fatto che gli Usa non sono più soli nel fare questo
gioco. E non sono neppure gelosi del fatto che il Giappone si sia messo
da un paio di mesi sulla stessa strada. Anzi, la Fed appoggia («Fed is
supportive») il piano recentemente lanciato dalla Bank of Japan di
acquisto di titoli. Tradotto: Usa e Giappone stanno facendo una
svalutazione competitiva, proprio come la vecchia Italia della
“liretta”, per “sostenere” le proprie economie.
Il
resto del mondo starà a guardare? Cina e Brics, ma anche i paesi
produttori di petrolio, in storico surplus commerciale e acquirenti
principali del debito pubblico Usa, accetteranno a lungo di versare
moneta solida (con economie in sviluppo alle spalle) per vedersi dare
indietro dollari e yen svalutati? Sicuramente no. Chiunque non sia
guidato da sacerdoti di una religione scomparsa – come l'attuale
Bundesbank tedesca, e quindi tutta l'Unione Europea – si muoverà per
ridurre il “vantaggio competitivo” conquistato grazie alla svalutazione.
Insomma, svaluteranno a loro volta stampando altra moneta. Si chiama per
l'appunto “guerra delle monete” e finisce – come sempre – in
iperinflazione. Forse non al livello della Germania del 1923 (quando per
aver un dollaro ci volevano 3.200.000 marchi), ma insomma quanto basta
per devastare l'economia globale.
Ma se
questa cose le sanno tutti (quelli che abbiano studiato storia
dell'economia), perché le borse hanno festeggiato la decisione di andare
avanti su questa strada?
Qui possiamo finalmente rispondere alla domanda: questa decisione della Fed è una “buona notizia” per chi?
Soprattutto
per gli “investitori professionali”. Ovvero banche, assicurazioni,
fondi di investimento di ogni genere, speculatori di ogni risma e
livello. La “liquidità facile” consente di continuare il vecchio gioco
che aveva già portato all'esplosione di altre “bolle”, fino a quella
decisiva del 2007. Volete una prova? Ve l'abbiamo data nei giorni
scorsi: sono tornati in pista persino i mututi subprime, ovvero quelli concessi a chi
non è affatto certo che possa ripagare il debito. È insomma
ricominciato il gioco delle “cartolarizzazioni” dei crediti (asset
backed securities), tanto ci pensa la Fed a cuccarseli quando perdono
valore sul mercato...
Come prima, ma
peggio di prima. Wall Street ha superato da mesi i record ante 2007, i
prezzi delle case a New York, a Manahattan e dintorni, sono di nuovo in
salita. I broker sono tornati e cercano casa...
Lo stesso Bernanke, infatti, ha spiegato che sono «un po' aumentate» di recente la preoccupazioni per la stabilità finanziaria degli Usa.
Il gioco della “lavanderia”, infatti, sembra gratuito, ma non lo è. Il
“prestatore di ultima istanza”, infatti, è lo Stato federale, che già
sta affrontando un rapporto deficit/Pil oltre il 10% annuo e un rapporto
debito/Pil a livelli quasi italiani e peggio ancora sta il Giappone (lì
il debito ha sforato addirittura il 230%). Si tratta di livelli abnormi,
ma che non possono essere ridotti; non ci pensano neppure. A tale
proposito, Bernanke, ha avvertito che una stretta fiscale concentrata
nel breve periodo sarebbe «irresponsabile». Bontà sua, avrebbe potuto
aggiungere che “non faremo mica come la Grecia o l'Italia"...
Ma
proprio questo accenno fugace alla eventualità che, presto o tardi, la
Fed sarà costretta a cambiare disegno alla propria politica monetaria
(una "exit strategy", con una "stretta" sui tassi, accompagnata anche da
una stretta fiscale da parte dell'amministrazione Usa, per ridurre il
debito pubblico che nel frattempo è stato ingigantito proprio dalla
"liquidità in eccesso") ha provocato uno dei tracolli più rilevanti
nella borsa giapponese, la prima ad aprire nella giornata: -7,3%. Presto
per dire se questo significhi anche la fine della Abe-economics
(stampare yen a go-go, fottendosene allegramente del debito pubblico pur
di riconquistare uno spazio competitivo per le proprie merci), ma certo
sembra finito il (breve) momento di meraviglia e invidia per "la
pensata" messa in campo dai conservatori nipponici. Il tracollo infatti
significa: ma siamo sicuri che tutti 'sti soldi prestati ai giapponesi
(non parliamo poi di quelli prestati agli americani...) un giorno ci
torneranno in tasca?
E' un sistema che ha perso gli equilibri
strutturali, che sta in piedi con iniziative "ad hoc" e rischia di
cadere in qualsiasi momento. Si chiama capitalismo, è piuttosto anziano e
presuntuoso, ma il fisico non gli regge più tanto...
Fonte
Roba così si leggere sui quotidiani solo quando l'intero mondo sarà economicamente imploso.
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