11 maggio 2013, ore 14 circa, Reyhanly, cittadina turca al
confine con la Siria: due autobombe esplodono nella centralissima
Ataturk Boulevard provocando circa 50 morti e più di 100 feriti. Questa
la sintetica descrizione di un evento che, lungi dall'essere un mero
fatto di cronaca, rischia di diventare fattore scatenante di una nuova
turbolenza per la Turchia e per l'area nel suo complesso.
L'evento ha, infatti, reso palese una situazione di instabilità latente
da molti mesi nel Paese e le conseguenze di questo singolo avvenimento
potrebbero essere di significativa importanza per la tenuta del Governo
di Ankara. In questo senso non stupisce l'immediata reazione
dell'establishment turco che, per bocca del Ministro degli esteri Ahmet
Davutoglu, si è affrettato ad indicare nel Governo siriano il mandante e
nel THKP/C (Fronte Popolare di liberazione della Turchia) e nella sua frangia più estrema Acilciler (Urgentisti), gli autori materiali della strage.
Secondo questa versione, l'azione, pagata dagli ambienti siriani fedeli
a Bashar Al Assad, sarebbe stata perpetrata da membri del piccolo
partito di ispirazione marxista per destabilizzare le provincie di
confine e indurre ritorsioni delle popolazioni locali contro i profughi
siriani presenti sul territorio. Le possibili azioni di questo gruppo
nella provincia di Hatay, dove Reyhanli si trova, erano già state prese
in considerazione a settembre dell'anno passato. In un articolo di
approfondimento di uno dei maggiori quotidiani turchi sui legami tra
Siria, Iran e THKP/C veniva, a tal proposito, sottolineato come una
azione coordinata di potenze straniere e partiti rivoluzionari locali
avrebbe potuto avere un impatto molto forte in un'area che, oltre ad
avere un'altissima presenza di profughi siriani (circa 40.000 nella sola
Reyhanli), vede la presenza di minoranze etniche e religiose (Alawiti ed
Aleviti) non prive di motivi di attrito con il Governo centrale.
La versione di Ankara non è, però, condivisa dagli altri attori.
Damasco ha negato ogni responsabilità nell'attentato, proponendo una
commissione di inchiesta congiunta per far luce sui fatti. Commissione
che è stata categoricamente rifiutata dal Presidente turco Recep Tayyip
Erdogan in quanto il Governo siriano non viene ritenuto legittimo.
Mihrac Ural, figura di spicco di Acilciler, accusato anche della strage
di Banias nel nord della Siria, avrebbe affermato la propria estraneità
ai fatti, dichiarando che Acilciler non esiste più e che i responsabili
devono essere ricercati tra coloro che vorrebbero indurre un intervento
turco ed internazionale in Siria, Israele in primis.
Ci sono, infine, le prese di posizione delle diverse componenti della
società turca. Alcuni parlamentari dell'opposizione, come Levent Tüzel
del BDP (Partito Curdo per la Pace e la Democrazia) o Hasan Akgöl del
CHP (Partito Popolare Repubblicano), hanno affermato che la
responsabilità è da imputare all'Esercito Libero Siriano che, attraverso
l'attacco, cercherebbe di indurre un cambio di strategia del Governo
turco in senso interventista.
Secondo questa versione
l'attentato, avvenuto pochi giorni prima della visita di Erdogan negli
Stati Uniti, avrebbe potuto essere di stimolo per una presa di posizione
più dura delle forze internazionali contro Assad. Bisogna sicuramente
sottolineare anche che in molte aree della Turchia e, in particolar
modo, nella provincia di Hatay, ad Istambul e nella capitale si è
assistito ad importanti manifestazioni di protesta contro le politiche
del Governo rispetto alla questione siriana.
Se ad Reyhanli il
dissenso è sfociato in moti violenti contro parte dei siriani presenti
sul territorio, ad Ankara ed Istambul sono stati gli studenti a scendere
in piazza e a chiedere le dimissioni del Ministro degli Esteri
Davutoglu per le scelte degli ultimi mesi a favore dei ribelli siriani.
La situazione è, dunque, particolarmente delicata. In primo luogo,
l'attentato, per quanto il Governo turco abbia categoricamente negato la
possibilità di un suo intervento diretto in terra siriana, potrebbe
portare ad un ulteriore irrigidimento dei rapporti tra i due Paesi e ad
una richiesta di innalzamento del livello di attenzione-azione delle
potenze internazionali.
In seconda battuta la crisi siriana
rischia di tracimare in Turchia con effetti difficilmente prevedibili
dal punto di vista dei rapporti tra popolazioni locali e profughi
siriani. L'eterogeneità delle etnie presenti in quest'area di confine
connessa con la presenza di retroguardie armate dell'ESL e di altri
gruppi di opposizione al governo Assad come i Jihadisti di Al Nusra
potrebbe, infatti, portare ad un inasprimento delle tensioni con
conseguente estensione della crisi siriana al territorio turco e
balcanizzazione dell'area.
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