Gli uomini della Guardia di Finanza in azione per sequestrare beni e immobili. Ai proprietari delle acciaierie di Taranto contestata l'associazione a delinquere finalizzata a commettere reati ambientali
E’ probabilmente il più grande sequestro della Repubblica quello che in queste ore la Guardia di finanza di Taranto sta eseguendo nei confronti della famiglia Riva, proprietaria di Ilva spa, lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa responsabile secondo la procura ionica del disastro ambientale tarantino.
Il gip Patrizia Todisco ha firmato un decreto di sequestro per equivalente di beni per 8,1 miliardi di euro. E’ questa infatti la stima formulata dai custodi giudiziari Barbara Valenzano, Emanuela Laterza, Claudio Lofrumento e Mario Tagarelli
del costo totale degli interventi necessari al ripristino funzionale
degli impianti dell’area a caldo per un possibile risanamento
ambientale. Un costo che tuttavia non comprende le bonifiche di acqua e
suoli, stime che secondo la magistratura tarantina potranno essere
calcolati solo dopo la valutazione dei danni reali al territorio.
Su richiesta del pool di inquirenti composto dal procuratore Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani, il gip ha così autorizzato il sequestro di denaro, conti correnti, quote societarie nella disponibilità della società Riva Fire
in ottemperanza a quanto previsto dalla legge 231/01 che sancisce la
responsabilità giuridica delle imprese per i reati commessi dai propri
dirigenti. Toccherà ora agli uomini delle fiamme gialle guidate dal
colonnello Salvatore Paiano, dal tenente colonnello
Giuseppe Dell’Anna e dal maggiore Giuseppe Dinoi individuare i beni
della società e di quelle eventualmente nate da operazioni finanziarie
rispetto a Riva Fire fino al raggiungimento della quota stabilita dalla
magistratura.
Dal sequestro restano fuori la fabbrica di Taranto
e i beni riconducibili alla società di Ilva spa. Il gip Todisco ha
infatti chiarito che i beni della società potranno essere aggrediti solo
nel caso in cui non siano strettamente indispensabili all’esercizio
dell’attività produttiva nello stabilimento di Taranto. Una condizione
necessaria, evidentemente dopo la sentenza della Corte Costituzionale che
ha stabilito, dichiarando legittima la legge “salva Ilva”, il diritto
alla produzione della fabbrica come condizione necessaria per sostenere
le spese di risanamento degli impianti.
Nel decreto del gip, oltre
ai 14 indagati a vario titolo per associazione a delinquere finalizzata
al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione
dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e altri capi di imputazione,
compaiono anche le società Ilva spa e Riva Fire spa. Ilva è infatti
“controllata” dalla seconda al cui vertice figurano negli anni Emilio, Fabio e Nicola Riva.
Inoltre la società Riva Fire, secondo quanto ricostruito dagli
inquirenti, avrebbe ottenuto negli anni un notevole vantaggio economico
attraverso quella che i magistrati definiscono una consapevole omissione
degli interventi per la protezione e salvaguardia dell’incolumità
dell’ambiente, degli operai e dei cittadini di Taranto.
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