Qui di seguito ripubblichiamo il dossier comparso oggi sul quotidiano 'La Stampa' che riporta gli esiti di un sondaggio commissionato da sei grandi quotidiani dell'Unione Europea. E' una ammissione e una conferma: uscire dall'Unione Europea non è più un tabù, la percezione "ineluttabile e progressiva" della UE si sta esaurendo. E' uno spazio politico, sociale e culturale rilevante sul quale lavorare e sul quale innestare proposte alternative di segno progressista a quello che ormai si configura come un polo imperialista funzionale alle oligarchie del capitalismo europeo. Il progetto di un'area alternativa euromediterranea, democratica e sociale può ottenere consensi impensabili rispetto a pochi anni fa. Una occasione da cogliere.
Mentre l’Europa fatica a uscire dalle secche di una crisi che la sta attanagliando ormai da sei anni, l’indagine Ipsos-Publicis “Gli europei e la fine della crisi” commissionata da La Stampa e altri cinque quotidiani europei, Sueddeutsche Zeitung, Le Monde, Gazeta Wyborcza, El Pais e il Guardian, restituisce la fotografia di un Paese immerso in un pessimismo più accentuato rispetto a quello che affligge i cittadini del resto d’Europa. E due italiani su tre non credono che le ricette adottate per superare la recessione saranno efficaci (nella Ue è il 58%). Il 73% pensa anzi che il nostro Paese ne uscirà «lievemente» o «fortemente» indebolito (contro il 66% della media europea).
Al di là della contingenza, del pessimismo delle prospettive a breve (il 26% pensa che peggioreranno «molto”, il 52% «lievemente») è come se si respirasse ovunque un clima da cambio di paradigma, da «fine dell’età dell’oro». Soltanto l’Est Europa si salva dalla sensazione - ancora una volta più forte in Italia che negli altri 26 Paesi dell’Unione - che stia tramontando un’era, che le generazioni future staranno peggio.
Sono cambiate molto anche le nostre abitudini, durante la Grande crisi: consumiamo di meno (67%), cerchiamo di sprecare meno (42%). Ma a fronte di una disponibilità a fare ancora dei sacrifici, resta l’indisponibilità nostra, ma anche del resto dei cittadini europei, a imitare i greci. Tagliateci tutto, ma non lo stipendio.
LA SITUAZIONE ECONOMICA
Tre su dieci sono in ritardo con le bollette
E’ la maggioranza degli europei, ormai, ad aver sofferto un peggioramento della situazione economica a causa della crisi (per il 40% «un po’», per il 20% «molto»). In cima alla lista, Italia e Spagna, rispettivamente con il 79% e il 72% dei cittadini che ha denunciato un deterioramento delle proprie condizioni finanziarie.
In particolare, quasi metà degli spagnoli (il 49%) e il 41% dei nostri connazionali ha raccontato che almeno un membro della propria famiglia ha perso il lavoro, dal deflagrare della bolla immobiliare americana del 2008. Ancora: un terzo di italiani e spagnoli (rispettivamente il 36% e il 34%) ammette di pagare le bollette con «enorme» ritardo, anche correndo il rischio di vedersi tagliato il gas o la luce o la linea telefonica. Tuttavia, c’è anche un 11% di spagnoli e italiani che ammette di aver «scoperto nuove opportunità», grazie alla crisi. Una percentuale più alta che in altri Paesi.
Di umore molto diverso, inglesi e tedeschi. Al di là della Manica, il peggioramento delle condizioni economiche è stato percepito dal 48% dei cittadini, mentre in Germania la percentuale scende al 40%. C’è anche un 5% di tedeschi e un 9% di britannici che stima la propria situazione migliorata, rispetto all’inizio della crisi.
LA SPESA SCENDE
Consumi in calo e ci sono meno sprechi
Una tempesta perfetta che ha costretto le famiglie europee a cambiare notevolmente abitudini, e non sempre con riflessi negativi. La Grande crisi è anche questo. Il 62% sostiene esempio di fare più attenzione all’ambiente (è il 71% in Francia e il 75% in Italia). In particolare, l’88% dei cittadini europei ammette di sprecare di meno (è addirittura il 96% in Italia e il 92% in Spagna) ma c’è una quota impressionante del 76% che spreca meno anche perché consuma meno (in Francia è il 72% e in Italia il 77%, sopra la media dunque).
D’altro canto, se il consumo più misurato può essere una buona notizia per l’ambiente, che è meno gravato da rifiuti e dalle conseguenze ecologiche dei fabbisogni energetici, è vero anche che un calo dei consumi significa un freno all’economia, ricorda l’indagine.
È chiaro che se dall’inizio della crisi il 60% dei cittadini europei dice di aver ridotto l’uso del telefono e di internet, il 58% ha detto di aver smesso di andare in vacanza almeno una volta all’anno e sempre più della metà (il 55%) ha ridotto il riscaldamento per risparmiare, per l’economia è una pessima notizia. Soprattutto, le prospettive per i prossimi mesi non sembrano migliorare: un numero preponderante di cittadini europei dice che tirerà ancora più la cinghia.
LE PREVISIONI
Vince il pessimismo “In arrivo anni difficili”
Raggiunto il sesto anno della peggiore crisi europea di sempre, tre quarti dei cittadini dell’Unione guarda avanti con pessimismo. I più cupi di tutti sono i francesi: l’85% stima che nel corso dell’anno la situazione peggiorerà, il 23% addirittura di «molto». E anche se le sfumature cambiano, l’umore nero sulle prospettive dei prossimi mesi è diffuso ovunque; anche un 73% dei tedeschi pensa che la crisi si aggraverà.
Il pessimismo si incrocia con sensazioni crepuscolari: il 51% pensa che i propri figli staranno peggio (una convinzione particolarmente forte in Francia, dove lo pensa il 72%, ma anche in Italia è il 58%). I polacchi sono invece i più ottimisti: il 40% è certo che la prossima generazione starà meglio di quella attuale.
In Europa prevale la sensazione «del tramonto di un’età dell’oro». Si teme in particolare «la fine di un modello sociale». Non meraviglia che alla domanda “cosa teme di più?», il 40% degli europei abbia risposto «non riuscire a vivere in condizioni dignitose»; una quota che in Italia sale al 50%. Un 28% di nostri concittadini teme poi che i propri figli non potranno permettersi un’educazione universitaria (nella Ue è il 14%). Alta anche la quota di coloro che temono di non potersi finanziare una copertura sanitaria adeguata: il 21% in Ue, il 23% in Italia.
I CONTI PUBBLICI
La sfiducia nel rigore “Ci farà stare peggio”
Opulenza e ritorno alla crescita grazie a rigore e riforme? A tre anni dai primi commissariamenti europei e in piena era da Fiscal compact, a questa teoria non crede quasi più nessuno. Oltre metà dei cittadini dell’Unione (58%) pensa che gli aggiustamenti dei conti pubblici intrapresi da molti paesi «avranno ripercussioni negative sulla situazione economica e sociale dei loro concittadini».
Uno dei Paesi più colpiti dalla recessione, la Spagna, vanta la percentuale più alta di “scettici dell’austerità”, è il 76%, ma dubitano fortemente delle misure anti-deficit anche i francesi (71%), gli italiani (66%) e persino i britannici (60%), che il Fiscal compact neanche lo hanno sottoscritto, ma la cui economia dipende fortemente da quella continentale. A sorpresa, anche nel Paese che si è messo alla guida del fronte pro-rigore, la Germania, un’esile maggioranza del 54% pensa che faccia male.
La recessione stessa, scommettono due terzi degli intervistati, finirà per bloccare gli aggiustamenti. Soltanto i tedeschi pensano in maggioranza (57%) che la crisi sia una buona opportunità per fare le riforme rimandate per troppo tempo. Inquietanti anche le percentuali di chi pensa che il proprio Paese uscirà indebolito dalla crisi: è il 66%, ma quasi un terzo teme che il peggioramento sarà «marcato».
LE ISTITUZIONI
Solo il 29% degli europei ha fiducia nel governo
Preoccupante, il crollo della fiducia nelle istituzioni: soltanto il 29% degli europei, neanche uno su tre, pensa che i governi stiano proponendo soluzioni ragionevoli per uscire dalla crisi. Forse non sorprende che il governo tedesco, che ha saputo difendere meglio gli interessi del proprio Paese, si goda il gradimento maggiore: quasi un cittadino su due è soddisfatto dell’operato di Angela Merkel, il 45%.
In generale, il clima di fiducia è pessimo anche attorno ad altre istituzioni. Non convincono i partiti di opposizione (24%), né i sindacati (27%), ma neanche le istituzioni europee (29%).
Allarmante la quota di individui che pensa che appartenere all’Unione europea sia un vantaggio: ormai è appena il 52%. Agli occhi di tedeschi (57%), inglesi (63%) e italiani (53%) è addirittura uno svantaggio.
Alla domanda sulle priorità di politica economica, la quota maggiore di individui ha risposto il taglio delle tasse (35%), ma su questa questione la palma va all’Italia, dove il 54% ritiene che sia un’urgenza.
Un aspetto interessante riguarda il ritorno di fiducia nel privato: il 57% degli europei pensa che sia meglio affidare al privato i servizi pubblici e il 45% pensa che le imprese sono «le più capaci di trovare soluzioni per uscire dalla crisi».
LA VITA QUOTIDIANA
Pronti a fare sacrifici per evitare la povertà
A dispetto della stanchezza dopo gli enormi sacrifici di questi anni, gli europei sono disposti a farne ancora, purché il loro potere d’acquisto non venga intaccato. Il 70% è pronto all’eventualità di cambiare lavoro, ma anche di accettare servizi sociali commisurati al reddito (67%), di risparmiare di più per garantirsi una pensione (66%), anche di rinunciare a 3 -4 giorni di ferie (52%). Le misure che spaventano di più sono quelle che i greci sperimentano sin dal 2010: un taglio dello stipendio. Lì l’indisponibilità diventa totale. Soltanto il 15% dei cittadini dell’Ue accetterebbe un taglio del 10% dello stipendio e solo il 13% un aumento del 10% delle tasse. Per tutti, «riguadagnare il controllo delle proprie vite implica un cambio delle abitudini di consumo».
Fonte
Tutte belle cose, ma io trovo allarmante e pericoloso quello che nell'articolo viene definito ritorno di fiducia nel privato.
Significa che nonostante difficoltà, sacrifici, pessimismo ecc, non s'è ancora imparato gran che da questa crisi e il cambio di paradigma, la maturazione di una vera coscienza sociale, è ancora lontana anni luce.
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