Nelle settimane immediatamente successive al voto, Grillo ha avuto l’occasione straordinaria di far ballare il sistema politico al suono della sua musica. Bersani era pronto ad accettare (quasi) tutte le condizioni che gli avesse posto: legge anticorruzione, riforma Rai, abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, reddito di cittadinanza, legge sul conflitto d’interesse. E con ogni probabilità, in un quadro di intesa, avrebbe anche accettato di concordare il nome del nuovo Presidente. Se Grillo gli avesse chiesto di fare la danza del ventre, Bersani si sarebbe messo il tutù. E non gli si chiedeva di entrare al governo o in maggioranza, ma semplicemente di astenersi (uscire dall’aula) al Senato.
Insomma avrebbe dovuto sostenere Bersani, ma come la corda sostiene l’impiccato: alla minima uscita sgradita avrebbe potuto ritirare la fiducia e far cadere il governo. Insomma, aveva la possibilità di ottenere risultati senza precedenti ed a costo zero. Non lo ha fatto: perché?
Alcuni hanno pensato ad oscuri complotti internazionali, altri ad una eccessiva rigidità ideologica. Personalmente credo che la spiegazione sia diversa e risieda nell’analisi che lui fa della situazione e che, a tratti, manifesta nelle sue interviste.
Grillo è convinto di tre cose:
a. che la crisi finanziaria internazionale stia per portare a breve l’Italia al crollo (la sua previsione è che già a novembre il governo non sarà in grado di pagare le pensioni e gli stipendi dei dipendenti pubblici);
b. di conseguenza, che la crisi del sistema dei partiti sia sul punto di precipitare fragorosamente;
c. che, quindi, la scelta che si impone è fra l’affermazione del suo movimento politico e quella di una soluzione autoritaria come un regime militare (anche nel recente comizio a Corato, in Puglia, ha sostenuto che il M5s è quello che trattiene la gente dal fare barricate);
Ovviamente, tutto ciò presuppone che il M5s possegga sia la linea politica adatta che la formula organizzativa idonea ad esprimere la nuova classe dirigente di cui il paese ha bisogno.
E questo spiega la grande facilità con cui parlamentari e consiglieri regionali sono espulsi al minimo cenno di dissenso: a Grillo non interessa avere 10 o 20 parlamentari in più o in meno, perché è convinto che ciò sia irrilevante, mentre, in vista dell’imminente scontro frontale, quello che conta è che il suo movimento sia compatto, di una compattezza militare che non ammette la discussione di quelli che, a tutti gli effetti, sono ordini.
Vale la pena di verificare quanto sia fondata questa analisi partendo dall’andamento della crisi. Sicuramente l’analisi di Grillo sulla crisi parte da dati di fatto su cui si può concordate:
a- più o meno a giugno avrà fine la tregua dei mercati finanziari verso l’Italia (come ha detto Soros 13.5.13) e lo spread riprenderà a salire a salti, probabilmente sino a tutto l’autunno;
b- a luglio si inizierà a constatare che il gettito fiscale sarà inferiore all’anno scorso e non solo per la probabile sospensione della rata Imu, ma anche e soprattutto per l’effetto della recessione causata proprio dai rincari fiscali decisi da Monti fra fine 2011 e primi 2012. Con il risultato di un ulteriore disavanzo e di una crescita sensibile del peso del debito sul bilancio statale e sul Pil (facile prevedere che sfonderemo a passo di bersagliere il 130% avviandoci al 140% sul Pil) e questo non farà che rilanciare lo spread;
c- dopo la pausa estiva è plausibile che una fetta di aziende non riapriranno i battenti o chiederanno la Cassa Integrazione.
Dunque, che l’autunno che viene si prospetta molto scuro è cosa non solo possibile ma largamente probabile. E su questo non possiamo che concordare, constatando come questo governo di cialtroni non stia dicendo nulla ai cittadini e si rivelerà tragicamente inadeguato al momento più difficile.
Poi, però, molto dipenderà da quali saranno i numeri: un conto è se la flessione degli introiti dello Stato sarà del 3% e tutt’altro conto è se dovesse essere del 20%. Così come, un conto è se le aziende che chiudono sono il 5% e c’è una richiesta di cassa integrazione per 30.000 unità e ben altra situazione è se a chiudere i battenti sono il 15% delle aziende ed i nuovi cassintegrati sono 400.000. Allo stato delle conoscenze è lecito aspettarsi dati piuttosto severi, ma non immediatamente pre-crollo. Vedremo.
Ma va detto anche che ci sono anche elementi in controtendenza che vanno considerati:
a- abbiamo appena assistito ad una erogazione a pioggia di denaro a bassissimo tasso di interesse e, se anche è vero che (come era prevedibile) solo pochi spiccioli stanno andando ad investimenti industriali e consumi, però è anche vero che le banche hanno denaro fresco da investire in titoli di Stato anche se a sostanziosi interessi.
b- Draghi ha appena finito di dire che è pronto a nuove operazioni di quantitative easing nel caso fossero necessarie, per cui ci sono ancora generosi margini per operazioni finanziarie che consentano operazioni di bailout, interventi di ammortamento della Bce, ecc.
c- a settembre, finalmente, finirà la campagna elettorale tedesca ed è ragionevole che la Germania diventi meno rigorista (già oggi la Merkel parla di fine austerità).
C’è poi da considerare il possibile effetto della svendita dei beni pubblici. Intendiamoci, sono convinto che una offerta così concentrata nel tempo, porterà ad una svendita rovinosa e che questa classe politica di gaglioffi (Pd incluso, sia chiaro) ne approfitterà per far concludere lucrosi affari agli amici ed agli amici degli amici (esattamente come accadde con la smobilitazione delle Ppss negli anni Novanta, cosa sulla quale non si è mai voluta fare una commissione parlamentare di inchiesta). Dunque, in definitiva, la vendita avrà effetti molto limitati sulla possibilità di compensare il debito e segnerà un impoverimento secco dello Stato. Però un flusso di denaro fresco, per quanto limitato, verrà e, nel breve periodo, la cosa avrà un effetto calmierante.
Dunque, salvo che i dati su fisco e disoccupazione siano irrimediabilmente catastrofici, non mi sembra che la situazione, per quanto molto seria, sia destinata a tracollare nel giro di pochi mesi.
Anche qui occorre intendersi: lo scenario prospettato da Grillo di un crack di vaste proporzioni con effetti devastanti non è affatto irrealistico ed, anzi, è uno degli scenari possibili verso cui ci stiamo allegramente incamminando grazie all’ostinazione dei poteri politici e finanziari, di non rimettere in discussione nulla di un sistema che evidentemente sta producendo implacabilmente la sua crisi. Dunque, su un periodo medio o medio lungo mi aspetto esattamente la possibilità (possibilità non è certezza, sia chiaro) di scenari drammatici e non solo per l’Italia, ma non è la stessa cosa se questo accade fra sei mesi, fra tre anni o fra cinque anni. Le traiettorie dei processi storici sono determinate anche dal momento in cui si incrociano le varie tendenze in atto. Ad esempio, in tre anni, potremmo trovarci di fronte ad una soluzione autoritaria preparata con grande meticolosità e che sia ben più raffinata di un governo in divisa, oppure la crisi potrebbe aver travolto prima gli Usa o il Giappone o chissà chi altro ancora.
E’ tipico dei movimenti di protesta e/o rivoluzionari un certo iper ottimismo che induce a sopravvalutare le proprie capacità di successo e sottovalutare costantemente le capacità di reazione dell’avversario e l’intervento di terzi. Anche noi sessantottini (lo dico autocriticamente, anche se già dall’epoca non ero esattamente fra i più ottimisti) pensammo che la base di consenso dell’avversario si stesse rapidamente sfaldando, che lo stesso Pci avrebbe rapidamente perso la sua base perché non stava capendo che eravamo nella fase pre rivoluzionaria che sognavamo. Appunto: sognavamo, come hanno poi dimostrato i fatti successivi. E potremmo fare altri esempi anche molto più importanti storicamente. Ad esempio (si parva licet….) anche Lenin e Trotskij sognarono un rapido dilagare della rivoluzione socialista in tutta Europa nel giro di pochi anni. Poi le cose, mi pare, andarono molto diversamente: la socialdemocrazia non perse la sua presa maggioritaria sulla classe operaia, i ceti medi si radicalizzarono a destra, le “spallate” rivoluzionarie in Germania, Italia, Ungheria ecc si risolsero in sconfitte disastrose, la borghesia seppe riconquistare la capacità di comando e l’esito finale non fu la rivoluzione socialista ma ben altro. E già nel 1923 il progetto di rivoluzione mondiale di Lenin era bello e liquidato.
Né andò molto diversamente ai giacobini francesi; ma, tornando alle dimensioni storicamente tanto più modeste del nostro presente, mi pare che Grillo sottovaluti grandemente la capacità di tenuta del blocco avversario. E’ la stessa illusione di Occupy Wall Street per la quale noi siamo il 99% e loro l’1%, sarebbe bello ma non è così: un sistema di potere ha sempre la capacità di coagulare intorno a se settori consistenti di società, forse non maggioritari, ma sicuramente rilevanti. Ci sono interessi comuni a discesa, poi motivi ideologico-culturali, poi ancora timori del nuovo, pigrizie intellettuali ecc. Mettetela come volete, ma anche la classe politica peggiore al colmo del suo disastro, ha sempre con sé almeno un quinto o un quarto della società: nonostante il disastro di una guerra perduta, di un ventennio di fascismo, della prova di viltà offerta con la fuga a Pescara, la monarchia ebbe per sé il 45% degli italiani nel referendum del 1946. Certo, perse, ma poco meno della metà degli italiani era ancora disposta a difenderla oltre ogni limite di ragionevolezza. Ricordiamolo sempre. Qui, poi, i partiti, per quanto in crisi, possono ancora far leva sulla loro reciproca opposizione, per cui ci sono quelli che votano Pd in odio a Berlusconi e quelli che votano Berlusconi in odio al Pd.
Volete spiegarmi come è che il Pdl è in piena ripresa? Magari i sondaggi sono sbagliati (e non ci meraviglierebbe) ma tutti sentiamo nell’aria il ritorno di fiamma del tifo per Silvio, almeno per ora, anche grazie alle performances da circo equestre offerte dal Pd.
Dunque, andiamoci piano a vendere la pelle dell’orso prima che sia morto.
Infine: il M5s ha oggi una occasione d’oro di espandersi a causa del governo di super inciucio appena formato, ma non è detto che le cose vadano in questo modo. Ad esempio il M5s sta rivelando numerose fragilità in buona parte dovute al carattere assai composito del suo corpo militante ed, ancor più, del suo seguito elettorale. Si avvertono già i segni di una certa decantazione del grande miscuglio del 26 febbraio e non è detto che il M5s sarà in grado di cogliere l’occasione che gli si prospetta. E nemmeno che l’eventuale crescita vada oltre certi limiti ancora sotto maggioritari.
In definitiva, Grillo punta su una strategia dei tempi brevi, mentre io penso che è più probabile che si debba misurare con uno scontro di lunga durata. In ogni caso, vediamo cosa succederà domenica prossima a Roma, Brescia, ecc. E’ un test che può cambiare molte cose.
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