All’America latina integrazionista e progressista, che affaccia soprattutto sull’Oceano Atlantico, risponde la cosiddetta “Alleanza del Pacifico”, enucleatasi a partire dal primo vertice di Lima nel 2011 in aperta polemica con «le alleanze romantiche e poetiche» e riunita in questi giorni a Cali, in Colombia, e della quale sono membri pezzi fondamentali della regione: il Messico, il Costarica, la Colombia, il Perù, il Cile. L’obiettivo dichiarato di quest’area, che conta oltre 200 milioni di abitanti, un terzo dei cittadini latinoamericani ma la metà dell’export regionale, è quello di rilanciare l’agenda neoliberale, rimasta indietro dopo il crollo del modello che aveva imperato nella regione dagli anni ’70 a tutti gli anni ’90, l’avvento dei governi integrazionisti e lo scacco imposto all’Area di libero commercio delle Americhe (ALCA) voluta da George W. Bush a Mar del Plata nel 2005.
Per i paesi coinvolti, governati da partiti di destra o centro-destra, è l’occasione per mantenere una crescita sostenuta anche nel presente decennio, prescindendo da quelle mete di riduzione delle disuguaglianze e difficile ricerca di un modello sostenibile anche dal punto di vista ambientale, portato avanti dall’America latina integrazionista. Se nel Mercosur – nati anch’essi in epoca neoliberale come spazio doganale comune – si parla di una romanticheria come fondi di coesione dal pacifico, dal Pacifico si risponde col realismo un po’ d’antan dei falliti regimi neoliberali che in quest’area del Continente sono rimasti egemoni. Per gli Stati Uniti, il vicepresidente Joe Biden è in questo momento a Bogotá dove oggi vedrà Juan Manuel Santos, è l’occasione di riprendere la battaglia perduta a Mar del Plata e continuare ad utilizzare almeno una parte dell’America latina nella competizione globale contro la Cina. La superpotenza asiatica, emersa dalla fine degli anni ’90 come partner di primo piano della regione, continua a mantenere forti quote di complementarità con la regione: agroindustria per infrastrutture, semplificando, ma anche la possibilità politica di giocare su più tavoli uscendo dalla dipendenza dal «Washington Consensus».
Per Barack Obama resuscitare l’ALCA è impossibile, permanendo il ruolo di global player del Brasile, ma, beneficiando di trattati bilaterali di libero commercio (profondamente diseguali e ingiusti) con tutti i paesi dell’Alleanza del Pacifico l’obbiettivo, o il pericolo per i movimenti sociali e i paesi progressisti, anche per la sua evidente capacità d’attrazione, è oggi il cosiddetto Accordo strategico trans-Pacifico, un piccolo ALCA limitato a mezza America latina. I paesi dell’area pacifica non sono oggi succubi degli USA in senso classico. L’alternativa neoliberale resta appetibile per le classi dirigenti anche per i costi economici inferiori (ma sociali maggiori) del modello neo-cepalino (neo-keynesiano per usare una categoria più globale ma solo parzialmente aderente) in vigore nei paesi integrazionisti. Con partner così importanti nella regione, permanendo il predominio assoluto USA in Centro-America, la presenza militare, l’uso limitato ma sempre possibile del golpismo (dall’Honduras di Mel Zelaya al Paraguay del vescovo Lugo) e del complesso mediatico monopolista, ogni partita in America latina non è mai vinta del tutto. Ma neanche persa per sempre.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento