Sono i silenzi che colpiscono. Il 2013 si è aperto con una campagna elettorale preceduta e accompagnata da una raffica di scandali.
Mentre più di un osservatore si spingeva a valutare la nuova stagione
del malaffare ancora più grave di quella di Tangentopoli (1992-1994),
l’argomento è stato cancellato dal dibattito politico tra le forze
nominalmente contrapposte che si sono poi riunite sotto la cupola del governo Letta. E anche dopo le elezioni si è visto il Pd inchinarsi disciplinatamente all’elezione del pluriindagato Roberto Formigoni
alla presidenza della commissione agricoltura del Senato. E del resto,
se nei lunghi mesi di agonia della giunta regionale lombarda distrutta
dagli scandali l’opposizione di centrosinistra non ha mai affondato il
colpo, come dimenticare che da parte sua il centrodestra nordista ha
sempre accompagnato con signorile distacco le disavventure giudiziarie
dell’ex presidente della Provincia di Milano Filippo Penati?
Distrazioni, afasie, minimizzazioni e garantismi pelosi trovano un
comune punto di caduta. Nelle grandi storie (giudiziarie e non) all’incrocio tra politica e affari i big di Pd e Pdl
si ritrovano sempre fianco a fianco. Che sia complicità o semplice buon
vicinato, l’effetto non cambia: tutti sanno tutto di tutti e cane non
morde cane.
I PATTI D’ACCIAIO SU TARANTO INQUINATA. Anche gli ultimi eclatanti sviluppi dell’inchiesta di Taranto sul gruppo Riva-Ilva
sono caduti nel silenzio. Nessun esponente politico della larga
maggioranza di governo sembra avere niente da dire. Guardiamo
l’antefatto. Emilio Riva, 86 anni, è antico e buon amico di Silvio Berlusconi.
Nel 1994 è il primo governo del centrodestra, nei suoi soli sette mesi
di vita, a spianargli la strada verso la conquista dell’Ilva di Taranto,
la più grande acciaieria europea svenduta dall’Iri per 1649 miliardi di
lire, meno degli utili del primo anno di gestione Riva (oltre 1800
miliardi). Ai Riva piace Forza Italia, che finanziano negli anni 2003-2004 con 330 mila euro. Anche Pier Luigi Bersani piace ai siderurgici: nel 2004 la Federacciai
(la Confindustria del settore) lo finanzia con 20mila euro, nel 2006,
alla vigilia della sua seconda incoronazione a ministro dell’Industria,
gli dà altri 50mila euro. Nel 2008 la Federacciai versa a Bersani altri
40mila euro. Nella campagna elettorale del 2006 sono scesi in campo
anche i Riva: mano al portafoglio e 98mila euro per Bersani. Due anni
dopo, quando Berlusconi invoca i “patrioti” per salvare l’Alitalia, Riva risponde prontamente, e investe 120 milioni nella nuova Cai di Roberto Colaninno.
Dai loro luoghi di detenzione più o meno domicialiari Riva e i suoi
figli si sono sbracciati in questi mesi a minacciare querele a chiunque
insinuasse che in cambio della partecipazione al salvataggio
dell’Alitalia “italiana” l’Ilva abbia ottenuto un occhio benevolo del
ministero dell’Ambiente retto da Stefania Prestigiacomo
(2008-2001) per l’Autorizzazione integrata ambientale che le ha
permesso di inquinare spensieratamente fino all’estate del 2012.
Buoni
rapporti a destra, buoni rapporti a sinistra, un modo tutto sommato
classico di vivere bene in Italia. Quando l’emergenza ambientale
comincia a farsi veramente calda, a luglio del 2012, Riva cede la
presidenza dell’Ilva di Taranto al prefetto Bruno Ferrante, già candidato del centrosinistra a sindaco di Milano nel 2006. Quando il deputato ambientalista del Pd Roberto Della Seta
dà fastidio con la sua attività parlamentare, Riva scrive una lettera a
Bersani per chiedergli un intervento. Bersani non se ne dà per inteso,
ma è un fatto che alle elezioni dello scorso febbraio nelle liste del Pd
non si è trovato posto per Della Seta. Nel frattempo l’inchiesta
giudiziaria rivela che il deputato Pd di Taranto Ludovico Vico discuteva
al telefono con il capo delle relazioni esterne dell’Ilva, Girolamo Archinà,
poi arrestato, come “far buttare il sangue” a Della Seta. In tanta
armonia l’unico disturbo è la magistratura, che certe volte non rinuncia
a fare il suo dovere. Toghe rosse? Il primo politico arrestato per il
caso Ilva è stato, a novembre scorso, l’ex
assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva, del Pd. Il 15
maggio scorso è stato arrestato nuovamente insieme al presidente della
Provincia di Taranto, un altro Pd, Gianni Florido. Quest’ultimo ha
alle spalle una vita da dirigente sindacale della Cisl di Taranto,
iniziata proprio dal settore metalmeccanico. Partiti di destra, di
centro, di sinistra, sindacati. Tutti dentro fino al collo, per questo nessuno fiata.
DALLE COOP A PONZELLINI, TUTTI I TIFOSI DI SESTOGRAD. Luca Ronconi scelse Sesto San Giovanni
per mettere in scena lo spettacolo “Il silenzio dei comunisti”. Mai
location fu più azzeccata. Su quanto accaduto nell’ex Stalingrado
d’Italia, travolta dallo scandalo del compagno Filippo Penati, non una
voce s’è alzata. Da sinistra. Ma neanche da destra. Solo la classica
“fiducia nella magistratura”. Le maglie dell’inchiesta ribattezzata
“sistema Sesto”, del resto, hanno avvolto tutti. I filoni sono diversi.
Come i livelli di coinvolgimento. Nel processo a carico dell’ex capo
della segreteria politica di Bersani, oltre all’acquisto delle quote
dell’autostrada Milano-Serravalle, ci sono le presunte tangenti per l’acquisto dell’area Falck e il finanziamento illecito attraverso la sua fondazione Fare Metropoli. Nella prima si va dalle coop rosse agli uomini di Berlusconi. Uno in particolare: Mario Resca,
ex direttore generale del ministero dei Beni culturali ai tempi di
Sandro Bondi, consigliere dell’Eni, designato dal governo guidato
dall’amico Silvio, e della Mondadori del gruppo Fininvest.
Resca compra anche una quota del 5 per cento della holding che possiede
la Sesto Immobiliare, di cui è vicepresidente. La società guidata da
Davide Bizzi nel 2010 compra i terreni al centro dell’inchiesta penale
sulle mazzette a Penati, e affida a Massimo Cavrini i poteri per “la
gestione di tutti i rapporti con l’amministrazione” comunale.
Cavrini è un manager coop. Lavora per il Consorzio cooperative costruttori di Bologna, una delle aziende più importanti della Legacoop.
A sinistra dunque le coop, a destra la copertura è assicurata da
Berlusconi. Quando nel luglio 2011 i giornali resero nota l’indagine a
carico di Penati, l’ex sindaco di Sesto e presidente della Provincia di
Milano era seduto comodo nel Consiglio regionale della Lombardia e
furono pochi “ribelli” del Pd a chiederne le dimissioni. Il Pdl gli
dimostrò piena solidarietà. Del resto, il “leghista di sinistra”, era
simpatico a molti. Tanto da sfiorare la vittoria sul Celeste Formigoni,
superandolo nei risultati a Milano. Pochi mesi dopo il Fatto rese nota l’esistenza della fondazione Fare Metropoli,
creata da Penati per finanziare le sue campagne elettorali e foraggiata
da amici noti di sinistra e altri, insospettabilmente interessati al
successo politico di Penati, di destra. Come Massimo Ponzellini, indagato per finanziamento illecito.
L’ex presidente della Banca Popolare di Milano,
poi arrestato, con una mano dava all’ex sindaco di Sesto e con l’altra
aiutava, sempre attraverso la banca, gli amici del Pdl, da Ignazio La Russa a Daniela Santanchè, da Paolo Berlusconi a Michela Vittoria Brambilla.
Oltre a Ponzellini, Fare Metropoli poteva contare su un altro
banchiere: Enrico Corali, alla guida della Banca di Legnano e membro del
cda di Expo 2015 come rappresentante della Provincia di Milano. Infine
gli amici di sempre: Renato Sarno, Enrico Intini e Roberto De Santis. Il primo è l’architetto indicato da Piero Di Caterina
come il “collettore e gestore degli affari di Penati” nonché potente
funzionario in Serravalle. Intini, indagato a Bari per turbativa d’asta,
è azionista di maggioranza della Milano Pace. Infine De Santis, anche
lui nel mirino dei pm per gli appalti nella sanità pugliese. I tre
investono a Sesto 100 milioni di euro in un progetto immobiliare. E non
dimenticano di finanziare Fare Metropoli.
SPARTIZIONE ALLA SENESE DI UNA BANCA IN COMUNE. Un consigliere d’amministrazione in Monte dei Paschi a te e due a me. Ma ti garantisco anche la conferma della presidenza di Antonveneta e altri incarichi. Denis Verdini e Franco Ceccuzzi l’accordo di spartizione
di poltrone e incarichi nella Siena che viveva attorno a Rocca
Salimbeni lo hanno messo proprio per scritto. Due paginette
dettagliatissime che illustrano con sconcertante precisione la divisione
tra Pd e Pdl redatto il 12 novembre 2008. Tutto ciò che è scritto in
quelle due pagine si è poi avverato nei mesi successivi con assoluta
precisione. Il documento, pubblicato dal Fatto il 16 febbraio scorso, è stato smentito dai diretti interessati.
Ceccuzzi, ex deputato e primo cittadino di Siena, ha vinto le primarie
del centrosinistra, ma è stato costretto a rinunciare alla corsa a
sindaco dalle polemiche che lo hanno travolto a seguito dell’inchiesta
partita sull’acquisto di Antonveneta.
E per il papello che oltre a
spartire poltrone con il Pdl sigla un “patto di non belligeranza” tra i
due partiti. Quindi incarichi nella banca e nella fondazione Mps ma
anche nei consorzi , nelle municipalizzate, nella società della gestione
delle terme di Chianciano e l’accordo politico: “L’onorevole Verdini si
impegna in vista delle elezioni amministrative 2009 a ricercare una
candidatura del Pdl per la presidenza della provincia di Siena che non
tenti di sconvolgere gli attuali equilibri e a presentare liste del Pdl
nei Comuni rifuggendo da qualsiasi accordo destabilizzante con le liste
civiche”. Non che nell’anno 2013, a pochi mesi dallo scandalo che ha
travolto l’istituto di credito, la situazione cambi. Al voto di domani
si presentano liste civiche che ospitano insieme esponenti sia del
centrosinistra sia del centrodestra. In terra di Siena ha messo radici
il romanissimo “volemose bene”.
Del resto basta guardare a chi la
Fondazione, che controlla la banca e i cui vertici sono nominati dalla
politica cittadina, ha elargito a piene mani milioni di euro nel corso degli anni. Dalla fondazione Ravello, oggi presieduta dall’attuale capogruppo del Pdl, Renato Brunetta, alla Giuseppe Di Vittorio della Cgil. Dai circoli Arci alla fondazione Craxi, fondata e presieduta da Stefania Craxi.
Dai bonifici per l’ex senatore del Pdl, ora candidato sindaco a Pisa e
storico braccio destro dell’ex ministro Altero Matteoli, Franco Mugnai
(legale nel caso Ampugnano). Ma non solo Toscana e Roma. I fondi
arrivano anche a Lecce: arcidiocesi (120 mila euro),
varie onlus e 50 mila euro alla provincia. Guidata da Antonio Maria
Gabellone, ex Dc oggi Pdl, legato a Vincenzo De Bustis e, in particolare
a Lorenzo Gorgoni, membro del cda di Mps. Ma è anche terra politica di MassimoD’Alema
e della Banca 121 acquistata da Rocca Salimbeni. I versamenti sono
compresi tra i diecimila euro e i due milioni, che vanno alla fondazione
Ravello, per un importo complessivo che sfiora il miliardo. Finita
l’era di Giuseppe Mussari, scoperta la banda del 5%
guidata da Gianluca Baldassarri e gli artifici compiuti sui bilanci, la
pioggia di denaro è finita. L’ente che controlla la banca senese ha
chiuso il 2012 con un disavanzo notevole: 193,7 milioni di euro. Mps? Ha
chiuso il bilancio con 3,1 miliardi di perdite.
TUTTI PAZZI PER GIANPI E PER LE SUE BELLE AMICHE. “Ricordati che io a vent’anni andavo in barca con D’Alema e a trenta dormivo da Berlusconi”. Così Gianpi Tarantini si vantava con il sodale Valter Lavitola.
Millanterie che però mostrano l’importanza dei legami trasversali per
il malaffare del terzo millennio. Certo è che alcune delle donne
presentate a Berlusconi nell’estate 2009 per ingraziarsi l’allora
premier furono poi presentata anche a un esponente del Pd, Sandro Frisullo, ex braccio destro di Nichi Vendola in Regione Puglia, condannato a due anni e otto mesi per reati vari. La “bicamerale del piacere”
organizzata da Tarantini è poca cosa rispetto alla “bicamerale degli
affari” che stava mettendo su, sfruttando da un lato il debole di
Berlusconi per le donne, dall’altro il fiuto di alcuni dalemiani per il
business. L’obiettivo: gli affari con la Protezione Civile.
Si attornia di imprenditori in buoni rapporti con D’Alema, come Enrico
Intini, e per raggiungere l’uomo decisivo per le sue mire – Guido
Bertolaso, all’epoca capo della Protezione Civile – fa leva su
Berlusconi.
Alle spalle di Tarantini c’era già una storia di
affari trasversali nella sanità pugliese. Un sodalizio con l’assessore
alla Sanità Alberto Tedesco (Pd) diventato poi rivalità
acuta, mentre l’esponente dalemiano finirà nei guai per i suoi affari
sanitari: prima salvato con un seggio al Senato, poi finito agli
arresti. Gianpi si muove con scioltezza su tutto lo scacchiere politico.
Celebre la cena organizzata nel 2007 a Bari da Gianpi in collaborazione
con l’amico di D’Alema Roberto De Santis, con un scelto gruppo di
medici e dirigenti sanitari. Ospite d’onore proprio D’Alema. Tedesco,
già in rotta con l’amico di Berlusconi, si sfoga al telefono: “Sta cosa
l’ha organizzata, mi ha richiamato adesso adesso il vice segretario
regionale del Pd tale Michele Mazzarano, sta cosa l’ha organizzata De
Santis con Tarantini (…) Allora voi volete avere i rapporti, che cazzo
volete avere con i Tarantini, li abbiate, abbiateli pure a me non me ne
fotte niente”. Racconterà poi il sindaco di Bari Michele Emiliano:
“D’Alema arrivò verso le 11. Rimase 10 minuti, non di più, il tempo dei
saluti. Poi scappammo via: non si poteva essere commensali di quel
signore”.
E Tarantini insiste con Berlusconi. Vuole entrare nella
partita grandi opere utilizzando la società di Intini, che pochi mesi
prima lo premia con un contratto da promoter, per 150mila euro. Quando
il premier si dimostra disponibile a presentargli Bertolaso, secondo la
Guardia di finanza, Gianpi lo tempesta di telefonate per “coinvolgerlo
in nuove serate, in compagnia di giovani e disponibili donne”: “Stasera è
a Roma? Vogliamo organizzare una cena? Volevo presentarle, un’amica
mulatta, fantastica”. I pm chiedono a Gianpi: “Ma prima di fargli questa
proposta, con Intini aveva parlato?”. “Certo!”, risponde lui: “Intini
sapeva che frequentavo Berlusconi”.
di Antonio Massari, Giorgio Meletti e Davide Vecchi
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