Carla del Ponte è finita sotto accusa, "colpevole" di puntare l'indice
nella direzione "sbagliata": contro i ribelli e non verso il «regime
brutale» del dittatore Bashar Assad. L'ex procuratore del Tribunale
Penale Internazionale per la ex Jugoslavia dal 1999 al 2007 e membro
della commissione d'inchiesta Onu per le violazioni dei diritti umani in
Siria, domenica aveva detto alla Radio Svizzera Italiana che «stando
alle testimonianze raccolte i ribelli hanno usato armi chimiche, facendo
ricorso al gas sarin». A oltrepassare la "linea rossa" posta dal
presidente Usa Barack Obama, aveva aggiunto Del Ponte, sono stati «i
ribelli, l'opposizione, non le autorità del governo siriano».
Versione
contraria alla posizione degli Stati Uniti che sulla storia del
presunto uso delle armi chimiche da parte del regime di Assad stanno
costruendo le condizioni per un loro intervento militare in Siria.
«Non abbiamo alcuna informazione che suggerisca che i ribelli
siriani siano in grado di usare il sarin o abbiano intenzione di farlo»,
ha dichiarato una fonte dell'amministrazione Obama. Subito dopo sono
intervenuti gli stessi investigatori dell'Onu con un comunicato: «La
Commissione desidera chiarire di non aver trovato prove conclusive
sull'uso di armi chimiche nel conflitto siriano né dall'una né
dall'altra parte... Al momento non siamo nella posizione di fare
ulteriori valutazioni sulle accuse avanzate». Del Ponte è stata trattata
come una "visionaria" e, peggio, un'amica del regime di Assad.
La vicenda del presunto utilizzo delle armi chimiche è riesplosa mentre
resta alta la tensione per l'ultimo raid aereo lanciato da Israele,
nella notte tra sabato e domenica, e che ha preso di mira la periferia
di Damasco. La Siria ha fatto sapere, per bocca dello stesso Bashar
Assad, intervistato dal quotidiano del Kuwait Al Rai, che sceglierà il
momento giusto per la sua rappresaglia. Un funzionario governativo ha
aggiunto che «La Siria risponderà all'aggressione israeliana ma
sceglierà il momento giusto per farlo. Non accadrà immediatamente poiché
Israele è in stato di allerta. Aspetteremo ma risponderemo».
Almeno
quindici soldati sono morti e decine risultano dispersi negli attacchi
israeliani. Secondo le autorità di governo, gli aerei hanno colpito
postazioni delle forze armate siriane a nord est di Jamraya, a Mayssalun
e all'aeroporto di Damasco. Altre fonti precisano che i raid ha preso
di mira un centro di ricerche scientifiche, già colpito a fine gennaio, e
due obiettivi militari: un deposito di munizioni e una unità della
difesa anti-aerea. Per Israele, anche in questo ultimo caso, sarebbe
stato preso di mira un carico di missili terra-terra Fateh 110, di
fabbricazione iraniana, in transito per la Siria e destinato ai
combattenti di Hezbollah in Libano. L'attacco avrebbe avuto lo scopo di
mandare un «segnale preciso» al movimento sciita e all'Iran.
Dopo aver ordinato lo stato di allerta nel nord del paese di fronte a
una possibile reazione siriana, ieri il governo Netanyahu (il premier
continua regolarmente la sua visita in Cina) ha gettato acqua sul fuoco.
Secondo il quotidiano Yediot Ahronot, Tel Aviv avrebbe fatto arrivare
«attraverso canali diplomatici» un messaggio ad Assad, garantendogli di
«non voler essere coinvolto nella guerra civile in Siria». Il deputato
Tzachi Hanegbi, vicino a Netanyahu, ha precisato che le "iniziative
militari" di Israele sono soltanto contro Hezbollah e non contro Assad.
Ben diversa è la lettura che Mosca, alleata di Damasco, offre dei raid
israeliani. «Siamo seriamente preoccupati dai segnali di preparazione
dell'opinione pubblica mondiale per un possibile intervento armato nel
lungo conflitto interno siriano», ha detto il portavoce del ministero
degli esteri russi Aleksandr Lukashevich commentando le notizie sugli
attacchi israeliani. La Russia invita con forza a «non politicizzare» la
questione «estremamente seria» delle armi chimiche. Ne discuteranno
oggi a Mosca il Segretario di stato John Kerry e il presidente russo
Vladimir Putin. Usa e Russia sono sempre più distanti da una soluzione
politica condivisa della guerra civile in Siria, con Washington decisa a
intervenire militarmente, anche se non con propri soldati.
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