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08/05/2013

Dimenticare Andreotti

Non è difficile scorgere, con la morte di Giulio Andreotti, il fatto che il processo di mitizzazione dell’ex pluriministro e pluripresidente del consiglio abbia subito improvvisamente un’impennata.  Del resto lo stesso Andreotti, da vivo, aveva alimentato questa mitologia. Lavoratore febbrile, lettore, brillante autore di testi, divo prima letterario, poi televisivo ed infine cinematografico, fabbricante di aforismi e motti di spirito.  Tutte qualità che compongono una mitologia politica piuttosto che la biografia collettiva di generazioni di democristiani. Mitologia alla quale amici e nemici hanno concorso alla tessitura in modo paritario ed infaticabile.

Una delle chiavi di questa mitologia, tenuta cara da amici e nemici, è quella legata ai misteri d’Italia dei quali Andreotti sarebbe stato ineguagliabile detentore. E qui non bisogna confondere la logica giudiziaria, quella per la quale l’attribuzione della responsabilità è sempre invocata ma sempre incerta, con quella della storia. Non esistono i misteri d’Italia se non nella forma di carte che forse non verranno mai alla luce ma che non potranno aggiungere molto alla verità già emersa. Non c’è bisogno di ulteriori carte, magari nascoste chissà dove, per affermare con certezza che Giulio Andreotti è stato tra i massimi responsabili, nella storia della repubblica, di trame golpiste, fiancheggiamento di stragi, omicidi, speculazioni finanziarie, relazioni con la mafia e con la P2.  I fatti già emersi, pubblici e certificabili inchiodano irrimediabilmente alle sue responsabilità storiche e politiche uno dei peggiori uomini che mai siano nati nell’Italia contemporanea.

Il fatto che Andreotti sia stato anche una persona brillante getta, sicuramente, un’ombra su questa qualità in generale, ma non rappresenta certo un’attenuante. Un uomo che ha concorso ad uccidere, imbrogliare, tramare, gettando nella disperazione un paese troppo spesso scosso dalle stragi. Il mito di Giulio Andreotti, con tutto il suo portato di sedicenti misteri, non va quindi coltivato. Va proprio dimenticato. Perché la sua storia fa piuttosto parte di una più generale storia di una classe dirigente, quella della DC, che è rimasta al potere ben oltre ogni decenza ma soprattutto necessità di questo paese. Quella è la storia da studiare ben più degli aneddoti su Andreotti. La vicenda di una classe dirigente corrotta e mafiosa ma abile e accorta. Compromessa ma capace di ricavarsi a lungo un ruolo e una necessità. Classe dirigente che si è nutrita di sangue, quando l’ha ritenuto necessario, e che è persino rimpianta dai meno accorti. Classe dirigente che non dimentichiamolo, nel momento di massima difficoltà e di delegittimazione completa di un intero paese, è stata salvata dal Pci. Partito che non trovò di meglio che salvare, con voti decisivi alle camere, ben 27 volte Andreotti  dall’autorizzazione al processo. Ma qui comincerebbe un’altra storia. Di quando la sinistra salvò, con la regia di Giorgio Napolitano, Andreotti e la Dc. Ricorda qualcosa?

Ecco, meglio dimenticare Andreotti, il suo inutile folklore e concentrarsi sui veri drammi politici di questo paese. Quelli che vogliono che, in un modo o in un altro, ogni tipo di spinta a sinistra finisca per consolidare le destre specie se traballanti. E chissà che chi oggi ciancica di “traditori” finisca una volta tanto per capire che il traditore, verso il quale la storia deve emettere un verdetto senza scampo, è proprio lui. Il progressista colto, moderato, democratico della porta accanto. Altro che Andreotti che il suo mestiere di boia l’ha svolto con stile persino impeccabile.

redazione
6 maggio 2013

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