Il presidente afghano Karzai non ritiene di dover nascondere ciò che la
stessa stampa statunitense pubblica, a metà strada fra la rivelazione e
l’ammissione: “I soldi di Washington al suo governo arrivano
costantemente tramite gli uomini della Cia”.
Così il recente “scoop” del New York Times
serve soltanto a quantificare i milioni di dollari passati dal governo
statunitense al leader pashtun: 10 milioni in dieci anni. Stupore quasi
nullo, ma forse non tutti conoscevano le vie di accesso dei fondi: niente
banche né bonifici bensì valigie, zaini e contenitori di plastica.
Comunque l’uomo di Kabul non comprende la necessità di sbattere simili
notizie in prima pagina, teme che il clamore possa far cessare il flusso
monetario in una fase di per sé delicata come quella del ritiro del
contingente Isaf previsto per l’anno a venire. Certo il protettore
statunitense non dovrebbe smobilitare affatto. Secondo quanto promesso
da Obama, che pure conferma l’exit strategy, resterà un congruo numero
di truppe di terra, fra le 8.000 e le 12.000 unità, che dovranno
occuparsi della preparazione dell’Esercito Afghano.
Ma
per le turbolenze interne, che non potrebbero diminuire affatto,
stimolando gli appetiti dei Signori della guerra presenti al governo
(Fahim, Khalili), di quelli esterni e sempiterni assetati di ogni sorta
di business (Hekmatyar, Sayyaf, Dostum, Mohaqiq) più i tre network
talebani che agiscono all’interno del Paese, ciò che maggiormente
occorre a Karzai sono i denari fornitigli dalla Cia. Utili per
rafforzare gli apparati dell’Intelligence locale e per “ammorbidire”
avversari trasformandoli in amici ben oltre i giri d’affari che ciascuno
già fa con raccolto, lavorazione e traffico del papavero da oppio.
Tanto per restare sul tema dei “segreti” svelati della missione Isaf
tutti ricordano lo scoop, quello sì, di The Guardian che descrisse, e
mai fu smentito, come nei container che la Royal Air Force di Sua Maestà
portava dall’Afghanistan in patria erano stipati pani di eroina
purissima pronta per il mercato europeo. La stessa che riposava, non
certo in eterno, nelle bare dei soldati statunitensi uccisi che volavano
oltre Oceano.
Chissà quanti di questi trasporti speciali
continuano sotto i drappi a ‘stelle e strisce’ che in questi giorni
riportano a casa altre casse mortuarie per gli ultimi sette militari
americani rimasti uccisi: cinque per l’ennesimo scoppio di un ordigno di
strada presso il distretto di Maiwand, considerato area spirituale
talibana; due per una tipologia “d’incidente” che ha mietuto centinaia
di occupanti: l’arma rivolta contro di loro da soldati che vestono la
divisa afghana. Così come the war must go on gli stessi commerci
ufficiali e ufficiosi fra gli apparati alleati di Stati Uniti e
Afghanistan non smettono di girare. Il presidente Karzai sta già
pensando ai contratti d’affitto per le basi aeree che l’altra Air Force
che conta, quella degli United States, sta predisponendo da tempo. Gli
frutteranno svariati miliardi di dollari solo per il primo quadriennio.
Le basi di Kandahar, Bagram, Mazar-e Sharif servono alla guerra coi
droni, considerata dagli analisti il prossimo impegno di occupazione e
conflitto nell’area. Per un decennio o giù di lì, mentre gli affari e
l’altrui morte battono il tempo.
Fonte
Niente di nuovo purtroppo, è semplicemente il copione vietnamita che si ripete per l'ennesima volta. Sull'argomento consiglio la visione di Air America e American gangster
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