La pazienza dell'esercito egiziano si è esaurita. Il primo ministro
turco Racep Tayyip Erdoğan continua ad alzare al cielo le quattro dita
simbolo degli islamisti che chiedono il ritorno del presidente Mohammed
Mursi - deposto per mano militare il 3 luglio scorso - e i generali
egiziani spediscono a casa l'ambasciatore turco. Tolleranza zero quella
che il Cairo riserva al ministro degli esteri di Ankara che ha
dichiarato di non aver rispetto per quanti sono tornati al potere grazie
a un golpe.
Amore e odio
La storia si ripete. Almeno questo è quello che pensa il quotidiano
egiziano Al-Watan che traccia il parallelo tra quanto è avvenuto lo
scorso 23 novembre e quanto accadde nel 1952, quando l'ambasciatore
turco venne rimpatriato a causa dei suoi attacchi alla rivoluzione del
presidente Gamal Abdel Nasser.
La ferita ricucita dalla diplomazia bilaterale si riaprì nel 1961,
quando il Cairo non sopportò le parole con le quali la Turchia benedì il
disfacimento della Repubblica araba unita, il primo nucleo del progetto
panarabo che teneva insieme Siria ed Egitto.
Oggi, la crisi diplomatica che ha portato anche al rimpatrio
dell'ambasciatore egiziano ad Ankara è la punta dell'iceberg di una
relazione che negli ultimi 16 mesi è passata dalle stelle alle stalle.
Alla fine del 2012, il volume del commercio tra Egitto e Turchia era
pari a 5.2 miliardi di dollari. Gli investimenti di Ankara al Cairo si
erano attestati a 1.9 miliardi di dollari e il progetto era di arrivare a
5 miliardi.
Nel suo primo viaggio in Egitto dopo la caduta di Hosni Mubarak, Erdoğan
era stato trattato come una pop star non solo dagli islamisti, ma anche
dalle forze liberali che cercavano nella storia turca l'ispirazione per
arrivare alla creazione di un regime democratico.
Nel tempo però, il bagliore attorno a Erdoğan e al modello turco ha
iniziato a tramontare. In Egitto, il cambio di guardia ha fatto il
resto. Il dinamismo diplomatico che aveva posto Ankara al centro dello
scacchiere mediorientale registra una battuta d'arresto.
Solitudine turca
Da paladino delle popolazioni in rivolta durante la primavera araba a
strenuo difensore dei governi islamisti, Erdoğan non aveva potuto celare
il malessere nei confronti dei militari egiziani già a luglio.
La Turchia era stata l'alleato più vicino all'amministrazione Mursi, al
quale aveva garantito un prestito di 2 miliardi di dollari l'autunno
scorso. I due avevano anche operato di concerto, nel corso del 2012, per
risolvere la nuova crisi a Gaza.
Nella stretta militare di luglio, Erdoğan ha vissuto da vicino il
déja-vu della ciclica sequenza di colpi di stato che hanno puntellato la
storia di Ankara. Come leader di un governo che si è distinto proprio
per la lotta contro l'apparato militare-kemalista, il primo ministro
turco filo-islamico non poteva celare il supporto all'alleato egiziano.
Mentre gli ultimi focolai delle rivolte del parco Gezi venivano
duramente represse, Erdoğan si ergeva a protettore della democrazia in
Egitto, criticando aspramente la leggerezza di Stati Uniti e Unione
Europea nei confronti dei militari. Persi gli storici alleati nella
regione e sempre più in contrasto con le potenze occidentali, prosegue
la parabola discendente di una Turchia sempre più sola nel mare
mediorientale.
Equilibri in evoluzione
A placare le sferzate del primo ministro sono subito intervenuti, come
ormai consuetudine, il ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu e il
presidente della Repubblica Abdullah Gül. Ricordando "la storica
amicizia" tra i due paesi, hanno auspicato che "le relazioni siano
presto ripristinate".
Gli ufficiali del Cairo chiedono tuttavia la fine di ogni ingerenza
turca negli affari egiziani. Il riferimento è al sostegno dato ai
Fratelli Musulmani nel tentativo di dimostrare, davanti alla Corte
penale internazionale, che la repressione condotta contro i manifestanti
del Cairo il 14 agosto costituisca un "crimine contro l'umanità".
Dall'altro lato anche Ankara mostra una certa diffidenza, sottolineando
come proprio durante quelle proteste sia stato arrestato il giornalista
dell'emittente nazionale Trt, Metin Turan, ancora fermo nelle carceri
del Cairo.
A guardare con attenzione la lite tra il Cairo e Ankara sono anche i
paesi della regione i cui equilibri internazionali sono ora condizionati
dal dossier siriano e da quello iraniano. A mostrarlo è anche
l'incontro che si è tenuto a Doha il 24 novembre tra Turchia e Qatar, i
paesi più critici nei confronti dell'intervento militare in Egitto con i
quali si è trovata in linea anche la Tunisia.
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