intervista a Vladimiro Giacché di Marta Fana
Le
ultime vicende sulla crisi greca hanno mostrato come un governo
democratico, fedele al suo mandato elettorale, possa mettere in
discussione la governance europea, rigida su regole punitive che nulla
hanno a che fare con la virtuosità dei paesi dell’eurozona. Il
fallimento più grande è proprio l’architettura della UE e dei suoi
Trattati, che negano la possibilità di agire su obiettivi realmente
strutturali, come l’occupazione, la capacità produttiva e i redditi. In
questo contesto, la moneta unica è uno strumento di potere funzionale
ad interessi altri, quali la stabilità dei prezzi e delle banche.
Se
è vero che bisogna rimettere in discussione regole e obiettivi
europei, allo stesso tempo è necessario capire in quali tempi queste
modifiche possono intervenire. Più i tempi sono lunghi più è inevitabile
che anche la moneta unica possa essere rimessa in discussione, in
quanto strumento di potere.
Ne parliamo con Vladimiro Giacché, economista e Presidente del Centro Europa Ricerche.
Nonostante
l’intransigenza mostrata dal governo tedesco e qualche gioco
strategico, pare che la fermezza di Tsipras abbia mandato in tilt
l’armonia della governance europea. Come lo interpreta?
Tsipras
ha fatto una cosa nuova nell'Europa di questi ultimi anni: ha cercato
di tener fede al mandato elettorale ricevuto. Ha trattato, ma quando ha
visto che quello che veniva richiesto dalla controparte (peraltro
senza contropartite immediate in termini di debt relief) era
incompatibile col mandato elettorale ricevuto, ha detto che a quel
punto soltanto gli elettori del suo Paese potevano decidere se
accettare le proposte europee. In questo modo ha rotto il potere di
ricatto dei creditori. Questo ha mandato in tilt la governance europea,
che in questi ultimi anni è stata caratterizzata da un potere
esorbitante dei creditori. L'Europa oggi viene destabilizzata non da
Tsipras, ma proprio da quel potere esorbitante, che ha avuto
conseguenze pesantissime per molte economie tra cui la nostra.
Tsipras
non ha fatto default, ma ha comunque rilanciato chiedendo la ristrutturazione
del debito, tema che sembrava sparito dal tavolo dei negoziati, e
nuovi prestiti. Com’è finita la negoziazione dell’ultimo eurogruppo di
fatto e cosa significa concretamente?
La
ristrutturazione del debito greco la chiede la situazione prima ancora
che Tsipras: l'entità attuale del debito greco è semplicemente
impagabile. Lo era già nel 2010, ma allora si decise di non praticare
un taglio del debito, perché questo avrebbe colpito le banche francesi e
tedesche, fortemente esposte sulla Grecia. Non avendo ridotto il
debito, il successivo intervento di BCE, fondo salva-Stati e FMI è
servito unicamente a quelle banche per far rientrare la loro
esposizione sulla Grecia senza troppi danni, ma non ha rappresentato
alcun "salvataggio" della Grecia. A quanto è dato di capire
l'Eurogruppo ha deciso comunque di chiudere la porta al governo greco
sino al referendum, probabilmente confidando in un suo esito positivo
(vittoria del Sì ndr).
Seppure sia stato un errore
entrare nell’euro (cosa dimenticata da quasi tutte le sinistre europee),
è possibile dire che è tutta colpa della moneta unica? Quanto pesano
per i Paesi del Sud Europa le mancate politiche industriali a
prescindere dalla moneta?
No, non è tutta colpa della
moneta unica. Le mancate politiche industriali pesano, come pure gli
insufficienti investimenti da parte delle imprese, che nella seconda
parte degli anni Novanta ritennero di non averne bisogno potendo
giovarsi dei maggiori profitti derivanti dall'abolizione della scala
mobile. Il risultato è stata una perdita di competitività evidente nel
decennio successivo, che però a quel punto, essendo nel frattempo
partita la moneta unica, non poteva più essere corretta da una
svalutazione. Il punto però è un altro: la moneta unica rappresenta
comunque un elemento di rigidità che ostacola, e non favorisce, la
convergenza tra le economie. Questa divergenza negli ultimi anni si è
accentuata.
Ma scusi, è una questione di regole: se in
Europa piuttosto che il vincolo del 3% sul rapporto deficit/Pil, ci
fosse una regola che stabilisca un vincolo del 3% su investimenti
strategici da parte degli Stati (o su spread tra salari nei vari
stati), allora la moneta avrebbe altro ruolo…
Adesso
non c’è neppure il 3% grazie al Fiscal Compact, il pareggio di bilancio
costituzionalizzato: sempre per il Fiscal Compact, esiste un vincolo
addirittura di riduzione del debito del 5% anno della quota che eccede
il 60% del rapporto debito/Pil. Per l'Italia, ciò significa o crescita
5% oppure delle manovre forzose e depressive più gravi di quelle
vissute finora. E’ evidente che in linea teorica non c’è legge storica
per cui la moneta unica non funzioni, ma il problema è che la moneta
unica è un insieme di regole che esistono e non sono mai neutrali. Si
riesce realisticamente a cambiar queste regole in tempi brevi o no?
Negli ultimi anni, nel corso della peggiore crisi da quella del '29 e
per l’Italia peggiore dall’Unità, le regole sono state cambiate in
peggio, in maniera che per noi è estremamente punitiva.
La
capacità produttiva dell’economia greca è oggi fortemente provata
dalla crisi. Nel caso di grexit e considerato che non è mai stata in
avanzo di partite correnti nel dopoguerra come pensa che si possa fare
meno austerità di oggi, con e senza finanziatori esterni?
La
capacità produttiva greca è fortemente provata soprattutto dalle
politiche di austerity che sono state imposte al paese, e il cui
risultato è stato un crollo del prodotto interno lordo del 26%. Quanto
al deficit della bilancia commerciale greca, esso si è accentuato dal
1995, allorché i governi greci hanno deciso la politica della dracma
forte per poter entrare nella moneta unica di lì a qualche anno. Gli
afflussi di capitali stranieri hanno mascherato la cosa sino al 2008/9,
quando questi capitali hanno cominciato a defluire. Questo, e non il
debito pubblico, è il vero squilibrio che è alla base della crisi greca
(il debito pubblico semmai è una derivata, benché importante). È un
genere di squilibri che si corregge istantaneamente in caso di libera
fluttuazione delle monete. In assenza di quel correttivo, bisogna fare
svalutazione interna, ossia ridurre i salari: purtroppo questo ha come
effetto un calo della domanda interna e quindi ha effetti fortemente
recessivi. Questa è la storia di questi anni. Oggi l'uscita della
Grecia dall'eurozona comporterebbe certamente un default sul debito, ma
consentirebbe di effettuare un rapido riaggiustamento senza pesare
esclusivamente sui salari come è avvenuto negli ultimi anni. Quanto ai
finanziatori esterni, i mercati finanziari in passato sono tornati a
dare credito molto rapidamente a paesi che erano stati coinvolti da
crisi debitorie anche molto pesanti. L'essenziale è il ripristino di
fondamentali economici sani.
Cosa vuol dire
“aggiustamento rapido”, secondo i ricercatori del Levy Institute come
Brancaccio e Zezza ci vorrebbero almeno due anni, posto che non si
ripaghi il debito e si avvii una vera politica espansiva e industriale.
La Cina ad esempio parla di possibilità di intervento ma solo se la
Grecia rimane nell’eurozona…
Il primo punto da
affrontare è cosa intendiamo per ripudio del debito, il secondo gira
attorno al fatto che se vince il No, la Bce blocca i finanziamenti
quindi il default è inevitabile: tema euro e default sono legati. Se
fai default, uscire dalla moneta unica è meglio: riacquisisci sovranità
monetaria e allora il debito verrà emesso con moneta di cui la banca
centrale ha il controllo. Il problema del finanziamento del deficit:
adesso sono comunque vicini all’avanzo primario. E poi, il mondo è
molto grande, potrebbero esistere finanziatori che si vogliono
impegnare. Gli scenari sono molto vari.
Se dovesse
vincere il sì, è chiaro che il governo cadrebbe e altre dosi massicce
di austerità (posto che Tsipras non rivinca le elezioni), quindi una
morte annunciata. Ma se dovesse vincere il no, anche in termini
politici quali scenari abbiamo davanti?
Il governo
greco ritiene che a quel punto la trattativa sarebbe più facile. A
giudicare dall'atteggiamento degli altri paesi europei però questo non
mi sembra scontato. Questo aumenta le probabilità di un'uscita della
Grecia dall'eurozona. Che però Tsipras continua a dire di non volere.
Di
fatto però i Trattati non prevedono giuridicamente un’uscita
dall’euro, quindi Tsipras gioca molto sul fatto che sarà la BCE
attraverso il blocco della liquidità a costringere il governo greco a
questa eventualità.
E’ evidente che l’obiettivo è
quello di lasciare il cerino a qualcun altro. Poi c’è la realtà e
l’informazione sulla realtà che spesso non coincide.
Certo una
delle possibilità è il blocco della liquidità, da parte della Bce, che
deriva dal default sul FMI e quindi la Grecia sarà spinta ad uscire. Il
problema su cosa sia scritto formalmente nei Trattati è però
secondario. Poi esiste la prassi. Ad esempio, l’Unione bancaria nasce
ignorando sistematicamente la normativa sugli aiuti di stato: il
salvataggio delle banche è un aiuto di stato fuori norma, dettato
dall’emergenza. Dall’altro lato, la diarchia franco-tedesca non è
scritta in nessun trattato, così come non esiste da nessuna parte che
si possa escludere la Grecia, in quanto Paese debitore,
dall’Eurogruppo.
Si fa un gran parlare di “contagio”
rispetto al resto dell’eurozona. Nei diversi scenari: default con e
senza grexit, sì al referendum e accordo con una nuova maggioranza di
governo, pagamento del debito ma senza nuovo memorandum, quali
sarebbero queste ripercussioni in termini economici e politici?
Credo
che le ripercussioni maggiori si avrebbero in relazione a un'uscita
della Grecia dall'eurozona. La rottura del tabù dell'irreversibilità
dell'euro sarebbe un segnale molto importante per i mercati, e credo che
condurrebbe a forti tensioni sui titoli di Stato di molti paesi tra
cui il nostro.
Vada come vada sull’euro. Varoufakis ha
sempre ribadito l’esigenza di affrontare i negoziati ponendo obiettivi
strutturali (occupazione, reddito, capacità produttiva) e non
strumentali come la moneta o la finanza. Fin quando si potrà negare,
anche altrove, tale approccio alla politica economica?
È
ovviamente insensato negare tale approccio, in termini generali. Ma il
problema è nei Trattati europei: quando il valore chiave e l'obiettivo
primario di policy è la stabilità dei prezzi, è ovvio che
l'occupazione e tutto il resto vengano in secondo piano. Non è un caso
che nella Costituzione italiana, che pone al centro il diritto al
lavoro, di stabilità dei prezzi non si parli neppure.
Che
interessi realmente hanno gli Stati come l’Italia, intesi come
collettività e non come governo/potere, a prendere posizione per il sì
al referendum greco?
Nessuno. Tantomeno a ritenere inopportuno che il popolo greco si esprima sulla questione, come ho sentito dire in questi giorni.
Per
quanto riguarda l’atteggiamento dei governi invece, soprattutto quelli
socialdemocratici (o di larghe intese), crede che il rifiuto totale alle
richieste di Tsipras e Varoufakis sia da attribuire esclusivamente a un
rapporto di forza (capitale/lavoro) oppure manca davvero una visione e
una cultura politica ed economica?
Le rispondo con un'osservazione di Wolfgang Münchau, un giornalista del Financial Times.
Dopo aver assistito a un dibattito televisivo tra i candidati della
Cdu e della Spd tedesca durante la campagna elettorale del 2013,
espresse in un commento tutto il suo sconcerto per il fatto che essi
proponevano, salvo sfumature poco rilevanti, la stessa politica
economica: una politica dell'offerta, caratteristica della tradizione
neoliberale. Questo è oggi il "pensiero unico" che è alla base anche
del rifiuto assoluto delle richieste del governo greco.
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