Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

09/07/2015

Yemen. Stragi (saudite) provocate da bombe “made in Sardegna”


Secondo le ultime notizie – che si fa fatica a trovare nel labirintico flusso dell’informazione mainstream – negli ultimi giorni almeno cento persone sarebbero rimaste uccise in una serie di bombardamenti aerei condotti dalla coalizione a guida saudita sullo Yemen. L’agenzia di stampa yemenita Saba ha riferito di almeno 54 morti, tutti civili, causati dai bombardamenti dei caccia delle petromonarchie nella provincia di Amran, a nord della capitale Sana’a, nella zona del mercato nel distretto di Eyal Yazeed. Altri attacchi hanno invece colpito il mercato di al Foyoush, nello Yemen meridionale, uccidendo 40 persone, e un posto di blocco dei ribelli sciiti houthi lungo la strada che collega Aden a Lhaj, dove i morti sarebbero stati 30.

La coalizione guidata dall’Arabia Saudita sta bombardando lo Yemen dal cielo e a volte anche dal mare ormai dalla fine di marzo, nel tentativo di obbligare i ribelli houthi e le forze militari fedeli all’ex presidente Saleh a rinunciare al controllo del paese e a far tornare in sella il governo fantoccio diretto dal presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, fuggito a Riad. A preoccupare i sauditi, oltre al fatto che gli sciiti sono sostenuti dall’Iran, anche il timore di perdere il controllo del golfo di Aden e dei traffici petroliferi che dal quel porto veicolano il greggio della penisola arabica verso i mercati internazionali.

Le Nazioni Unite, dopo aver coperto e sostenuto l’illegale intervento militare di una decina di paesi – petromonarchie più Egitto e Giordania – contro lo Yemen, si sono appellate poi numerose volte ai sauditi per porre fine ai raid aerei che, secondo le stime, avrebbero già causato più di tremila morti, gran parte dei quali civili, falciati dalle bombe sganciate sui centri abitati. La scorsa settimana l’inviato speciale dell’Onu per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha cercato di ottenere un cessate il fuoco dai rappresentanti houthi e dalla coalizione saudita per permettere il passaggio di aiuti umanitari nel paese, in applicazione di una risoluzione delle Nazioni Unite passata nel mese di aprile. La tregua dovrebbe cominciare il 17 luglio, a pochi giorni dall’Eid, la festività che marca la fine del mese di digiuno islamico del Ramadan. La scorsa settimana le Nazioni Unite hanno classificato quella generata nello Yemen dall’intervento militare saudita come una crisi umanitaria di livello tre, al pari di quella esistente in Siria. Sarebbero già un milione i profughi interni che cercano di scampare ai bombardamenti, e ai combattimenti, stremati dalla mancanza di acqua potabile, di cibo, di medicine, mentre il governo saudita e i suoi alleati bloccano gli aiuti internazionali con la giustificazione che dovrebbero passare al vaglio delle forze occupanti e che potrebbero nascondere rifornimenti ai ribelli houthi. Anche molte organizzazioni internazionali, dopo l’iniziale silenzio, hanno cominciato a denunciare le responsabilità delle petromonarchie per la gravissima situazione generata in Yemen dal loro intervento militare. Medici senza frontiere afferma che le sue strutture nel paese sono sovraccariche: i feriti civili nei raid aerei si contano a centinaia e molti muoiono per mancanza di cure adeguate. Amnesty international ha invece denunciato i bombardamenti indiscriminati della coalizione a guida saudita, condotti in violazione delle leggi internazionali che impongono di proteggere la vita dei civili.

Da dove vengono le armi che i sauditi e gli altri eserciti del ‘Polo islamico’ utilizzano contro il popolo yemenita per difendere i propri interessi strategici nell’aria e combattere una guerra per procura contro l’odiato Iran? L’Arabia Saudita ha scalato in pochi anni le classifiche mondiali della spesa in armamenti, superando anche potenze regionali di livello. Se una parte importante delle armi acquistate da Riad provengono dal tradizionale alleato statunitense – con il quale però negli ultimi anni la subalternità si è trasformata in autonomia e addirittura in competizione – bombe, navi, elicotteri e caccia arrivano ormai da numerosi produttori in concorrenza gli uni con gli altri. E, grazie ad una inchiesta pubblicata due settimane fa dal sito Reported.ly, siamo venuti a sapere che alcune delle bombe che fanno stragi di anziani, donne e bambini nello Yemen arrivano niente meno che da Domusnovas, in Sardegna.

Secondo Malachy Browne, autore dell’inchiesta che cita numerose prove e documenti, le parti necessarie ad assemblare le bombe Mk 82 e Mk 84 utilizzate dalla coalizione capeggiata dal regno wahabita provengono dagli impianti posseduti in provincia di Carbonia-Iglesias dalla RWM Italia Spa di Ghedi (provincia di Brescia), società sussidiaria del colosso tedesco degli armamenti Rheinmetall, finanziata non solo da importanti istituti finanziari e imprese internazionali, ma anche da fondi pensionistici dello Stato di New York e della Norvegia.

Le bombe da quasi 900 chilogrammi, di cui circa 250 di micidiale esplosivo sganciate dai caccia di Riad e degli Emirati Arabi Uniti sui palazzi e sui mercati di Sana’a e Aden proverrebbero da una fabbrica del Sulcis che impiega una ventina di operai a contratto e alcune decine di interinali, il cui numero aumenta in occasioni d’oro come quelle fornite dall’intervento saudita contro il paese colpevole di ospitare una battagliera comunità sciita. Per arrivare a destinazione, almeno secondo la ricostruzione di Browne, gli ordigni hanno fatto un lungo viaggio: i componenti sono stati spediti a Genova, poi attraversando il canale di Suez hanno raggiunto il porto di Gedda, in Arabia Saudita, dal quale sono poi stati trasferiti a Dubai, sempre via mare. Poi, via terra, sarebbero stati trasportati ad un impianto di Abu Dhabi (la capitale degli Emirati) dove sono stati finalmente assemblati. A provare il lungo percorso di morte i documenti sottratti dallo ‘Yemen Cyber Army’, un gruppo di hacker che si oppone all’invasione saudita e che ha fornito la ricostruzione dell’itinerario dalla Sardegna alla Penisola Arabica delle armi ‘made in Ue’.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento