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15/04/2016

Corea del Sud: schiaffo alla destra

di Mario Lombardo

Il trionfo del partito di governo di centro-destra in Corea del Sud, previsto da praticamente tutti i sondaggi alla vigilia del voto per il rinnovo del Parlamento di Seoul, non si è manifestato in nessun modo alla chiusura delle urne mercoledì nel paese dell’Asia nord-orientale. Anzi, il Partito Saenuri, o della “Nuova Frontiera”, della presidente, Park Geun-hye, è stata la prima formazione al potere a mancare la maggioranza assoluta da sedici anni a questa parte, oltretutto di fronte a un’opposizione di centro-sinistra divisa e screditata.

Dei 300 seggi del Parlamento unicamerale sudcoreano (Assemblea Nazionale), al Saenuri ne venivano accreditati fino a 180 da alcuni istituti di ricerca. L’ottimismo della classe dirigente e dei grandi conglomerati industriali del paese era palpabile, viste anche le ultime prestazioni elettorali dei partiti di opposizione, ed era ampiamente diffusa la speranza che il programma di liberalizzazione dell’economia della presidente Park avesse potuto alla fine sbloccarsi dopo lo stallo legislativo registrato nei primi tre anni del suo mandato.

Se l’agenda “pro-business” del centro-destra veniva e viene descritta dai principali media sudcoreani e internazionali come l’unica ricetta in grado di rivitalizzare l’economia, l’opinione degli elettori è risultata differente. La situazione interna è in effetti in chiaro deterioramento, con gli indicatori relativi al debito privato e alla disoccupazione, soprattutto giovanile, in netto aumento. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI), inoltre, nel suo ultimo rapporto sullo stato dell’economia mondiale, pubblicato settimana scorsa, ha ridotto le previsioni di crescita della Corea del Sud per il 2016 e il 2017 al 2,7% e al 2,9%, rispettivamente dal 2,9% e 3,2%.

Gli elettori sudcoreani hanno tuttavia percepito in maniera molto lucida il rischio di un ulteriore peggioramento in caso di implementazione delle misure ultra-liberiste volute dalla presidente Park, quanto meno riguardo le condizioni di vita di lavoratori e classe media, e alle urne hanno agito di conseguenza.

L’esito del voto è stato ancora più sorprendente se si considera che in campagna elettorale le questioni legate all’economia sono state a malapena trattate dai principali partiti, mentre il rinnovo del Parlamento è avvenuto nel pieno di una nuova crisi nei rapporti con la Corea del Nord. Il riaccendersi delle tensioni nella penisola di Corea favorisce in genere il partito conservatore che predilige un atteggiamento più fermo nei confronti del regime di Pyongyang. Il centro-sinistra, al contrario, preferisce tradizionalmente il ricorso al dialogo.

Il governo della presidente Park aveva cercato di capitalizzare gli eventi dei mesi scorsi, culminati con il quarto test nucleare da parte della Nordcorea. Ai primi di marzo, le sanzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza ONU erano state poi seguite da quelle unilaterali decise da Seoul. La Corea del Sud aveva infine sfruttato la situazione per far passare un pacchetto “anti-terrorismo” con varie misure anti-democratiche, amplificando la minaccia nordcoreana.

Alla fine, mercoledì il Partito Saenuri ha ottenuto appena 122 seggi, contro i 157 che occupava nel Parlamento uscente, ed è stato superato di un solo seggio dalla principale formazione di centro-sinistra, il Partito Minjoo. L’appena creato Partito Popolare è stato poi indicato come il vero vincitore delle elezioni, poiché a meno di tre mesi dalla sua fondazione ha raccolto 38 seggi, tra cui molti nelle province sud-occidentali di Jeolla (Settentrionale e Meridionale), tradizionale feudo del Partito Democratico, predecessore in varie incarnazioni del Minjoo.

Se la maggioranza assoluta è dunque perduta, il partito Saenuri potrebbe comunque tornare a essere il primo partito nel caso dovesse ricomporre le divisioni con alcuni suoi ex membri che hanno conquistato seggi presentandosi agli elettori come indipendenti. Alcuni di questi ultimi avevano abbandonato il loro partito, secondo la Associated Press in seguito a una “spaccatura tra la fazione dominante fedele a[lla presidente] Park e i riformisti”.

A influire sulla sconfitta del partito di governo è stata forse anche l’affluenza in aumento rispetto alle precedenti elezioni. Anche per questo dato i sondaggi sudcoreani hanno fallito le previsioni, dal momento che prospettavano un calo dei votanti a vantaggio dei conservatori.

La batosta subita dal Saenuri potrebbe quindi fare arenare in Parlamento le misure del governo per “stimolare” la crescita economica, anche se il sistema presidenziale “forte” sudcoreano prevede comunque un ampio controllo sulla politica domestica ed estera da parte del capo dello stato.

Tra le iniziative più controverse allo studio ve n’erano alcune relative al mercato del lavoro, soprattutto per estendere il periodo di utilizzo dei lavoratori con contratti temporanei e per facilitare i licenziamenti. I vertici del Partito Minjoo, peraltro, a dicembre avevano fatto sapere di essere disposti a valutare alcune di queste misure se l’allora maggioranza vi avesse apportato qualche modifica. Il Minjoo e il Partito Popolare, al di là della retorica, fanno infatti riferimento principalmente alle piccole e medie imprese sudcoreane, mentre il Saenuri è tradizionalmente l’espressione dei “chaebol”, cioè i grandi gruppi industriali del paese.

Le proposte del governo avevano comunque incontrato una forte resistenza tra la popolazione sudcoreana, evidentemente sottovalutata sia dalla classe politica sia dai media indigeni e internazionali. Nel novembre dello scorso anno, ad esempio, a Seoul era stata organizzata una massiccia manifestazione di protesta contro le politiche della destra, a cui avevano partecipato più di 100 mila persone. In quell’occasione, le forze di polizia erano intervenute duramente, lasciando sul campo decine di feriti.

Il voto di mercoledì ha dato poi indicazioni importanti anche in vista delle presidenziali che si terranno nel dicembre del 2017. In Corea del Sud, il capo dello stato può restare in carica per un singolo mandato di cinque anni, così che Park Geun-hye non potrà presentarsi alle prossime elezioni. Con il risultato deludente appena incassato, il Partito Saenuri vede dunque complicarsi gli scenari politici futuri. La leadership di Kim Moo-sung sarà quanto meno messa in discussione e quest’ultimo ha già offerto giovedì le proprie dimissioni al partito che ha convocato una sessione d’emergenza del direttivo per stabilire i prossimi passi.

In crescita sono invece da oggi le quotazioni dei due leader di centro-sinistra. Il numero uno del Partito Popolare, l’imprenditore informatico Ahn Cheol-soo, si è costruito un’immagine di onestà ed efficienza che incontra un qualche favore tra i più giovani. Già nel 2012 Ahn aveva annunciato la propria candidatura da indipendente alla presidenza, per poi abbandonare la corsa e appoggiare il candidato del Partito Democratico, Moon Jae-in, successivamente sconfitto da Park Geun-hye.

Il Partito Minjoo è guidato da Kim Chong-in, anch’egli possibile futuro candidato alla guida del paese asiatico per il 2017. Kim è in realtà il leader ad interim del partito, i cui vertici lo hanno installato solo pochi mesi fa, ed è stato consigliere economico della attuale presidente Park durante la campagna elettorale del 2012.

Il successo dell’opposizione nel voto di mercoledì è dovuto in ogni caso più all’impopolarità del partito al potere che ai propri meriti. I predecessori del Minjoo avevano perso due elezioni presidenziali consecutive – nel 2007 e nel 2012 – in larga misura a causa dell’ostilità popolare nei confronti delle politiche economiche implementate dai presidenti Kim Dae-jung (1998-2003) e Roh Moo-hyun (2003-2008).

Il discredito della principale formazione di centro-sinistra nell’ultimo decennio è testimoniato anche dal continuo ricorso a fusioni e cambi di nome. Quest’ultima è peraltro una pratica comune tra le forze politiche sudcoreane che cercano di ripulire la propria immagine e di far dimenticare i precedenti non troppo apprezzati dagli elettori. Lo stesso Saenuri aveva assunto questa denominazione nel febbraio del 2012, mentre in precedenza era noto come Grande Partito Nazionale.

Il partito Democratico, poi partito Democratico Unito e Nuova Alleanza Politica per la Democrazia aveva inoltre patito una scissione nel mese di gennaio di quest’anno, da cui era nato appunto il Partito Popolare. Le defezioni che avevano portato alla nascita di quest’ultima formazione, tra cui quella di Ahn Cheol-soo, avevano convinto i leader a ribattezzare il partito Minjoo.

La rottura era avvenuta proprio attorno alla leadership del partito e dopo che nel mese di dicembre Ahn aveva lanciato un ultimatum per indire un congresso straordinario al fine di rimpiazzare Moon Jae-in, da lui considerato inadatto a condurre il partito stesso alla vittoria nelle elezioni per l’Assemblea Nazionale.

Queste vicende testimoniano di un centro-sinistra sudcoreano tutt’altro che compatto o preparato ad affrontare i nuovi scenari parlamentari e le presidenziali del 2017, ma soprattutto a dare una risposta efficace alle tensioni sociali prodotte dalla situazione economica del paese e dai riflessi delle delicate questioni di politica estera che gravano su Seoul, a cominciare dallo scontro in atto con la Corea del Nord e dalle manovre dell’alleato americano in Estremo Oriente in chiave anti-cinese.

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