di Mario Lombardo
Il trionfo del partito di governo di centro-destra in Corea del Sud,
previsto da praticamente tutti i sondaggi alla vigilia del voto per il
rinnovo del Parlamento di Seoul, non si è manifestato in nessun modo
alla chiusura delle urne mercoledì nel paese dell’Asia nord-orientale.
Anzi, il Partito Saenuri, o della “Nuova Frontiera”, della presidente,
Park Geun-hye, è stata la prima formazione al potere a mancare la
maggioranza assoluta da sedici anni a questa parte, oltretutto di fronte
a un’opposizione di centro-sinistra divisa e screditata.
Dei 300
seggi del Parlamento unicamerale sudcoreano (Assemblea Nazionale), al
Saenuri ne venivano accreditati fino a 180 da alcuni istituti di
ricerca. L’ottimismo della classe dirigente e dei grandi conglomerati
industriali del paese era palpabile, viste anche le ultime prestazioni
elettorali dei partiti di opposizione, ed era ampiamente diffusa la
speranza che il programma di liberalizzazione dell’economia della
presidente Park avesse potuto alla fine sbloccarsi dopo lo stallo
legislativo registrato nei primi tre anni del suo mandato.
Se
l’agenda “pro-business” del centro-destra veniva e viene descritta dai
principali media sudcoreani e internazionali come l’unica ricetta in
grado di rivitalizzare l’economia, l’opinione degli elettori è risultata
differente. La situazione interna è in effetti in chiaro
deterioramento, con gli indicatori relativi al debito privato e alla
disoccupazione, soprattutto giovanile, in netto aumento. Il Fondo
Monetario Internazionale (FMI), inoltre, nel suo ultimo rapporto sullo
stato dell’economia mondiale, pubblicato settimana scorsa, ha ridotto le
previsioni di crescita della Corea del Sud per il 2016 e il 2017 al
2,7% e al 2,9%, rispettivamente dal 2,9% e 3,2%.
Gli elettori
sudcoreani hanno tuttavia percepito in maniera molto lucida il rischio
di un ulteriore peggioramento in caso di implementazione delle misure
ultra-liberiste volute dalla presidente Park, quanto meno riguardo le
condizioni di vita di lavoratori e classe media, e alle urne hanno agito
di conseguenza.
L’esito del voto è stato ancora più sorprendente
se si considera che in campagna elettorale le questioni legate
all’economia sono state a malapena trattate dai principali partiti,
mentre il rinnovo del Parlamento è avvenuto nel pieno di una nuova crisi
nei rapporti con la Corea del Nord. Il riaccendersi delle tensioni
nella penisola di Corea favorisce in genere il partito conservatore che
predilige un atteggiamento più fermo nei confronti del regime di
Pyongyang. Il centro-sinistra, al contrario, preferisce tradizionalmente
il ricorso al dialogo.
Il governo della presidente Park aveva
cercato di capitalizzare gli eventi dei mesi scorsi, culminati con il
quarto test nucleare da parte della Nordcorea. Ai primi di marzo, le
sanzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza ONU erano state poi
seguite da quelle unilaterali decise da Seoul. La Corea del Sud aveva
infine sfruttato la situazione per far passare un pacchetto
“anti-terrorismo” con varie misure anti-democratiche, amplificando la
minaccia nordcoreana.
Alla fine, mercoledì il Partito Saenuri ha
ottenuto appena 122 seggi, contro i 157 che occupava nel Parlamento
uscente, ed è stato superato di un solo seggio dalla principale
formazione di centro-sinistra, il Partito Minjoo. L’appena creato
Partito Popolare è stato poi indicato come il vero vincitore delle
elezioni, poiché a meno di tre mesi dalla sua fondazione ha raccolto 38
seggi, tra cui molti nelle province sud-occidentali di Jeolla
(Settentrionale e Meridionale), tradizionale feudo del Partito
Democratico, predecessore in varie incarnazioni del Minjoo.
Se
la maggioranza assoluta è dunque perduta, il partito Saenuri potrebbe
comunque tornare a essere il primo partito nel caso dovesse ricomporre
le divisioni con alcuni suoi ex membri che hanno conquistato seggi
presentandosi agli elettori come indipendenti. Alcuni di questi ultimi
avevano abbandonato il loro partito, secondo la Associated Press in
seguito a una “spaccatura tra la fazione dominante fedele a[lla
presidente] Park e i riformisti”.
A influire sulla sconfitta del
partito di governo è stata forse anche l’affluenza in aumento rispetto
alle precedenti elezioni. Anche per questo dato i sondaggi sudcoreani
hanno fallito le previsioni, dal momento che prospettavano un calo dei
votanti a vantaggio dei conservatori.
La batosta subita dal
Saenuri potrebbe quindi fare arenare in Parlamento le misure del governo
per “stimolare” la crescita economica, anche se il sistema
presidenziale “forte” sudcoreano prevede comunque un ampio controllo
sulla politica domestica ed estera da parte del capo dello stato.
Tra
le iniziative più controverse allo studio ve n’erano alcune relative al
mercato del lavoro, soprattutto per estendere il periodo di utilizzo
dei lavoratori con contratti temporanei e per facilitare i
licenziamenti. I vertici del Partito Minjoo, peraltro, a dicembre
avevano fatto sapere di essere disposti a valutare alcune di queste
misure se l’allora maggioranza vi avesse apportato qualche modifica. Il
Minjoo e il Partito Popolare, al di là della retorica, fanno infatti
riferimento principalmente alle piccole e medie imprese sudcoreane,
mentre il Saenuri è tradizionalmente l’espressione dei “chaebol”, cioè i
grandi gruppi industriali del paese.
Le proposte del governo
avevano comunque incontrato una forte resistenza tra la popolazione
sudcoreana, evidentemente sottovalutata sia dalla classe politica sia
dai media indigeni e internazionali. Nel novembre dello scorso anno, ad
esempio, a Seoul era stata organizzata una massiccia manifestazione di
protesta contro le politiche della destra, a cui avevano partecipato più
di 100 mila persone. In quell’occasione, le forze di polizia erano
intervenute duramente, lasciando sul campo decine di feriti.
Il
voto di mercoledì ha dato poi indicazioni importanti anche in vista
delle presidenziali che si terranno nel dicembre del 2017. In Corea del
Sud, il capo dello stato può restare in carica per un singolo mandato di
cinque anni, così che Park Geun-hye non potrà presentarsi alle prossime
elezioni. Con il risultato deludente appena incassato, il Partito
Saenuri vede dunque complicarsi gli scenari politici futuri. La
leadership di Kim Moo-sung sarà quanto meno messa in discussione e
quest’ultimo ha già offerto giovedì le proprie dimissioni al partito che
ha convocato una sessione d’emergenza del direttivo per stabilire i
prossimi passi.
In crescita sono invece da oggi le quotazioni dei
due leader di centro-sinistra. Il numero uno del Partito Popolare,
l’imprenditore informatico Ahn Cheol-soo, si è costruito un’immagine di
onestà ed efficienza che incontra un qualche favore tra i più giovani.
Già nel 2012 Ahn aveva annunciato la propria candidatura da indipendente
alla presidenza, per poi abbandonare la corsa e appoggiare il candidato
del Partito Democratico, Moon Jae-in, successivamente sconfitto da Park
Geun-hye.
Il Partito Minjoo è guidato da Kim Chong-in, anch’egli
possibile futuro candidato alla guida del paese asiatico per il 2017.
Kim è in realtà il leader ad interim del partito, i cui vertici lo hanno
installato solo pochi mesi fa, ed è stato consigliere economico della
attuale presidente Park durante la campagna elettorale del 2012.
Il
successo dell’opposizione nel voto di mercoledì è dovuto in ogni caso
più all’impopolarità del partito al potere che ai propri meriti. I
predecessori del Minjoo avevano perso due elezioni presidenziali
consecutive – nel 2007 e nel 2012 – in larga misura a causa
dell’ostilità popolare nei confronti delle politiche economiche
implementate dai presidenti Kim Dae-jung (1998-2003) e Roh Moo-hyun
(2003-2008).
Il discredito della principale formazione di
centro-sinistra nell’ultimo decennio è testimoniato anche dal continuo
ricorso a fusioni e cambi di nome. Quest’ultima è peraltro una pratica
comune tra le forze politiche sudcoreane che cercano di ripulire la
propria immagine e di far dimenticare i precedenti non troppo apprezzati
dagli elettori. Lo stesso Saenuri aveva assunto questa denominazione
nel febbraio del 2012, mentre in precedenza era noto come Grande Partito
Nazionale.
Il
partito Democratico, poi partito Democratico Unito e Nuova Alleanza
Politica per la Democrazia aveva inoltre patito una scissione nel mese
di gennaio di quest’anno, da cui era nato appunto il Partito Popolare.
Le defezioni che avevano portato alla nascita di quest’ultima
formazione, tra cui quella di Ahn Cheol-soo, avevano convinto i leader a
ribattezzare il partito Minjoo.
La rottura era avvenuta proprio
attorno alla leadership del partito e dopo che nel mese di dicembre Ahn
aveva lanciato un ultimatum per indire un congresso straordinario al
fine di rimpiazzare Moon Jae-in, da lui considerato inadatto a condurre
il partito stesso alla vittoria nelle elezioni per l’Assemblea
Nazionale.
Queste vicende testimoniano di un centro-sinistra
sudcoreano tutt’altro che compatto o preparato ad affrontare i nuovi
scenari parlamentari e le presidenziali del 2017, ma soprattutto a dare
una risposta efficace alle tensioni sociali prodotte dalla situazione
economica del paese e dai riflessi delle delicate questioni di politica
estera che gravano su Seoul, a cominciare dallo scontro in atto con la
Corea del Nord e dalle manovre dell’alleato americano in Estremo Oriente
in chiave anti-cinese.
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