Come si sa, uno dei meccanismi base della paranoia è la percezione fortemente sovradimensionata di un pericolo
e la conseguente risposta irrazionale ad esso. Teniamo fermo questo
assunto di base ed applichiamolo all’atteggiamento diffuso nei confronti
del fenomeno migratorio e di quello terroristico visto come
inevitabilmente interrelato. Non credo ci sia bisogno di particolari
citazioni di fonti per affermare che una parte significativa
dell’opinione pubblica europea (lasciamo perdere se maggioritaria o
meno, comunque rilevante) è convinta:
a. che sia in atto una “invasione” da parte dei popoli del sud del mondo ed in particolare islamici, principalmente a causa della debolezza delle classi dirigenti europee e solo in parte a causa delle guerre in corso in Siria, Iraq e Libia;
b. che l’atteggiamento delle classi
dirigenti europee nasconda, dietro pretesti falsamente umanitari,
precisi interessi (il timore di perdere il petrolio del medio oriente,
assicurarsi una sacca di forza lavoro di riserva per tenere bassi i
salari dei lavoratori indigeni, addirittura il disegno di promuovere una
mescolanza interrazziale che assicuri la docilità di un popolo senza
radici ed identità, di fronte ad una élite globalizzata ed a carattere
prevalentemente finanziario);
c. che l’immigrazione islamica (nel suo
complesso, senza distinzioni fra islamisti e moderati, che in questo
discorso, sono solo l’invenzione di qualcosa che non esiste) celi disegni di conquista dell’Europa
e distruzione della civiltà occidentale e che questo si esprima
attraverso l’attacco terroristico che è percepito come uno delle
principali emergenze del tempo presente;
d. che occorra difendersi da questa
invasione rafforzando la difesa dei confini marittimi in modo da
scoraggiare le migrazioni e moltiplicare i respingimenti;
e. più in particolare, che occorra
rivedere (e se possibile, eliminare) gli accordi di Schengen sulla libera
circolazione per battere il terrorismo.
Come sempre, ci sono elementi di verità in questo discorso (ad esempio, che la politica di “accoglienza” della Merkel abbia a che fare con la politica di bassi salari o che l’attuale ondata terroristica abbia una prevalente, se non esclusiva, connotazione islamica) ma il problema è la dimensione attribuita ai fenomeni in questione e la presenza di elementi del tutto infondati nel discorso.
Partiamo da un dato secco: recentemente,
un’ inchiesta ha comparato l’effettivo peso percentuale
dell’immigrazione sul totale della popolazione europea con la percezione
del fenomeno da parte dei cittadini indigeni. La percentuale reale
oscilla fra il 3 ed il 4% medio, con una punta massima dell’8%. Nello
stesso tempo, la “percezione” dei cittadini europei è che l’immigrazione
costituisca fra il 20 ed il 31% sul totale, cioè una percezione da 5 a
10 volte superiore alla realtà. In Italia, gli immigrati si aggirano fra
i 2 milioni e mezzo ed i tre, cioè il 5% circa, ma la percezione è 5
volte maggiore. Già questo mi sembra un indice interessante. Questo
forte divario fra sensazione soggettiva e realtà oggettiva è prodotta da
una serie di fattori: in primo luogo, gli immigrati sono immediatamente
“visibili” per le loro caratteristiche somatiche, in secondo luogo,
sono molto concentrati (soprattutto nelle città ed in alcune loro zone
particolari), per cui si ha la sensazione di una loro maggiore presenza.
Ma, soprattutto, la sensazione è amplificata dalla presenza del tema sui mass media. Dunque, l’invasione sta più nella testa della gente che nella realtà.
In secondo luogo. Non è affatto vero che la maggioranza degli immigrati siano arabi
o, comunque, di religione islamica (non tutti gli islamici sono arabi, e
non tutti i cittadini arabi sono di religione islamica). Gli islamici
si aggirano intorno al 30% sul totale, quindi sono fra l’1,5% ed il 2%
della popolazione del continente, che non sembrano i dati di una
invasione. Ma, soprattutto, (sorpresa!), la maggioranza assoluta degli
immigrati è di religione cristiana (latino americani, etiopici, eritrei,
filippini, est europei, minoranze cristiane di paesi a prevalenza
animista, induista o islamica). Immagino alcune reazioni dei lettori:
“Sono dati falsi” che è una classica reazione paranoica. Consiglio a chi
abbia di questi dubbi, di fare un piccolo test assolutamente empirico e
privo di valore scientifico: prendere un tram e contate i passeggeri,
poi quelli che, già dalle apparenze, denunciano una provenienza extra
comunitaria (capiterà di prendere siciliani o pugliesi per arabi e
rumeni per friulani e vice versa, ma con molta approssimazione la cosa
dovrebbe riuscire). Avrete una percentuale notevole, ma, in genere, al
di sotto della metà), dopo, tenete presente i dati ambientali (è ovvio
che a Milano ed in zone come via Sarpi o a Torino a Porta Palazzo, la
percentuale sarà sensibilmente più alta che a Barletta o Sacrofano) e
sociali (è molto più probabile che sia un immigrato a non avere l’auto e
prendere il tram che non un italiano) ed, anche a dividere per tre o
per quattro la percentuale prima calcolata, vi renderete conto di aver
ottenuto un dato non molto distante da quelli che vi ho fornito. Non vi
convince? Ripetete l’operazione su un treno, facendo caso alle
differenze fra una carrozza di prima ed una di seconda classe. Ripeto
che è una semplicissima verifica empirica che, però, dovrebbe per lo
meno farvi dubitare dei vostri dubbi.
Pertanto, sono da rivedere anche certe
convinzioni sulle cause dell’immigrazione: le guerre mediorientali hanno
il loro peso, ma, contrariamente a quanto si pensa, la maggioranza
degli arrivi, anche oggi, non sono affatto di siriani o irakeni, ma
dall’Africa sub Sahariana o dall’est europeo, spinti da altre ragioni. E
fra poco vedrete un’altra ondata di rifugiati molto più consistente, ma
da provenienze ben diverse: le previsioni parlano di una ondata
particolarmente pericolosa del “nino” (pronuncia “nigno”, scusatemi, ma
non trovo l’accento circonflesso sulla tastiera), la devastante
perturbazione del Pacifico meridionale, che, questa volta potrebbe
mettere a rischio la vita di 60 milioni di persone fra le coste
sudamericane a il Sud Africa orientale. Immaginate a quali flussi
migrativi andiamo incontro? Anche se una parte si dirigerà verso gli Usa
ed un’altra verso l’Australia, una bella fetta toccherà anche
all’Europa. Come si vede, il fenomeno ha una complessità molto maggiore
di quella che semplicisticamente si suole considerare.
Dunque, anche le considerazioni sui
complotti delle classi dirigenti europee non sembrano molto fondati,
anche perché i respingimenti sono tutt’altro che pochi, inoltre, occorre
tener presente che la maggior parte dei flussi clandestini, non
proviene affatto via mare, ma via terra, dalle frontiere orientali e,
nonostante i chilometri di filo spinato degli ungheresi, una parte non
piccola riesce comunque a passare, spesso grazie all'aiuto interessato della
malavita.
E veniamo al tema dell’immigrazione islamica e del rapporto con il
terrorismo. Che ci sia un problema particolare di convivenza fra noi e
gli islamici sarebbe sciocco negarlo, ma è per lo meno avventato ridurre
questo al solo fattore religioso (peraltro vissuto in modo diverso da
persona a persona), senza tener conto dei fattori sociali (ad esempio le
condizioni di vita nella banlieu parigina) e intersoggettive
(l’ostilità non va solo dagli immigrati islamici a noi, ma anche in
senso inverso e finisce per determinare un ciclo che si auto riproduce).
Quanto al terrorismo, le stime degli organi di polizia sono molto varie
perché adottano criteri molto diversi per cui c’è una banda di
oscillazione che va dalle 4.000 alle 20.000 unità su circa 30 milioni di
persone (tenendo conto solo dei paesi Ue ed escludendo, dunque Albania,
Macedonia ecc.), cioè parliamo di 1 persona su 150 nella ipotesi
superiore e di 1 su 700 circa in quella inferiore. Se consideriamo anche
gli islamisti di opinione ma non collegati ad alcuna organizzazione e
non dediti a pratiche jhiadiste, la proporzione sale considerevolmente,
ma resta comunque decisamente al di sotto del 5% sul totale di questi
migranti.
Vero è che esiste una “fascia grigia”
che, pur non aderendo a nessun orientamento islamista, ha un
atteggiamento anche solo passivamente non sfavorevole verso gli
jhiadisti, ma, anche in questo caso abbiamo una fascia decisamente
minoritaria – pur se consistente. Vice versa non possono tacersi la
partecipazione massiccia degli islamici alla manifestazione parigina
seguita alla strage di Charlie Hebdo, così come le continue
dichiarazioni di condanna delle comunità islamiche e della maggioranza
degli imam o ulama presenti in Europa.
D’altro canto, questa percezione del
conflitto in corso, che lo immagina essenzialmente come fra Europa cristiana
e Islam o fra civiltà e barbarie (secondo il modello del conflitto di
civiltà) perde di vista il suo aspetto principale che è quello di una
guerra civile interislamica. Pochissimi ricordano che il 95% delle
vittime del terrorismo jhiadista sino islamiche e non europee o
cristiane. Questo porta ad assumere l’Isis come avversario religioso e
non politico, quel che invece è, e ad assumere per autentiche le
finalità vantate nella sua propaganda (la distruzione del cristianesimo,
l’invasione di Europa) quando, invece il suo obiettivo è di natura
politico - statale e riguarda essenzialmente il progetto di un grande
stato islamista ad est di Suez.
Quanto al rifiuto di distinguere fra
islamisti ed islamici, assumendo l’intero Islam come avversario, è
esattamente quello che gli islamisti cercano di ottenere presentandosi
come unici veri rappresentanti dell’Islam e l’Europa come nemica di
tutti gli islamici indistintamente. Un ragguardevole favore fatto
all’avversario.
Le vittime del terrorismo jhiadista in
Europa, in un quindicennio sono state meno di 500, in un solo anno, in
Europa, ci sono circa 120.000 vittime per incidenti stradali e circa
3.000 per incidenti sul lavoro. Tuttavia, nonostante le morti sul lavoro
siano mediamente 90 volte superiori a quelle per terrorismo islamico,
non sembra che l’allarme sociale per le prime sia lontanamente
paragonabile a quello per le seconde, nonostante molte di esse siano
attribuibili a gravi negligenze delle imprese e potrebbero essere
evitate.
Questo non significa assolutamente che si
debba sottovalutare la gravità politica del fenomeno o non lo si debba
contrastare con la massima decisione (se lo pensassi non avrei scritto
un libro sull’argomento, il cui scopo è proprio quello di sollecitare un
contrasto più efficace contro lo jihadismo), ma che esso va, per così
dire, “ritarato”, riportato alle sue proporzioni ed alla sua natura
essenzialmente politica e non di conflitto di religione.
Riassumendo, abbiamo una percezione del fenomeno che presenta queste caratteristiche:
a. è fortemente sbilanciata nella
percezione quantitativa tanto in riferimento all’immigrazione nel suo
complesso, quanto a quella islamica in particolare;
b. è fortemente sopravvalutato dal punto di vista militare;
c. è valutato in modo errato sotto il profilo politico, in particolare nei reali obiettivi dell’avversario.
Tutti sintomi, direi abbastanza chiari
di una percezione paranoica del fenomeno. Sulle cause di questa ondata
di paranoia ragioneremo in un prossimo pezzo.
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