Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

15/04/2016

Immigrati, terrorismo e paranoia

Come si sa, uno dei meccanismi base della paranoia è la percezione fortemente sovradimensionata di un pericolo e la conseguente risposta irrazionale ad esso. Teniamo fermo questo assunto di base ed applichiamolo all’atteggiamento diffuso nei confronti del fenomeno migratorio e di quello terroristico visto come inevitabilmente interrelato. Non credo ci sia bisogno di particolari citazioni di fonti per affermare che una parte significativa dell’opinione pubblica europea (lasciamo perdere se maggioritaria o meno, comunque rilevante) è convinta:

a. che sia in atto una “invasione” da parte dei popoli del sud del mondo ed in particolare islamici, principalmente a causa della debolezza delle classi dirigenti europee e solo in parte a causa delle guerre in corso in Siria, Iraq e Libia;

b. che l’atteggiamento delle classi dirigenti europee nasconda, dietro pretesti falsamente umanitari, precisi interessi (il timore di perdere il petrolio del medio oriente, assicurarsi una sacca di forza lavoro di riserva per tenere bassi i salari dei lavoratori indigeni, addirittura il disegno di promuovere una mescolanza interrazziale che assicuri la docilità di un popolo senza radici ed identità, di fronte ad una élite globalizzata ed a carattere prevalentemente finanziario);

c. che l’immigrazione islamica (nel suo complesso, senza distinzioni fra islamisti e moderati, che in questo discorso, sono solo l’invenzione di qualcosa che non esiste) celi disegni di conquista dell’Europa e distruzione della civiltà occidentale e che questo si esprima attraverso l’attacco terroristico che è percepito come uno delle principali emergenze del tempo presente;

d. che occorra difendersi da questa invasione rafforzando la difesa dei confini marittimi in modo da scoraggiare le migrazioni e moltiplicare i respingimenti;

e. più in particolare, che occorra rivedere (e se possibile, eliminare) gli accordi di Schengen sulla libera circolazione per battere il terrorismo.

Come sempre, ci sono elementi di verità in questo discorso (ad esempio, che la politica di “accoglienza” della Merkel abbia a che fare con la politica di bassi salari o che l’attuale ondata terroristica abbia una prevalente, se non esclusiva, connotazione islamica) ma il problema è la dimensione attribuita ai fenomeni in questione e la presenza di elementi del tutto infondati nel discorso.

Partiamo da un dato secco: recentemente, un’ inchiesta ha comparato l’effettivo peso percentuale dell’immigrazione sul totale della popolazione europea con la percezione del fenomeno da parte dei cittadini indigeni. La percentuale reale oscilla fra il 3 ed il 4% medio, con una punta massima dell’8%. Nello stesso tempo, la “percezione” dei cittadini europei è che l’immigrazione costituisca fra il 20 ed il 31% sul totale, cioè una percezione da 5 a 10 volte superiore alla realtà. In Italia, gli immigrati si aggirano fra i 2 milioni e mezzo ed i tre, cioè il 5% circa, ma la percezione è 5 volte maggiore. Già questo mi sembra un indice interessante. Questo forte divario fra sensazione soggettiva e realtà oggettiva è prodotta da una serie di fattori: in primo luogo, gli immigrati sono immediatamente “visibili” per le loro caratteristiche somatiche, in secondo luogo, sono molto concentrati (soprattutto nelle città ed in alcune loro zone particolari), per cui si ha la sensazione di una loro maggiore presenza. Ma, soprattutto, la sensazione è amplificata dalla presenza del tema sui mass media. Dunque, l’invasione sta più nella testa della gente che nella realtà.

In secondo luogo. Non è affatto vero che la maggioranza degli immigrati siano arabi o, comunque, di religione islamica (non tutti gli islamici sono arabi, e non tutti i cittadini arabi sono di religione islamica). Gli islamici si aggirano intorno al 30% sul totale, quindi sono fra l’1,5% ed il 2% della popolazione del continente, che non sembrano i dati di una invasione. Ma, soprattutto, (sorpresa!), la maggioranza assoluta degli immigrati è di religione cristiana (latino americani, etiopici, eritrei, filippini, est europei, minoranze cristiane di paesi a prevalenza animista, induista o islamica). Immagino alcune reazioni dei lettori: “Sono dati falsi” che è una classica reazione paranoica. Consiglio a chi abbia di questi dubbi, di fare un piccolo test assolutamente empirico e privo di valore scientifico: prendere un tram e contate i passeggeri, poi quelli che, già dalle apparenze, denunciano una provenienza extra comunitaria (capiterà di prendere siciliani o pugliesi per arabi e rumeni per friulani e vice versa, ma con molta approssimazione la cosa dovrebbe riuscire). Avrete una percentuale notevole, ma, in genere, al di sotto della metà), dopo, tenete presente i dati ambientali (è ovvio che a Milano ed in zone come via Sarpi o a Torino a Porta Palazzo, la percentuale sarà sensibilmente più alta che a Barletta o Sacrofano) e sociali (è molto più probabile che sia un immigrato a non avere l’auto e prendere il tram che non un italiano) ed, anche a dividere per tre o per quattro la percentuale prima calcolata, vi renderete conto di aver ottenuto un dato non molto distante da quelli che vi ho fornito. Non vi convince? Ripetete l’operazione su un treno, facendo caso alle differenze fra una carrozza di prima ed una di seconda classe. Ripeto che è una semplicissima verifica empirica che, però, dovrebbe per lo meno farvi dubitare dei vostri dubbi.

Pertanto, sono da rivedere anche certe convinzioni sulle cause dell’immigrazione: le guerre mediorientali hanno il loro peso, ma, contrariamente a quanto si pensa, la maggioranza degli arrivi, anche oggi, non sono affatto di siriani o irakeni, ma dall’Africa sub Sahariana o dall’est europeo, spinti da altre ragioni. E fra poco vedrete un’altra ondata di rifugiati molto più consistente, ma da provenienze ben diverse: le previsioni parlano di una ondata particolarmente pericolosa del “nino” (pronuncia “nigno”, scusatemi, ma non trovo l’accento circonflesso sulla tastiera), la devastante perturbazione del Pacifico meridionale, che, questa volta potrebbe mettere a rischio la vita di 60 milioni di persone fra le coste sudamericane a il Sud Africa orientale. Immaginate a quali flussi migrativi andiamo incontro? Anche se una parte si dirigerà verso gli Usa ed un’altra verso l’Australia, una bella fetta toccherà anche all’Europa. Come si vede, il fenomeno ha una complessità molto maggiore di quella che semplicisticamente si suole considerare.

Dunque, anche le considerazioni sui complotti delle classi dirigenti europee non sembrano molto fondati, anche perché i respingimenti sono tutt’altro che pochi, inoltre, occorre tener presente che la maggior parte dei flussi clandestini, non proviene affatto via mare, ma via terra, dalle frontiere orientali e, nonostante i chilometri di filo spinato degli ungheresi, una parte non piccola riesce comunque a passare, spesso grazie all'aiuto interessato della malavita.
 
E veniamo al tema dell’immigrazione islamica e del rapporto con il terrorismo. Che ci sia un problema particolare di convivenza fra noi e gli islamici sarebbe sciocco negarlo, ma è per lo meno avventato ridurre questo al solo fattore religioso (peraltro vissuto in modo diverso da persona a persona), senza tener conto dei fattori sociali (ad esempio le condizioni di vita nella banlieu parigina) e intersoggettive (l’ostilità non va solo dagli immigrati islamici a noi, ma anche in senso inverso e finisce per determinare un ciclo che si auto riproduce). Quanto al terrorismo, le stime degli organi di polizia sono molto varie perché adottano criteri molto diversi per cui c’è una banda di oscillazione che va dalle 4.000 alle 20.000 unità su circa 30 milioni di persone (tenendo conto solo dei paesi Ue ed escludendo, dunque Albania, Macedonia ecc.), cioè parliamo di 1 persona su 150 nella ipotesi superiore e di 1 su 700 circa in quella inferiore. Se consideriamo anche gli islamisti di opinione ma non collegati ad alcuna organizzazione e non dediti a pratiche jhiadiste, la proporzione sale considerevolmente, ma resta comunque decisamente al di sotto del 5% sul totale di questi migranti.

Vero è che esiste una “fascia grigia” che, pur non aderendo a nessun orientamento islamista, ha un atteggiamento anche solo passivamente non sfavorevole verso gli jhiadisti, ma, anche in questo caso abbiamo una fascia decisamente minoritaria – pur se consistente. Vice versa non possono tacersi la partecipazione massiccia degli islamici alla manifestazione parigina seguita alla strage di Charlie Hebdo, così come le continue dichiarazioni di condanna delle comunità islamiche e della maggioranza degli imam o ulama presenti in Europa.

D’altro canto, questa percezione del conflitto in corso, che lo immagina essenzialmente come fra Europa cristiana e Islam o fra civiltà e barbarie (secondo il modello del conflitto di civiltà) perde di vista il suo aspetto principale che è quello di una guerra civile interislamica. Pochissimi ricordano che il 95% delle vittime del terrorismo jhiadista sino islamiche e non europee o cristiane. Questo porta ad assumere l’Isis come avversario religioso e non politico, quel che invece è, e ad assumere per autentiche le finalità vantate nella sua propaganda (la distruzione del cristianesimo, l’invasione di Europa) quando, invece il suo obiettivo è di natura politico - statale e riguarda essenzialmente il progetto di un grande stato islamista ad est di Suez.

Quanto al rifiuto di distinguere fra islamisti ed islamici, assumendo l’intero Islam come avversario, è esattamente quello che gli islamisti cercano di ottenere presentandosi come unici veri rappresentanti dell’Islam e l’Europa come nemica di tutti gli islamici indistintamente. Un ragguardevole favore fatto all’avversario.

Le vittime del terrorismo jhiadista in Europa, in un quindicennio sono state meno di 500, in un solo anno, in Europa, ci sono circa 120.000 vittime per incidenti stradali e circa 3.000 per incidenti sul lavoro. Tuttavia, nonostante le morti sul lavoro siano mediamente 90 volte superiori a quelle per terrorismo islamico, non sembra che l’allarme sociale per le prime sia lontanamente paragonabile a quello per le seconde, nonostante molte di esse siano attribuibili a gravi negligenze delle imprese e potrebbero essere evitate.
 
Questo non significa assolutamente che si debba sottovalutare la gravità politica del fenomeno o non lo si debba contrastare con la massima decisione (se lo pensassi non avrei scritto un libro sull’argomento, il cui scopo è proprio quello di sollecitare un contrasto più efficace contro lo jihadismo), ma che esso va, per così dire, “ritarato”, riportato alle sue proporzioni ed alla sua natura essenzialmente politica e non di conflitto di religione.

Riassumendo, abbiamo una percezione del fenomeno che presenta queste caratteristiche:

a. è fortemente sbilanciata nella percezione quantitativa tanto in riferimento all’immigrazione nel suo complesso, quanto a quella islamica in particolare;

b. è fortemente sopravvalutato dal punto di vista militare;

c. è valutato in modo errato sotto il profilo politico, in particolare nei reali obiettivi dell’avversario.

Tutti sintomi, direi abbastanza chiari di una percezione paranoica del fenomeno. Sulle cause di questa ondata di paranoia ragioneremo in un prossimo pezzo.

Nessun commento:

Posta un commento