Vanno di moda, sotto campagna elettorale, le promesse di privatizzazione. Attorno alla svendita del patrimonio pubblico, tanto immobiliare quanto produttivo o legato ai servizi, una parte dell’establishment politico punta a guadagnare voti e costruirsi credibilità. Una volta le privatizzazioni si negavano in campagna elettorale per poi attuarle di nascosto una volta al governo. Oggi si sfruttano come slogan elettorale.
Giuliano Amato nel 1990 |
Giuliano Amato nel 1991 |
Giuliano Amato nel 1992 |
Lungi dal far perdere voti, l’assioma perverso oggi identifica la volontà di privatizzare con la lotta alla casta. Questi i frutti scellerati del grillismo e del populismo cripto-liberista montante tanto a destra come a sinistra. Il ragionamento del candidato Pd Roberto Giachetti raggiunge però vertici di irrazionalità e contraddittorietà da elevarlo a caso di studio, prototipo di una nuova mentalità politica aliena alla ragione, anche fosse quella economico-liberista.
Secondo Giachetti l’azienda dei trasporti pubblici cittadina, l’Atac, andrebbe si privatizzata, ma solo dopo un processo di risanamento che ne elimini i debiti accumulati. Lo spirito dei tempi è dato in questo caso non tanto dal ragionamento folle, ma dal fatto che un candidato possa dire cose del genere senza essere deriso e rincorso fin sotto casa, da destra a sinistra.
Ma come!, la pappa ideologica alla base del processo di privatizzazione dovrebbe essere proprio quella di limitare il debito pubblico, sfrondando quei rami economici che generano debiti, e Giachetti cosa propone? Di impiegare altri soldi pubblici, che incideranno in maniera determinante sul debito pubblico cittadino (per un miliardo e mezzo di euro), per risanare un’azienda che tanto poi andrebbe comunque svenduta?
Razionalità liberista vorrebbe che lo scambio alla base della privatizzazione sarebbe quello di vendere un’azienda che fornisce un servizio ineliminabile (in questo caso il trasporto pubblico), dunque una fonte di profitti sicuri per qualsiasi impresa privata, vista l’assenza di competitor che ne determinerebbe il regime di fatto monopolistico o al limite oligopolistico, in cambio almeno dell’accollo dei debiti pregressi, liberando così il Comune dalla necessità di risanamento.
Al privato l’onore del profitto in cambio dell’onere del debito. E invece Giachetti sta proponendo, come se niente fosse e anzi applaudito dai Radicali – quelli sempre in prima fila nelle battaglie dirittociviliste tanto care a una certa sinistra – di risanare coi soldi pubblici un bene che poi non genererà alcun ritorno economico per le casse comunali (lasciamo perdere il ritorno economico per la collettività..), se non una svendita che per forza di cose equivarrà alla perdita strutturale di una fonte d’entrata per l’amministrazione.
Questo il candidato del Pd, un personaggio che circola nei corridoi della politica romana da circa trent’anni, che è stato al governo della città per altrettanti anni sotto varie forme, che tante volte è stato indicato – lui e il suo partito – come “menopeggio”, e che oggi chiede il voto in nome di una discontinuità inesistente basata unicamente sul processo di svendita del patrimonio pubblico ai privati. L’irrazionalità liberista rimane l’unico dato certo di queste tristi elezioni.
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