di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Dalla rete alla piazza il
passo è breve: il Movimento 6 Aprile, leader della rivoluzione del 2011
(dichiarato organizzazione terroristica, i suoi esponenti tutti in
carcere), ha annunciato per oggi una manifestazione in Piazza Tahrir e
in altre province egiziane contro la cessione delle isole del Mar Rosso,
Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita. Sotto lo slogan «Sopra i
nostri cadaveri», i sostenitori del movimento si ritroveranno a Tahrir
dopo essere partiti da 30 diverse moschee del Cairo. Hanno già
aderito molti movimenti di base, i socialisti rivoluzionari, il partito
al-Dustour (fondato dal premio Nobel al-Baradei), il nasseriano Popular
Current Party e i Fratelli Musulmani, considerati terroristi dal
governo. Gli organizzatori puntano ad un milione di manifestanti.
Manifestazione, ovviamente, non autorizzata dal Ministero degli Interni che dichiara all’agenzia al-Bawaba di non aver ricevuto alcuna richiesta:
la legge promossa da al-Sisi vieta proteste senza via libera del
governo. Poco dopo viene pubblicato un avvertimento ufficiale: non
scendete in piazza, scrive il Ministero degli Interni. «Facciamo
appello ai cittadini: vi mettiamo in guardia contro ogni tentativo di
violare la legge o saranno prese le misure necessarie a garantire la
sicurezza».
Il rischio è che la protesta dia l’opportunità alla polizia di
intervenire con la violenza, come spesso accaduto dal luglio 2013 ad
oggi. Massacri e arresti di massa che mercoledì un rapporto di Human
Rights Watch ha in parte fotografato: dall’ottobre 2014 almeno 7.420 civili sono stati giudicati da corti militari,
spesso in processi di massa che – dice l’organizzazione – «violano il
diritto fondamentale ad un giudizio equo» e «accelerano la repressione
degli oppositori».
Fondato sui dati raccolti dall’associazione indipendente Egyptian
Coordination for Rights and Freedom, l’Hrw riporta di confessioni
strappate sotto tortura e di 86 minorenni in giudizio, grazie
all’autorità regalata da al-Sisi alla sicurezza interna con la legge
anti-terrorismo che pone ogni proprietà pubblica – comprese strade e
piazza – sotto giurisdizione militare.
Solo un giorno prima il presidente aveva assicurato: «Il problema più grave dell’Egitto non è la libertà di espressione». Ieri
i media hanno risposto al presidente e all’accusa di propaganda. Nel
mirino della stampa, molto più del caso Regeni, c’è la cessione delle
due isole a Riyadh. Per al-Sisi l’ancora di salvataggio dalla crisi
economica, per l’opinione pubblica una vergognosa violazione della
sovranità. Tra i più critici c’è il quotidiano del governo al-Ahram che in un editoriale di Osama al-Ghazaly Harb rigira la questione: «La colpa non è dei media, ma del governo».
Sul Daily News Egypt le reazioni sono lasciate agli
analisti: «Il presidente getta le responsabilità sui media, senza
guardare ai fallimenti dovuti alla sua cattiva gestione e alla mancanza
di esperienza – dice il commentatore politico Ammar Ali Hassan – Temo
che la prossima volta manderà un messaggio più diretto, misure contro
gli oppositori».
Ma è sui social network che il popolo egiziano si prende gioco del
presidente-golpista: vignette che ritraggono il monarca saudita portarsi
via le due isole su un tappeto volante a forma di dollaro e tweet sui
regali di Riyadh al presidente e ai ministri egiziani. Orologi Rolex da
150mila e 300mila dollari, riporta il sito Middle East Observer,
e Tissot da 1.500 dollari a oltre 500 membri del parlamento. Intanto
una petizione online contro la cessione ha già raggiunto quasi 20mila
firme.
Eppure Il Cairo del golpe gode ancora di protezione
internazionale. Così si comprende l’ostinata spavalderia di al-Sisi nei
confronti di un alleato come l’Italia: ha salvagenti a cui aggrapparsi.
Ha l’Arabia Saudita e i suoi 20 miliardi di dollari in investimenti; ha
la Francia pronta a sostituire Roma come primo partner europeo nel
settore commerciale e militare (basta buttare un occhio alle ambizioni
belliche di Parigi nella vicina Libia); ha la Banca Mondiale che ieri ha
dato il via libera al primo di tre miliardi di dollari di prestito per
sostenere la traballante economia egiziana.
E ha l’Unione Europea che, pur condannando l’omicidio di Giulio, non
discute le relazioni con il principale partner nel Mediterraneo del Sud:
dal 2004 ad oggi il commercio bilaterale è raddoppiato, con un apice di
24 miliardi di euro nel 2012. Tra le importazioni crescono carburante,
tessile e prodotti chimici; nell’export servizi di terziario e
macchinari.
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