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02/11/2016

Turchia, torna la pena di morte. Ancora purghe e giornalisti in manette

La morsa della censura sui media in Turchia si fa sempre più stretta, arrivando a colpire praticamente tutti i media di opposizione. Ieri mattina all'alba la polizia ha realizzato una maxi-retata contro Cumhuriyet, storico quotidiano laico del Paese più volte preso di mira dal regime negli ultimi mesi. Sono stati emessi diciotto mandati di cattura nei confronti di altrettanti giornalisti che occupano anche posizioni di direzione della testata, tra le più lette in Turchia. Tra i 13 fermati figurano Murat Sabuncu, direttore del quotidiano, i giornalisti veterani Aydin Engin e Hikmet Cetinkaya, il rappresentante dei lettori Guray Oz, il caricaturista Musa Kart e Kadri Gursel, consulente editoriale della testata, nonché membro direttivo dell'Istituto internazionale di stampa (IPI).

Le forze di sicurezza hanno perquisito le case dei giornalisti, inclusa quella di Can Dundar, ex direttore di Cumhuriyet che ora si trova in Germania e per il quale è stato emanato sempre ieri mattina un nuovo ordine di cattura dopo quello che lo aveva raggiunto a causa di uno scoop che rivelava la complicità del regime di Erdogan con i jihadisti attivi in Siria. Al momento dei blitz della polizia si trovavano all'estero anche il giornalista Nebil Ozgenturk e Akin Atalay, avvocato della testata e presidente del consiglio esecutivo della fondazione a cui appartiene Cumhuriyet.

Lo staff del quotidiano più antico del Paese e il cui nome (“Repubblica”) fu scelto dallo stesso fondatore della Turchia moderna Mustafa Kemal, è accusato degli stessi reati per cui negli ultimi mesi sono già state chiuse decine di altri media. Nel caso specifico, i giornalisti in questione sono accusati di aver commesso dei crimini "a nome dei gruppi terroristici PKK e FETO", ossia il Partito dei lavoratori del Kurdistan e il movimento dell'ex imam Fethullah Gulen, che Ankara indica come responsabile del fallito golpe del 15 luglio scorso.

L'ordine di fermo della magistratura di Istanbul fa inoltre riferimento alle accuse di "irregolarità" commesse durante l'ultima elezione per definire i membri direttivi della Fondazione Cumhuriyet. Un'espressione che è stata valutata da diversi osservatori come un possibile segnale dell'eventuale commissariamento (e conseguente chiusura) del quotidiano, una sorte già toccata a numerosi media. Intanto, l'indagine risulta attualmente coperta da segreto istruttorio e secondo quanto riportato dal quotidiano online T24, ai giornalisti indagati è stato posto il divieto di vedere i propri avvocati per ben 5 giorni.

La giornalista Ayse Yildirim, in una dichiarazione realizzata a nome del quotidiano, ha definito le accuse "ridicole", ed ha affermato che "le decisioni di fermo vanno contro la legge e le accuse sono immaginarie. Cumhuriyet non ha mai collaborato né con FETO e nemmeno con il PKK ed è impossibile che possa collaborarvi". Yildirim ha inoltre aggiunto che allo stato attuale non è rimasto un solo dirigente di testata a piede libero" ma tutti quelli che lavorano in questo giornale sono dirigenti. Noi abbiamo subito simili pressioni anche in passato e non ci piegheremo. Qui è in atto un golpe che mira a colpire il diritto dei cittadini a informarsi. Invitiamo tutti a unirsi in solidarietà per il diritto di informare e di essere informati".

Ieri alcune centinaia di lettori e di membri delle organizzazioni per la libertà di stampa si sono radunati davanti alla redazione di Istanbul per sostenere il quotidiano. Anche numerosi dirigenti del Partito Repubblicano del Popolo (Chp, laico e nazionalista di centrosinistra) e del Partito democratico dei popoli (Hdp, riunisce sinistra curda e turca) si sono recati nelle sedi di Istanbul ed Ankara del giornale condannando i fermi. Il co-leader dell'HDP, ricordando il recente arresto dei co-sindaci curdi di Diyarbakir Gulten Kisanak e Firat Anli, ha affermato che l'operazione rivolta ai giornalisti di Cumhuriyet si inserisce all'interno di uno stesso, unico obiettivo, quello di raggiungere "la meta della dittatura".

A sua volta, Cemal Canpolat, presidente del CHP della circoscrizione di Istanbul, ha attirato l'attenzione sulla prossimità del referendum che il governo di Ankara vorrebbe sottoporre ai cittadini per approvare il sistema presidenziale in Turchia. "Vogliono andare al referendum con una stampa muta" ha affermato il politico. "Se le istituzioni dell'UE vogliono dire la loro sulla questione, questo è il momento giusto", ha affermato invece Erol Onderoglu, rappresentante di Reporters Senza Frontiere in Turchia. Nel paese sono ormai 130 circa i giornalisti e i fotoreporter chiusi nelle galere.

Anche le purghe nell'amministrazione pubblica non accennano a fermarsi. Il regime ha licenziato altri 10.000 funzionari pubblici, anche in questo caso accusati di avere a che fare con il fallito putsch di luglio. Stando ai due decreti pubblicati sulla Gazzetta ufficiale, complessivamente sono stati rimossi 10.131 dipendenti dello Stato, in particolare dei ministeri dell'Istruzione, della Giustizia e della Sanità.

Negli stessi decreti è stata anche annunciata la chiusura di 15 media, la maggior parte dei quali vicini alla causa e alla comunità curda, ed anche la soppressione dell'elezione dei rettori delle Università, che d'ora in poi saranno scelti dal presidente Recep Tayyip Erdogan tra i candidati selezionati dal Consiglio dell'istruzione superiore. Questo dopo che a migliaia rettori, presidi di facoltà e docenti sono stati arrestati o licenziati o sospesi dal servizio nei mesi scorsi.

Dopo il tentato golpe di luglio sono state arrestate più di 35.000 persone, mentre molte decine di migliaia di insegnanti, poliziotti, magistrati, avvocati e dipendenti pubblici di vario tipo sono stati licenziati o sospesi.

Intanto i due sindaci di Diyarbakir, la principale città a maggioranza curda del Sud-est della Turchia, sono stati posti sotto custodia cautelare per attività "terroristiche" legate al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk).

Gültan Kisanak e Firat Anli sono accusati di "appartenenza a un'organizzazione terroristica armata" e di "sostegno logistico a un'organizzazione terroristica armata", stando a quanto si legge nel comunicato diffuso dal tribunale di Diyarbakir.

L'arresto di Kisanak e Anli, martedì scorso, aveva scatenato violente proteste non solo a Diyarbalkir ma anche in varie città del Kurdistan turco. L'altro ieri è stato arrestato anche Ayla Akat Ata, un ex deputato del “Partito della pace e della democrazia”, una formazione curda giù più volte presa di mira dalla repressione del regime.

Che intanto sembra proprio intenzionato a dar seguito alle minacce di ripristino della pena di morte lanciate subito dopo il maldestro tentativo da parte di alcuni ambienti militari di impossessarsi del potere.

Lo stesso capo del regime, Recep Tayyip Erdogan, ha annunciato che una proposta di legge per ristabilire la pena capitale verrà presto sottoposta al Parlamento di Ankara.

"Il nostro governo sottoporrà (la proposta per la reintroduzione della pena di morte) al Parlamento. E io sono convinto che il Parlamento l'approverà e, quando arriverà davanti a me, io la ratificherò", ha detto Erdogan durante un discorso nella capitale di fronte ad una folla che reclamava l'applicazione della pena capitale per i golpisti di luglio.

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