“In lontananza una fiammata di gas [...] ci rammentava che questo era un paese ricco di petrolio e che proprio dalle viscere di questa terra proveniva il liquido tanto ambito, che alimentava gli ingranaggi della civiltà moderna. Provai allora quello straziante dolore che la conoscenza riserva a coloro che riescono a distinguere l’abisso tra ciò che è e ciò che potrebbe essere”. Così Ken Saro Wiwa, scrittore e militante nigeriano, assassinato il 10 novembre 1995, riassumeva in uno dei suoi racconti di viaggio la grande contraddizione del suo paese, una povera nazione africana detentrice di una smisurata quantità di petrolio, l’oro nero che pompava l’economia mondiale.
Un paese che nell’aspetto attuale altro non è che una costruzione artificiale delle politiche coloniali, erede di una lunga storia di sfruttamento di tipo predatorio. Riserva di schiavi dopo le “grandi scoperte”, nei secoli a venire la Nigeria fu interessata dalle esigenze della rivoluzione industriale che ne fecero un importante produttore di olio di palma da esportare nei mercati europei. Il processo di industrializzazione stravolse completamente il territorio, “disboscato, sezionato e coperto di strade, città, ferrovie, porti [...] e caserme, carceri e tribunali”.
Colonia britannica dal 1914, la Nigeria ha ottenuto l’indipendenza nel 1960 riunendo in una nuova nazione trecentocinquanta etnie diverse. A devastare completamente il paese è stata l’economia del petrolio, i cui giacimenti sono stati scoperti alla fine degli anni ’50 nel territorio abitato dagli Ogoni, un gruppo etnico di 500.000 persone, stanziato tra le paludi del Delta del Niger.
L’installazione nel territorio delle grandi multinazionali del petrolio, quali Shell, Agip e Chevron, protette dai corrotti governi locali, ha portato al collasso l’ecosistema dell’estuario del Delta interessato da un’attività estrattiva fuori controllo. L’ONU registra costantemente nei suoi rapporti questa attività, classificandola come responsabile di “disastro ecologico”. Così si espresse Ken Saro Wiwa a Ginevra nel 1992: “L’estrazione del petrolio ha trasformato quest’area in una landa desolata. L’inquinamento del suolo, dei fiumi e dei corsi d’acqua è capillare e continuo; l’aria è satura di vapori di idrocarburi, di metano, di monossido di carbonio, di anidride carbonica e della fuliggine tossica provocata dai gas che bruciano ventiquattrore al giorno. Piogge acide, fuoriuscite di petrolio ed esplosioni hanno devastato la regione. Le condutture di petrolio ad alta pressione attraversano pericolosamente le fattorie e i paesi”. In una delle aree più ricche della Nigeria, in cambio di questo tributo, gli “Ogoni non hanno ricevuto NIENTE e versano nella miseria più totale”.
In occasione della costruzione dell’ennesimo oleodotto in superficie in Ogoniland agli inizi degli anni ’90, la repressione militare sponsorizzata dalla Shell per sgomberare il territorio incontrò una forte resistenza nel popolo degli Ogoni. Il MOSOP (Movimento per la Sopravvivenza del Popolo Ogoni) assunse il ruolo di portavoce della lotta del territorio e già nel 1990 aveva presentano una “Costituzione Ogoni” che chiariva i punti nevralgici della rivendicazione: autodeterminazione, riappropriazione delle risorse, cessazione dell’inquinamento, smilitarizzazione della regione.
Ken Saro Wiwa, leader del Mosop si fece promotore di iniziative ispirate alla nonviolenza attiva al quale affiancò una produzione letteraria “d’azione”, impegnata “politicamente” per reagire alla situazione del suo paese, “prima che cali il sipario”. Il vasto coinvolgimento della popolazione e l’eco internazionale della lotta sulle sponde del Niger costrinse la Shell a lasciare l’area, creando un precedente inaccettabile per gli interessi delle multinazionali e per la stabilità del sistema politico nigeriano. Così, in corrispondenza dell’accresciuta fama di Ken Saro Wiwa, si susseguirono una serie di atti repressivi indirizzati a colpire i progetti e il seguito del leader del Mosop, che lavorava a un fronte unito delle minoranze del Delta.
Citato nelle note informative della Shell, più volte arrestato e torturato, sottoposto al divieto di parlare in pubblico, dopo un rilascio, Ken Saro Wiwa organizzò una manifestazione di 300.000 persone. Nel 1994 fu accusato pretestuosamente insieme ad altri otto attivisti dell’omicidio di alcuni presunti oppositori del MOSOP e condannato, con un processo farsa, all’impiccagione, suscitando proteste da parte dell’opinione pubblica internazionale e delle organizzazioni per i diritti umani. Dal carcere redige un diario (“Un mese e un giorno. Storia del mio assassinio”) e compone una poesia che esprime in versi lo stato di prigionia ancor più duro a cui è sottoposto il suo popolo:
Non è il tetto che perde
Non sono nemmeno le zanzare che ronzano
Nella umida, misera cella
Non è il rumore metallico della chiave
Mentre il secondino ti chiude dentro
Non sono le meschine razioni
Insufficienti per uomo o bestia
Neanche il nulla del giorno
Che sprofonda nel vuoto della notte
Non è
Sono le bugie che ti hanno martellato
Le orecchie per un’intera generazione
E’ il poliziotto che corre all’impazzata in un raptus omicida
Mentre esegue a sangue freddo ordini sanguinari
In cambio di un misero pasto al giorno
Il magistrato che scrive sul suo libro
La punizione, lei lo sa, è ingiusta
La decrepitezza morale
L’inettitudine mentale
Che concede alla dittatura una falsa legittimazione
La vigliaccheria travestita da obbedienza
In agguato nelle nostre anime denigrate
È la paura di calzoni inumiditi
Non osiamo eliminare la nostra urina
E’ questo
Amico mio, è questo che trasforma il nostro mondo libero
In una cupa prigione.
Ken Saro Wiwa verrà impiccato il 10 novembre 1995. L’Ogonoland fu invaso, i villaggi bruciati e la popolazione perseguitata e uccisa. La manifesta complicità della Shell nell’esecuzione avviò una campagna di boicottaggio internazionale. Nel giugno del 2009 la Shell ha preferito patteggiare l’accusa di complicità nell’omicidio di Saro Wiwa pagando un importo di 15,5 milioni di dollari (11,1 milioni di euro), “stoppando” così alla prima udienza quello che poteva rivelarsi un imbarazzante processo.
Per Senza Soste, Orlando Santesidra
Riferimenti al tema:
Ken Saro-Wiwa, Un mese e un giorno, storia del mio assassinio, B.C. Dalai Editore, 2010.
Ken Saro-Wiwa, Sozaboy, B.C. Dalai Editore 2010.
Daniele Pepino (a cura di), Delta in rivolta. Suggerimenti da una “insurrezione asimmetrica”, Porfido 2009.
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