Il movimento Non Una di Meno compie un anno dopo la riuscita manifestazione del 26 novembre 2016. Quella mobilitazione è stata un passaggio dello sviluppo organizzativo virale e della presa sull’immaginario femminile dell’associazione argentina “Ni Una Menos”. Questa esperienza era sorta circa due anni fa e aveva posto con urgenza la necessità di una risposta politica organizzata alla violenza sulle donne che assume, nella società contemporanea a qualsiasi latitudine, sempre più il profilo di un vero e proprio femminicidio. Il movimento da “marea” è divenuto una presenza più strutturata, con un vivace dibattito interno e la capacità di declinare le tematiche di genere fuori dalla marginalità politica a cui erano state relegate da ciò che potremmo definire la “contro-offensiva patriarcale” guidata dalle correnti più reazionarie della chiesa cattolica e dai loro referenti politici. Questa ipotesi organizzativa si sta muovendo con successo su un piano sul quale molti hanno osato, ma finora pochi sono riusciti: quello della ricomposizione politica attorno a tematiche di genere, spesso connesse alla condizione sociale complessiva della donna. Un elemento qualificante e imprescindibile per la tenuta di questo movimento femminista è il radicamento nei territori e la capacità di dialogo con ciò che di vivo si esprime attualmente a livello di mobilitazioni politico-sociali. Per questo motivo abbiamo deciso di raccogliere la testimonianza di Anna Lucia Dimasi, del movimento Non Una di Meno della Superba.
Puoi darci un quadro della violenza di genere a livello genovese e quali sono attualmente gli strumenti “istituzionali” messi in campo per affrontarla dal punto di vista della prevenzione, della “protezione” delle donne colpite da violenza ed in generale della battaglia politico-culturale contro il femminicidio?
In Liguria, pur essendoci un Osservatorio Regionale sulla violenza contro le donne che monitora il fenomeno, non viene pubblicato alcun rapporto annuale con i dati aggiornati. Quindi è difficile fornire un quadro della situazione genovese, se non attraverso i pochi dati forniti dai media locali in due occasioni l’anno: l’8 marzo e il 25 novembre. Questi dati sono estremamente parziali sia perché non viene fatto un lavoro di data journalism, sia perché si riferiscono solo alle donne che accedono ai Centri Antiviolenza. Trattandosi di un fenomeno sommerso, è chiaro che il numero di accessi non può restituire un quadro completo. Per fare ciò, i dati più aggiornati a nostra disposizione sono quelli dell’indagine campionaria Istat riferita all’anno 2014 secondo la quale la Liguria è la prima regione del Nord per numero di donne vittime di violenza fisica e sessuale: nel periodo esaminato quasi 29mila donne residenti in regione hanno dichiarato di aver subito violenza. Annualmente ai Centri Antiviolenza si rivolgono poco meno di un migliaio di donne. Questo scarto numerico è presente anche sul piano nazionale e internazionale.
Per quanto riguarda gli strumenti messi a disposizione dal Comune di Genova per affrontare il fenomeno, la situazione è abbastanza complessa. Bisogna premettere che a Genova non esiste un centro antiviolenza pubblico, ma i tre centri antiviolenza che operano sul territorio (Centro Antiviolenza Mascherona, Centro per Non Subire Violenza e Centro Pandora) sono gestiti da cooperative sociali che collaborano tra loro e con il comune attraverso il “Patto di Sussidiarietà”, una rete formale istituita nel 2014. Inoltre sono presenti dei tavoli di rete per favorire e coordinare il lavoro delle istituzioni pubbliche e degli enti che a vario titolo si occupano del fenomeno. Recentemente, la nuova giunta comunale, ha deciso di istituire dei Corsi di Autodifesa contro la violenza sulle donne. Alcune associazioni che si occupano del fenomeno e Non Una Di Meno Genova hanno mostrato forti perplessità riguardo questo strumento. Noi crediamo che sia necessaria, in primo luogo, un investimento cospicuo sulla prevenzione che parta dalle scuole di ogni ordine e grado. Crediamo che il Comune, in quanto istituzione, debba impegnarsi in questo senso perché non devono essere le donne che devono imparare a difendersi, ma è la cultura che deve cambiare! Con questo non vogliamo dire che siamo contrarie ai Corsi di Autodifesa Femministi che sono uno strumento che rivendichiamo in quanto parte delle pratiche femministe, ma nutriamo dei forti dubbi sulla sua applicazione istituzionale.
Il movimento NUdM in Italia ha esordito con una manifestazione il 26 novembre 2016. È stata una mobilitazione ben riuscita, descritta perfettamente dall’espressione “marea in movimento”. Da allora si sono sviluppate le realtà territoriali. Come si è sviluppato questo processo a Genova, quali realtà la compongono? Qual è il ruolo dei Centri Antiviolenza genovesi all’interno di NUdM?
Le realtà territoriali hanno iniziato a muovere i prima incerti passi poco prima della manifestazione del 26 novembre 2016. Anche qui a Genova, in seguito all’appello di lancio della manifestazione, con un gruppetto di donne abbiamo deciso di vederci per parlare del movimento Non Una Di Meno. La manifestazione del 26 novembre e, soprattutto, l’assemblea del giorno successivo ci hanno dato lo sprint per tornare a Genova e avviare un percorso territoriale che è tutt’ora in piedi. Un percorso che si è sempre più allargato e vede la partecipazione di singole e singoli, di donne appartenenti a collettivi, di associazioni femministe e di sindacati e anche delle operatrici dei due centri antiviolenza della rete D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, che, anche a livello nazionale, è parte attiva del movimento Non Una Di Meno. In particolare, nelle assemblee nazionali che si sono svolte in quest’anno, i Centri Antiviolenza hanno dato un notevole contributo al tavolo “Percorsi di fuoriuscita dalla violenza”.
A partire dalla propria natura di movimento femminista e anti-patriarcale, il movimento si contestualizza con il quadro politico cittadino e nazionale. A livello nazionale infatti c’è il rifiuto delle politiche repressive, xenofobe e razziste messe in atto dal governo. Nel caso cittadino, in occasione delle elezioni comunali, vinte dal candidato di centro destra Bucci, è stato elaborato un vero e proprio programma politico, intitolato “La Città che Vogliamo – Una carta femminista per Genova”. Da questo documento emerge una lettura femminista del quadro politico. Ci puoi tratteggiare gli orientamenti politici del movimento genovese?
Nel succitato documento “La Città che vogliamo – Una carta femminista per Genova” abbiamo tratteggiato i nostri orientamenti politici. È stato un lavoro lungo e frutto di un’intensa mediazione perché, come ho detto nella precedente risposta, Non Una Di Meno Genova si compone di realtà diverse ma con alcune visioni comuni. In particolare, leggendo il documento, nella richiesta di una città accogliente per tutte, emerge la nostra anima antirazzista e la nostra opposizione alle politiche xenofobe. Nel rifiuto del lavoro gratuito e sottopagato emerge la nostra opposizione al Job’s Act, all’Alternanza Scuola-Lavoro e alle politiche di accoglienza che prevedono di sfruttare i migranti. Opposizione portata avanti anche a livello nazionale. Dai punti relativi ai servizi pubblici e al welfare, emerge il nostro orientamento politico di sinistra.
Tra le forme di lotta di cui si avvale il movimento, è stato particolarmente rilevante lo sciopero dell’8 marzo, che a Genova è stato declinato con il presidio davanti all’Ospedale Galliera, nel quale non viene praticata IVG, e con una manifestazione che si è caratterizzata per una presenza significativa di giovani e giovanissime fino ad allora “esterne” ai circuiti dell’attivismo politico. Successivamente ci sono state altre iniziative, che includono anche la presenza di alcune compagne all’interno di manifestazioni antifasciste e che hanno contribuito ad una declinazione in chiave anche anti-sessista di queste. Ci puoi descrivere gli strumenti di cui vi siete dotate?
“Dare legittimità politica all’anti-sessismo, conquistando spazi di discussione e rendendo strutturale il discorso e le pratiche anti-sessiste all’interno delle lotte”. É un punto del report del tavolo “Sessismo nei movimenti” dell’assemblea del 27 novembre 2016, un tavolo che ha visto la partecipazione di alcune di noi e che ci ha fornito molti spunti di riflessione e strategie pratiche. A livello territoriale non riusciamo ad applicare quanto vorremmo tali strategie, ma nel nostro piccolo ci proviamo e la partecipazione di alcune di noi ad assemblee cittadine antifasciste rientra in quest’ottica. Gli strumenti sono tanti e proveremo ad adoperarli sempre di più perché crediamo che solo con una azione continua si può raggiungere l’obiettivo di non vedere l’anti-sessismo come tema, ma come una chiave di lettura dell’esistente.
L’ultima manifestazione a favore “dell’aborto libero e sicuro”, si è svolta il 28 settembre scorso, al grido di “Ve la siete cercata!”. Anche in questo caso NudM ha evidenziato le differenze anche profonde tra un certo modo mainstream di concepire, rappresentare ed agire contro la violenza maschile in un’ottica solo “vittimista” e un atteggiamento diametralmente opposto. Come si è svolta la manifestazione a Genova? Come il movimento NUdM Genova coniuga la lotta femminista e quella delle politiche repressive spesso promossa utilizzando strumentalmente la sovra-esposizione solo di alcuni aspetti della violenza di genere?
Anche qui a Genova, la manifestazione del 28 settembre ha unito due tematiche: l’aborto libero e sicuro e l’opposizione alla rappresentazione tossica delle donne che subiscono violenza. In particolare, per quest’ultima, abbiamo deciso di smantellare completamente il “Muro delle bambole”, simbolo di un modo grottesco e ipocrita di contrastare la violenza di genere, un’istallazione macabra dove la donna è rappresentata eternamente come vittima. Le donne non sono bambole, non siamo vittime da mettere al muro, ma protagoniste delle nostre vite e del cambiamento della società nel suo insieme.
Infine, alla luce di quanto detto fin ora, che prospettive future di ulteriore radicamento ha il movimento NUdM a Genova?
Il percorso di NUdM Genova è ancora in divenire. Molto è stato fatto, ma tanto abbiamo in programma verso il 25 novembre e non solo. Il 17 novembre stiamo organizzando un presidio dal Tribunale per parlare del grave problema della “seconda violenza”, quella perpetrata dai tribunali nei confronti delle donne che sono sopravvissute alla violenza. Ci riferiamo non solo agli scandalosi processi a cui è sottoposta la donna in seguito alla denuncia di violenza sessuale, ma anche al fatto che troppo spesso in caso di violenza domestica il tribunale interviene a favore del padre per quanto riguarda l’affidamento dei minori. Grideremo a gran voce che un marito violento non può essere un buon padre! Il 19 novembre presenteremo il Piano Femminista Antiviolenza, frutto di un anno di confronto nazionale di NUdM.
Ovviamente non ci fermeremo il 25 novembre, ma continueremo a lavorare sul territorio perché siamo convinte che c’è tanto bisogno di femminismo. Vogliamo organizzare delle consultorie di piazza sulla salute delle donne e vogliamo partire dal basso, dalle necessità reali. Per questo stiamo raccogliendo, attraverso un questionario online e cartaceo, le opinioni di molte e di molti per decidere insieme da quale argomento partire. Inoltre, vogliamo riempire l’istallazione del “Muro delle Bambole” con i nostri contenuti contro la rappresentazione vittimistica delle donne. Queste sono solo alcune idee che abbiamo in cantiere, ma gli argomenti sono davvero tanti e la voglia di fare non ci manca!
Link alla Carta “la Città che vogliamo – Una Carta Femminista per Genova“: https://www.facebook.com/notes/non-una-di-meno-genova/la-citt%C3%A0-che-vogliamo/1906993756237476/
Link del report del tavolo “Sessismo nei movimenti” del 27 novembre 2016 https://nonunadimeno.wordpress.com/2017/02/15/report-del-tavolo-sessismo-nei-movimenti-assemblea-4-5-febbraio-2017-a-bologna/
Link questionario per la consultoria https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLScY7MTep6mwTYaUPFwsUREOPbFhUxYF5yzg5xZ4pXzI8obtzA/viewform?usp=sf_link
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