Pur non conoscendo ancora l’elenco completo dei principi-finanzieri finiti in arresto, già la sola presenza di Al Waleed bin Talal è sufficiente a misurare la dimensione del terremoto in corso.
Stiamo parlando del paese che determina – pompando di più o di meno, grazie al fatto di essere l’unico a possedere una spare capacity rilevante– il prezzo del petrolio e dunque il suo peso nell’economia mondiale.
Stiamo parlando del paese con le maggiori riserve finanziarie in dollari – prima del sorpasso cinese, fondato però sulla produzione manifatturiera – e con una quota incommensurabile dei titoli del Tesoro, ossia del debito pubblico, Usa.
Il paese guida del “polo islamico-sunnita” che da un ventennio cerca uno spazio imperialistico proprio, tramite la finanza, la diplomazia, la guerra diretta (in Yemen oggi e prima in Bahrein), la “guerra asimmetrica” tramite l’Isis e Al Qaeda.
Il paese che deve mutare radicalmente il proprio modello “produttivo”, riducendo la quota fondata sulla rendita petrolifera (in senso marxiano) perché sottoposta al fisiologico esaurimento delle risorse non rinnovabili e l’esposizione finanziaria su azioni e obbligazioni dal valore rele sempre meno chiaro (tutte le potenziali “bolle” vedono il capitale saudita in prima fila).
Non è proprio il caso di vedere nel palese conflitto interno alla famiglia regnate una sorta di scontro tra “innovatori” e “conservatori”, perché la dimensione del business supera qualsiasi considerazione “religiosa” (basti accennare al fatto che il Corano proibisce il guadagno sui prestiti di denaro e la speculazione finanziaria, che invece costituisce la seconda attività economica dopo il petrolio).
E’ insomma troppo presto per abbozzare un’analisi seria di quanto sta accadendo, ma ne uscirà comunque un mutamento drastico del ruolo dell’Arabia Saudita nello scacchiere internazionale.
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Arabia Saudita, agli arresti il finanziere Alwaleed e decine tra principi e ministri
Marco Valsania – Il Sole 24 Ore
L’Arabia Saudita ha fatto scattare a sorpresa nel fine settimana una drammatica retata di principi, ministri e ex ministri che ha consolidato forse una volta per tutte il potere nelle mani del giovane e controverso principe ereditario Mohammed bin Salman. Ma la drastica mossa – scattata nel giro di poche ore dalla nomina di una speciale commissione anti-corruzione con ampi poteri di arresto guidata proprio dal nuovo uomo forte di Riad – ha lasciato sotto shock la comunità di business e finanziaria internazionale, da Wall Street all’Europa, perché nelle rete è caduto anche Alwaleed bin Talal. Vale a dire uno degli uomini più ricchi al mondo, con un patrimonio di 32 miliardi di dollari, e leggendario e multimiliardario investitore in grandi società quotate sui mercati occidentali, da Citigroup a Twitter, da Apple a News Corp e a Lyft.
La sua fama è tale da esser stato soprannominato il Warren Buffett del Medio Oriente. Concede regolari interviste ai media occidentali su temi finanziari all’ordine del giorno, fino alle cripto-valute sulle quali è scettico. Soprattutto ha discusso e discute di business e progetti con i maggiori protagonisti globali, da Rupert Murdoch a Lloyd Blankfein e Vikram Pandit. Il suo ruolo e la sua influenza non possono essere sottovalutati: aveva sostenuto lo scorporo dell’impero di Murdoch tra News Corp e 21st Century Fox e spinto per un repulisti dopo le scandalo delle intercettazioni illegali che aveva scosso i tabloid del gruppo. Aveva soccorso Citigroup durante la grave crisi finanziaria del 2008 offrendo un cruciale voto di fiducia al Ceo Pandit allora sotto assedio.
La sua Kingdom Holding, che controlla anche numerose reti Tv nel mondo arabo, ha una posizione di primo piano sulle piazze globali e i suoi interessi di alto profilo spaziano dallo storico albergo George V a Parigi al Savoy a Londra e al Plaza a New York. è da tempo anche impegnato nei progetti di sviluppo a fini aziendali del Canary Wharf nella capitale britannica.
Dati gli stretti legami con la finanza globale, il terremoto saudita secondo gli analisti potrebbe adesso generare scetticismo all’estero sul futuro del Paese e dei suoi progetti economici. Questo mentre ad esempio Riad sta considerando di quotare il colosso petrolifero nazionale Aramco e ieri il Presidente statunitense l’ha invitata a uno sbarco proprio a Wall Street. Alwaleed era tuttavia un duro critico di Trump, che invece appare assai vicino al nuovo potente saudita.
La retata poliziesca a Riad ha visto sabato sera l’arresto in tutto di undici principi, quattro ministri e decine di ex ministri secondo la tv ufficiale. Il principe ereditario, che ha soli 32 anni ed è il figlio di re Salman e suo principale consigliere, dai suoi fautori viene visto come l’artefice di una necessaria transizione e modernizzazione del Paese, che di recente ha concesso alle donne la possibilità di guidare (Al Waleed, una sorta di eretico nella vasta famiglia reale, era però da sempre a favore della patente alle donne). I critici lo accusano di avere anzitutto sete di potere. Di sicuro ha rapidamente assunto nell’ultimo periodo con le maniere forti e sbaragliando l’intera dinastia saudita il controllo su forze armate, politica estera e ora economica di Riad. Ieri, per realizzare l’ultimo colpo, ha chiuso l’aeroporto a voli privati onde evitare fughe degli avversari e ha sequestrato l’albergo Ritz Carlton a Riad, probabilmente per utilizzarlo come uno speciale “carcere reale”.
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