di Stefano Mauro
“Il nostro paese ha bisogno di stabilità ed unità tra tutte le parti
politiche per evitare di cadere nel baratro della guerra e delle
divisioni” queste le dichiarazioni davanti ai media nazionali del
presidente delle repubblica libanese, il cristiano maronita Michel Aoun,
ad un anno dalla nomina.
Dopo circa tre anni di contrapposizioni e veti incrociati tra
i due principali schieramenti politici libanesi (movimento “14 Marzo”
filo saudita e filo-occidentale contrapposto al movimento “8 Marzo” filo
siriano) l’elezione di Aoun, lo scorso 31 Ottobre, aveva sancito
definitivamente la capitolazione di Hariri e dell’asse rappresentato
dagli sponsor del leader sunnita: USA, Francia e Arabia Saudita.
L’elezione del presidente, sostenuto fortemente da Hezbollah, è stata
l’ennesima affermazione politica del partito sciita e del suo segretario
generale, Hassan Nasrallah, vero mediatore in questi anni di stallo
politico.
Nel suo bilancio il presidente Aoun ha indicato i principali
risultati ottenuti: la definitiva scomparsa di qualsiasi focolaio
jihadista dal Paese dei cedri, l’impegno per una soluzione del conflitto
siriano che deve prevedere il rientro del milione di profughi ospitati all’interno dello stato libanese, la riforma fiscale con la
presentazione del primo bilancio dopo 12 anni e l’ormai prossima riforma
della legge elettorale “ormai datata e aliena all’odierna realtà del
Libano”.
Proprio per questi risultati, forse, le pressioni da parte
degli USA e dei suoi principali alleati nell’area (Israele ed Arabia
Saudita) sono progressivamente aumentate in questi ultimi mesi.
Il presidente americano Trump, dopo le dichiarazioni circa una minaccia
terroristica sciita sul territorio americano – definita “pura follia”
da molte testate americane a partire dal NYT – ha fatto adottare alcune
misure restrittive contro Hezbollah, in chiave anti-iraniana. La
prima imporrà limitazioni alle banche che finanziano Hezbollah, la
seconda condanna sia l’Iran che la milizia libanese per aver utilizzato i
civili come scudi umani nell’ambito del conflitto siriano, in cui
Teheran e Hezbollah sostengono il regime siriano del presidente Bashar
al-Assad. La terza misura, infine, esorta l’Unione Europea ad inserire
Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche. Da
parte loro, invece, Tel Aviv continua nella sua campagna di provocazioni
ed esercitazioni militari lungo il confine libanese e Riyadh sta
intavolando una serie di azioni volte a destabilizzare il governo di
Beirut.
Il quotidiano libanese Al Akhbar ha riportato la
notizia della visita lampo da parte del primo ministro libanese Saad
Hariri a Riyadh definendola come “una vera e propria violazione dei
principi diplomatici per il tentativo dei Saud di imporre i propri diktat
verso Beirut per riaccendere le divisioni tra i due schieramenti
politici in Libano.” Lo stesso quotidiano riporta che il
ministro degli affari del Golfo, Thamer al Sabhane, abbia richiesto ad
Hariri “di dimettersi dalla guida del governo per aprire una nuova crisi
in Libano” in cambio di un rinnovato sostegno economico allo
schieramento anti-Hezbollah. Una richiesta che porterebbe il
vecchio pupillo dei sauditi a tornare indietro sui suoi passi dopo il
decisivo sostegno del suo partito, il “Mustaqbal”, per l’elezione del
presidente Aoun e la sua nomina a primo ministro del governo.
Scelta fatta con l’obiettivo dichiarato di agire “per il bene del Libano
e di tutti i libanesi”, ma soprattutto per recuperare consensi dopo la
cocente sconfitta delle elezioni amministrative del 2016.
Ufficialmente la risposta di Hariri è arrivata oggi attraverso il
portavoce del partito, Nader Hariri, che ha assicurato “di voler
mantenere l’accordo politico con il presidente della repubblica Aoun e
di continuare a sostenere il governo di unità nazionale”. Unità
che comincia a scricchiolare dopo che una delle principali forze della
destra maronita, le Falangi di Samir Geagea (imputato per le stragi di
Sabra e Chatila), ha ceduto alle richieste saudite.
Secondo Aoun i tentativi dei sauditi rientrano nella loro attuale
azione politica di questi mesi che “mira a creare divisioni
confessionali all’interno sia del paese dei cedri che dello stesso
Iraq”. Medesima decisione riguardo alle misure contro Hezbollah: “il
partito sciita è una risorsa militare difensiva per tutta la popolazione
libanese e rappresenta in quest’ottica la forza dell’unità nazionale
contro la minaccia dei gruppi jihadisti e contro la politica aggressiva
e colonialista di israeliana. Le sanzioni americane non avranno
effetti in Libano come i tentativi precedenti”.
AGGIORNAMENTO
ore 12.20 Si è dimesso il premier Saad Hariri
“Annuncio le mie dimissioni dal ruolo di primo ministro”, ha
dichiarato Hariri a Riyadh, suscitando la sorpresa generale. Il premier
libanese era giunto ieri in Arabia Saudita per la sua seconda visita in
meno di una settimana, volta a “rafforzare la stabilità del Libano e i
legami con il paese del Golfo”. Ha detto di temere di essere
assassinato e accusato il movimento sciita libanese Hezbollah e l’Iran
di “soffocare” il Libano. Nel suo discorso, ha suggerito di aver paura
per la sua vita e ha dichiarato che l’atmosfera nel paese è simile a
quella che esisteva prima che il padre, il primo ministro Rafik Hariri,
venisse assassinato nel 2005. “Viviamo in un clima simile all’atmosfera
prevalsa prima dell’assassinio del martire Rafik al Hariri”, ha
dichiarato il premier sottolineando di avere le prove di un complotto
per attentare alla sua vita. “Il braccio dell’Iran nella regione sara’
tagliato”. Lo ha detto l’ex premier libanese Saad Hariri attaccando il
gruppo militante sciita di Hezbollah.
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