L’amministrazione
statunitense ha annunciato ieri di non aver ancora stabilito se
trasferirà o meno l’ambasciata Usa a Gerusalemme, nonostante la data
limite per prendere una decisione in merito sia stata ormai superata.
“Nessun provvedimento sarà preso oggi. Decideremo nei prossimi giorni”
ha detto laconicamente un portavoce della Casa Bianca.
Secondo la legge americana, essendo andati oltre i termini legali per firmare il rinvio, potrebbe essere ora il Congresso Usa a imporre al presidente di trasferire l’ambasciata a Gerusalemme.
Non solo: il Congresso potrebbe anche tagliare i finanziamenti del
Dipartimento di Stato se l’amministrazione americana non dovesse
rispettare quanto previsto nell’“Atto dell’ambasciata di Gerusalemme”
del 1995 che impone lo spostamento nella Città santa della sede
diplomatica americana. Tuttavia, al momento, lo scenario più probabile è
che i repubblicani (maggioranza al Congresso) diano qualche altro
giorno di tempo a Trump per prendere la sua decisione finale sulla
questione. Le opzioni che ha il presidente sono due: o dare luce
verde al trasferimento dell’ambasciata rispettando così quanto ha più
volte annunciato in campagna elettorale. O, scenario più concreto, rinviare la discussione di altri sei mesi come hanno fatto negli ultimi due decenni tutti i presidenti a stelle e strisce.
L’esitazione statunitense potrebbe essere stata in qualche modo
influenzata anche dalle dichiarazioni di diversi attori mondiali e
regionali. Ieri il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe
espresso a Trump la sua “preoccupazione” per l’eventuale mossa
unilaterale di Washington di dichiarare Gerusalemme capitale d’Israele.
Secondo il leader francese, il suo status “deve essere affrontato nei
negoziati di pace tra israeliani e palestinesi che devono dare vita a
due stati, Israele e la Palestina, che vivano in pace e sicurezza l’uno a
fianco dell’altro con Gerusalemme come capitale”.
Dopo giorni di silenzio, ieri ha parlato anche l’Arabia Saudita. Riyadh, per bocca dell’ambasciatore saudita Khalid bin Salman, ha detto che qualunque
annuncio americano sullo status della città senza un accordo definitivo
sulla questione israelo-palestinese danneggerà il processo di pace e
aumenterà le tensioni regionali. “L’Arabia Saudita – ha
sottolineato – continua a sostenere il popolo palestinese e ciò è stato
riferito all’amministrazione Usa”. Le dichiarazioni di Macron e di
Khalid bin Salman erano state anticipate domenica da quelle dei ministri
degli esteri egiziano e giordano durante i loro incontri con il
Segretario di stato Usa Rex Tillerson.
L’annuncio su Gerusalemme è previsto per domani: se Trump
sembra “cedere” da un lato (e per il momento) sull’affair ambasciata,
appare infatti molto intenzionato a riconoscere la città come capitale
dello stato ebraico. Incluso il suo settore orientale (quello arabo)
occupato dall’esercito israeliano nel 1967 e rivendicato dai
palestinesi. La questione sarà al centro della riunione di “emergenza”
convocata per oggi dalla Lega araba. Un simile vertice è stato convocato
anche dall’Organizzazione per la cooperazione islamica (OIC).
Gli ufficiali palestinesi di Ramallah hanno ribadito in
questi giorni come questo riconoscimento metterebbe fine ai negoziati di
pace. Il portavoce del presidente Abbas, Nabil Abu Rudeinah ha
dichiarato sabato che una eventuale decisione di Trump in tal senso
rappresenterebbe uno sviluppo pericoloso che destabilizzerebbe la
regione mediorientale. Per Husam Zomlot dell’Olp (Organizzazione
per la liberazione della Palestina) tale atto sarebbe “il colpo di
grazia alla soluzione a due stati” e avrebbe “conseguenze
catastrofiche”. Dal canto suo, invece, Hamas ha invocato “una nuova Intifada” per fermare questa “cospirazione”.
Abu Mazen e il leader islamista, Ismail Haniye, si sono trovati
d’accordo sulla necessità di tenere una manifestazione a Gerusalemme che
“unifichi gli sforzi del popolo palestinese”.
La Giordania, che si proclama custode dei luoghi santi islamici di Gerusalemme, con il suo ministro degli esteri Ayman Safadi ha parlato di “pericolose conseguenze” politiche qualora l’annuncio di Trump dovesse essere implementato.
Incontrando a Washington domenica il Segretario alla difesa Usa James
Mattis, il re giordano Abdallah ha spiegato che questa decisione
americana rafforzerà i gruppi terroristici attivi in Medio Oriente e
farà collassare l’iniziativa di pace a cui sta lavorando
l’amministrazione Trump.
Quel che non spiega il re è però in che cosa consista questa “iniziativa di pace” trumpiana. L’annuncio di Gerusalemme come capitale d’Israele, infatti, rientra
in un piano più grande previsto dall’amministrazione Usa con cui gli
americani provano a ridisegnare il Medio Oriente in chiave anti-Iran
attraverso una stretta alleanza tra Israele e Arabia Saudita. In tale scenario, la questione palestinese diventerebbe ancora più marginale rispetto al conflitto contro il “nemico sciita”.
La normalizzazione dei rapporti tra lo stato ebraico e i paesi arabi è ormai sempre più alla luce del sole. La
monarchia saudita nega però qualunque “normalizzazione” con Tel Aviv e
smentisce le ultime rivelazioni del New York Times secondo cui il
principe ereditario Mohammed bin Salman avrebbe chiesto al presidente
palestinese Abbas di proclamare il villaggio di Abu Dis (nel governorato di Gerusalemme, oltre il Muro costruito da Israele in Cisgiordania) capitale di un futuro stato di Palestina in cambio di cospicui aiuti finanziari.
Una proposta simile fu avanzata nel 1995 proprio dallo stesso Abbas e
dall’ex ministro israeliano Beilin. Abu Dis, si disse allora, sarebbe
diventata la “capitale temporanea” della Palestina. La realtà avrebbe
raccontato poi un’altra storia, eppure ad Abu Dis i lavori di
costruzioni del Parlamento palestinese furono davvero avviati.
AGGIORNAMENTI:
Ore 12:15 Erdogan: “Status Gerusalemme linea rossa: pronti a tagliare le nostre relazioni con Israele”
Lo status di Gerusalemme è una “linea rossa” per i musulmani e una
sua modifica porterà la Turchia a tagliare le sue relazioni diplomatiche
con Israele. A dirlo è stato oggi il presidente turco Erdogan.
Contrario ad un possibile riconoscimento americano di Gerusalemme
come capitale d’Israele è anche il segretario della Lega araba Aboul
Gheit. Aboul Gheit, riferisce l’agenzia Mena, ha detto oggi che gli Usa
non dovrebbero prendere nessuna misura “pericolosa” che potrebbe
modificare lo status legale e politico della Città santa perché ciò
potrebbe “avrebbe ripercussioni nella regione”.
Duro contro i paesi arabo-islamici che cooperano con lo stato ebraico
è stato oggi il presidente iraniano. In un discorso televisivo, Rohani
ha accusato gli “stati islamici di aver “rivelato spudoratamente la loro
vicinanza al regime sionista”. “Non ho dubbi – ha aggiunto – che i
musulmani del mondo non permetteranno che questo complotto sinistro dia i
suoi frutti”.
Ore 12:30 Consigliere diplomatico del presidente Abbas:
“Interromperemo i contatti con gli Usa se Gerusalemme sarà riconosciuta
capitale d’Israele”.
Il consigliere diplomatico del presidente Abbas, Nabil Sha’ath, ha
detto che la leadership palestinese “interromperà i contatti” con gli
Stati Uniti se il presidente americano Trump riconoscerà Gerusalemme
come capitale israeliana.
Un ufficiale israeliano, intanto, ha risposto poco fa alla minaccia
di Erdogan di tagliare le relazioni con lo stato ebraico qualora la
Città santa dovesse essere dichiarata da Trump capitale d’Israele.
“Gerusalemme è stata capitale ebraica per 3.000 anni e capitale
d’Israele per 70, piaccia o meno questa cosa a Erdogan”.
Ore 17.30 Trump ad Abu Mazen: vado avanti su ambasciata americana a Gerusalemme.
Donald Trump ha informato oggi il presidente palestinese Abu Mazen
dell’intenzione di trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti in Israele
da Tel Aviv a Gerusalemme. Lo riferisce la presidenza dell’Autorità
nazionale palestinese (Anp). L’annuncio è avvenuto durante un colloquio
telefonico. Durante la conversazione Abu Mazen avrebbe messo in guardia
Trump “delle conseguenze pericolose della scelta per il processo di
pace, la sicurezza e la stabilità nella regione e nel mondo”.
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