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19/09/2018

Brasile - Lula, il PT e le elezioni in un paese completamente disarticolato

Il prossimo 7 ottobre, 147,3 milioni di brasiliani si recheranno alle urne per eleggere il nuovo presidente, i senatori e i deputati del Parlamento Federale, insieme ai nuovi deputati per i parlamenti dei ventisei stati della federazione. Un’elezione che potrà presentare sorprese poiché la crisi economica, le manipolazioni mediatiche e i continui casi di corruzione hanno fatto crescere il rigetto per la politica e per i partiti. Secondo il direttore dell’agenzia “Vox Populi”, Marcos Coimbra: “Certamente si ripeteranno i numeri delle elezioni municipali del 2016, quando il quorum degli elettori si abbassò del 35%, con 51.555.000 brasiliani, che rigettarono il sistema elettorale, votando in bianco, annullando le schede o semplicemente astenendosi ”.

Un dato preoccupante che venne alla ribalta anche nelle elezioni presidenziali del 2014 quando il rigetto elettorale raggiunse il 28,5% (41.980.500). In quell’occasione, Dilma Roussef, nonostante la “stampella elettorale di Lula”, fu rieletta con appena il 38% dei voti (55.974.000). Per questo il suo governo ha dovuto affrontare un’opposizione che praticamente contemplava il 62% degli elettori, pari a 91.326.000 individui (33,5% legati all’opposizione e 28,5% astenuti).

Uno scenario che penalizza non solo la destra, ma anche la sinistra, giacché il 60% delle astensioni e delle schede in bianco riguarda elettori potenzialmente progressisti e di sinistra, che hanno perso la fiducia nei partiti e la speranza di un effettivo cambiamento politico.

Infatti, l’Impeachment nei confronti di Dilma, le disastrose riforme liberali del successore Michel Temer e la procedura giudiziaria creata “ad hoc”per imprigionare Lula e penalizzare il PT, hanno moltiplicato nella popolazione brasiliana la diffidenza nei confronti dello Stato, la sfiducia nei partiti e, soprattutto, il cosiddetto “desencanto para a politica”, cioè la disillusione per la politica.

Per analizzare l’attuale contesto politico, le principali agenzie brasiliane di statistica, “Datafolha” e “Ibope”, sono scese in campo realizzando un sondaggio che ha fatto venire i capelli bianchi ai responsabili del marketing elettorale. Da parte sua, “Datafolha” rileva che “il 68% degli elettori non ha più fiducia nei partiti politici”, mentre per “Ibope” “la percentuale della sfiducia nella politica si estende all’83% della popolazione”!

Una sfiducia che cresce soprattutto nella classe media e in molti settori del proletariato, alla quale è associata il fenomeno della confusione sui tredici candidati presentati dai trentacinque partiti registrati presso il Tribunale Superiore Elettorale (TSE), cui si devono aggiungere altri 20 “candidati senza partito”, che avranno il ruolo di screditare sempre più i partiti tradizionali, lanciandogli contro accuse fantastiche e promettendo l’impossibile e l’irrealizzabile!

Bolsonaro è il candidato di una borghesia in panico

Molti autorevoli analisti, come per esempio Mino Carta e Paulo Kliass, hanno scritto in vari articoli che il fascistoide ex-capitano dell’esercito, Jair Messias Bolsonaro, potrà disputare il secondo turno “In funzione del disastro politico, economico e sociale che il governo di Michel Temer ha determinato dopo il golpe, con cui il presidente Dilma Roussef fu esautorata!”

Per questo, il centro nazionale di statistica “IBGE”, ricorda che all’inizio del secondo governo di Dilma (2014) il tasso di disoccupazione era del 5,8%, (6.123.000), mentre, oggi, dopo due anni di governo ultra-liberista la disoccupazione è raddoppiata (13,1%), raggiungendo i 13.257.000 disoccupati. Di questi il 65% sono giovani tra i diciotto e i trentacinque anni, in maggioranza “afro-brasiliani” che abitano nelle “favelas” o nei degradati cinturoni urbani delle capitali brasiliane!

Da non dimenticare il recente studio dell’istituto “PEA” sull’evoluzione della popolazione brasiliana economicamente attiva, secondo cui il lavoro nero – che nel 2014 era nell’ordine del 40% – oggi, con le riforme liberiste del governo Temer, è cresciuto fino al 60%. La stessa fonte ricorda che circa tre milioni di lavoratori sono ufficialmente spariti dai registri dei centri di occupazione perché hanno rinunciato a trovare un lavoro con regolare contratto. Un contingente di lavoratori che vive, semplicemente, alla giornata!

In realtà, il programma golpista iniziato con l’Impeachment contro il presidente Dilma Roussef e poi sviluppato dai giudici federali di Curitiba e di Porto Alegre, con la condanna e la detenzione dell’ex-presidente Inácio Lula da Silva – leader storico del PT e del movimento popolare brasiliano – ha centrato gli obiettivi geostrategici fissati dal Dipartimento di Stato, mentre ha completamente fallito gli obiettivi economici ampliando la recessione, oltre a provocare un autentico disastro sociale che comincia a far paura perché può scoppiare da un momento all’altro.

Di conseguenza, l'Istituto di Ricerche Economiche Applicate (IPEA) – che è una fondazione pubblica legata alla Segreteria per le Questioni Strategiche della Presidenza della Repubblica – nel suo “Atlas da Violência no Brasil” (Atlante della Violenza nel Brasile) rivela che dal 2016 a oggi sono stati commessi 62.502 omicidi, di cui il 93% realizzati con armi da fuoco. Un numero che è trenta volte maggiore della somma degli omicidi commessi in tutti i paesi dell’Unione Europea o in Siria. Senza dimenticare che nella città di Rio de Janeiro, occupata dall’esercito in regime di “stato di assedio”, si registrano nelle “favelas” continui scontri armati tra i “narcos” e i militari, con un saldo da sei a dieci morti al giorno, evidentemente tutti giovani e “afro-brasiliani”, vale a dire neri o mulatti.

La stessa fonte avverte che nel 2015 i detenuti erano 615.933 , di cui il 40% in attesa di giudizio. Nel 2016 questo numero è aumentato fino a 726.700 e nel mese di giugno di quest’anno il Ministro degli Interni, Raul Jungmann, annunciava che il numero dei detenuti era salito fino a 841.800, con la triste prospettiva di eguagliare gli Stati Uniti nel 2025 (con circa un milione e mezzo di detenuti!)

Per questo, i media, e in particolare i giornali di São Paulo “Estadão” e “Folhadesãopaulo”, oltre agli onnipresenti “Globo” e “TVGlobo”, interpretando i timori della classe media, quelli degli industriali e di gran parte della borghesia, hanno dato un’esagerata visibilità alla candidatura del fascistoide Jair Messias Bolsonaro che è il candidato dell’estrema destra, ufficialmente iscritto nelle liste del PSL (Partito Social Liberale).

Un candidato, apertamente razzista, omofobo, sostenitore della dittatura, della repressione indiscriminata dei partiti di sinistra e dei sindacati, favorevole all’uso della tortura, che all’inizio dell’anno riceveva appena il 4% delle dichiarazioni di voto, meritandosi il 68% di rifiuto degli elettori. Però, con l’entrata di campo a suo favore delle principali televisioni (“TV Globo”, “SBT”, “Bandierantes”, “MTV”, “CNT”) e del gruppo mediatico della chiesa evangelica “Assembleia de Deus” (“Rede Record” e “Record News”), la candidatura di Bolsonaro nel mese di giugno è salita fino al 18%, per poi toccare il 20% grazie alla maldestra coltellata, inflitta da uno squilibrato attentatore.

Le televisioni stanno presentando Bolsonaro come un salvatore della patria, un puro e incorrotto nazionalista, evidentemente molto maschio e virile, considerato come l’unica soluzione per sollevare il Brasile dalla crisi economica e combattere il narcotraffico.

Il suo “guru” è l’economista ultra-liberista Paulo Guedes, PhD dell’Università di Chicago, che ha riassunto il programma economico di Bolsonaro a due capitoli: 1) Stato Minimo; 2) Privatizzare Tutto! Per questo le 121 multinazionali presenti in Brasile hanno subito appoggiato la candidatura di Bolsonaro, mentre dalla Casa Bianca sono partiti i soliti messaggi d’incoraggiamento, anche perché Bolsonaro, proprio nei suoi ultimi discorsi prima dell’attentato aveva più volte manifestato “La necessità di abbattere la dittatura comunista nel Venezuela anche con un intervento armato!”

E’ evidente che la stoica avversione alla sinistra e lo sviscerato odio nei confronti del PT, del MST e dei sindacati da parte di Bolsonaro, dopo che questi ha scelto il generale riservista ultra conservatore, Hamilton Mourão, come suo vice nella campagna elettorale, ha moltiplicato le simpatie negli alti ranghi dell’esercito e nell’oligarchie dell’agro-bussines, formando un pericoloso triangolo elettorale con una base occupata dalla classe media, mentre i militari e le oligarchie industriali e latifondiste occupano le due fasce laterali.

Un contesto che, secondo Fernando Bizzaro, dell’Università di Harvard e ricercatore del Centro Studi Latino-Americano David Rockfeller, si presenta estremamente complesso, poiché la crescita di Bolsonaro “Non dipende da fattori politici oggettivi, ma da elementi emozionali alimentati dai media. Infatti, io ho sempre creduto che Bolsonaro non sarebbe andato oltre il 4%. Purtroppo oggi i sondaggi lo presentano come un potenziale candidato del secondo turno con il 18%!”

Una crescita che si deve all’insuccesso dell’ex-governatore dello stato di São Paulo, Geraldo Alckmin del PSDB, e di Henrique Meirelles del MDB, ex ministro del Tesoro del governo Temer ed anche Presidente del Banco Centrale durante i due governi di Lula. Secondo le previsioni, Alckmin e Meirelles avrebbero dovuto conquistare le numerose fasce elettorali della classe media. In particolare quelle del Sud e del Centro-Sud brasiliano, impedendo, quindi, l’ascesa di Bolsonaro. Invece è successo il contrario, con Alckmin e Meirelles fermi a quota 5%.

Per questo “Datafolha”, “Ibope” e “Vox Populi” prevedono un secondo turno polarizzato con Bolsonaro a destra, divenuto il candidato di tutti i conservatori, i moderati, i cattolici fondamentalisti, le sette evangeliche e i gruppi fascistoidi, mentre a sinistra, Fernando Haddad, cercherà di capitalizzare con il voto popolare la difficile eredità di Luiz Inácio Lula da Silva.

Lula dal carcere dirige la campagna del PT

Subito dopo la seconda condanna da parte del tribunale federale di Porto Alegre, la direzione nazionale del PT, presieduta dalla senatrice Gleisi Hoffmann, ha deciso di continuare ad appoggiare la candidatura di Lula per rivitalizzare la campagna elettorale del PT. Una scelta politicamente corretta, che ha anticipato l’assurda decisione del giudice Sergio Moro di imporre l’arresto di Lula “per evitare l’inquinamento di prove ”, contrariando l’opinione della Commissione di Giustizia dell’ONU e di numerosi penalisti brasiliani, secondo cui: “Le prove presentate dal giudice Sergio Moro sono inesistenti e costruite nell’ambito di un’evidente persecuzione politica che la Procura Federale di Curitiba e la Polizia Federale hanno introdotto nell’inchiesta fin dal suo inizio”.

L’arresto e la detenzione nella prigione federale di Curitiba dell’ex-presidente hanno fatto impazzire di gioia la borghesia brasiliana e i manager delle multinazionali, anche se poi si sono accorti che l’autoritaria decisione del giudice Sergio Moro aveva motivato ancor più le intenzioni di voto in favore di Lula; nella seconda settimana di giugno, “IBOPE” e “Vox Populi” fissavano tra il 52% e il 48% le intenzioni di voto per lui.

Valori che il 30 agosto si stabilizzavano sul 40,2%, quando il Tribunale Superiore Elettorale (TSE) commetteva un’altra arbitrarietà annullando la candidatura di Lula, prima che il Tribunale Superiore Federale (la Cassazione brasiliana) emettesse la terza e definitiva sentenza di presunta colpevolezza.

A questo punto, impedito nel concedere interviste a giornalisti e televisioni, Lula ha scritto una lettera a tutti i suoi elettori e simpatizzanti del PT, che il suo avvocato Luiz Eduardo Greenhalgh ha letto davanti alle telecamere di venticinque televisioni, subito dopo essere uscito dal carcere di Curitiba. In questa lettera Lula chiedeva di votare il suo vice, Fernando Haddad, ex-sindaco della megalopoli São Paulo e ministro dell’istruzione durante i primi due governi del PT (2003/2011).

In questo modo Lula sarebbe riuscito a trasferire gran parte delle intenzioni di voto in suo favore verso il giovane Fernando Haddad, che secondo l’agenzia “Vox Populi” dall’iniziale 5,8% è già arrivato al 22%; mentre l’altra agenzia specializzata in sondaggi elettorali “Datafolha” ammette un aumento delle intenzioni di voti limitato al 18%, che però colloca Haddad allo stesso livello della destra con Jair Messias Bolsonaro.

Uno scenario che, secondo lo scienziato politico Fernando Bizarro e la maggior parte degli analisti politici brasiliani, ricorda la polarizzazione destra/sinistra, nella storica campagna elettorale del 1989, quando gli elettori brasiliani, dopo trentacinque anni, tornarono a eleggere il presidente della repubblica con il voto diretto. Purtroppo Lula fu allora sconfitto da Fernando Collor de Mello, che era il candidato della “TV Globo”, della borghesia, delle oligarchie, dei militari e logicamente del Dipartimento di Stato Usa.

La grande differenza è che oggi la sinistra e soprattutto il movimento popolare sono completamente disuniti, sia a livello nazionale, ma soprattutto nei ventisei stati della federazione. Una disunione che esisteva anche prima delle disavventure giudiziarie del PT e quelle di Lula, che però può determinare una situazione complessa per il PT, dal momento che il PDT – il partito laburista fondato da Leonel Brizola – si presenta alle elezioni con un suo candidato, Ciro Gomes.

Di fatto, il 13 settembre, cioè a soli trenta giorni dall’inizio del secondo turno, “Datafolha”, quantificava le intenzioni di voto in favore di Ciro Gomes in un 10%, con potenzialità di crescita fino al 18% con i voti della classe media, nel caso il PDT assuma posizioni lontane da quelle del PT.

Guilherme Boulos è invece il candidato del PSOL (Partito Socialismo e Libertà), che pretende di ricostruire la nuova sinistra e mobilizzare il movimento popolare su tematiche classiste e assistenziali. Considerato che Boulos è appoggiato dal PCB (Partito Comunista Brasiliano) e dai movimenti urbani legati al MTST (Movimento dei Lavoratori Senza Tetto), molto attivo nelle “favelas” delle grandi metropoli, risulta evidente che il candidato del PSOL potrebbe sottrarre molti voti allo stesso Haddad, che non è molto stimato negli ambienti della sinistra, soprattutto dopo l’infelice campagna per essere rieletto sindaco di São Paulo nel 2016.

Purtroppo l’intensa attività politica di Boulos – che è entrato nel PSOL recentemente – si spegnerà alla fine del secondo turno, quando nel partito prevarranno il settarismo delle differenti tendenze, specialmente lo storico anti-petismo del MES di Luciana Genro e dei differenti gruppuscoli legati al troskismo-morenista argentino.

I risultati positivi ottenuti dal PT sono l’appoggio incondizionato e militante del MST (Movimento dei Senza Terra) di João Pedro Stedile, del piccolo PCdoB (Partito Comunista del Brasile), del millimetrico partito trozkista PCO (Partito della Causa Operaia) di Ruy Costa Pimenta, dei gruppi cattolici legati alla Pastorale Operaia e quella Contadina, e di alcuni settori evangelici di Rio de Janeiro, Salvador e Belo Horizonte. Inoltre il PT ha siglato un importante accordo con il PSB (Partito Socialista Brasiliano) in base al quale non appoggerà nessun candidato nel primo turno, per poi decidere che fare nel secondo (1).

Gli effetti della polarizzazione nella sinistra brasiliana

Subito dopo la presentazione in Parlamento della richiesta di impeachment contro il presidente Dilma Roussef, nel 2015, la direzione del PT fece un comunicato in cui il partito optava per “La difesa giuridica per salvare le istituzioni dal golpe sferrato dalle forze oscure della reazione ”. Una posizione retorica che però non mobilitava quel 38% di brasiliani che avevano votato per Dilma e tantomeno minacciava le cosiddette forze oscure con la realizzazione di mobilitazioni popolari nelle città o scioperi generali nelle fabbriche.

D’altra parte, tutti si aspettavano una reazione militante da parte di Dilma, considerando che durante la dittatura era stata torturata nei tre anni di detenzione (1970/72), in quanto guerrigliera del “COLINA” (Comando di Liberazione Nazionale) e, dopo il suo scioglimento dell’organizzazione “VAR Palmares” (Avanguardia Armata Rivoluzionaria Palmares).

Purtroppo, Dilma ha preferito continuare a fare tranquille passeggiate in bicicletta nei giardini del palazzo presidenziale di Brasilia, mentre Lula commetteva il suo secondo errore volendo intermediare il futuro di Dilma proprio con Michel Temer, che aveva ideato l’impeachment. Un errore che, in pochissimo tempo minimizzò i sentimenti di rivolta, al punto che tutte le mobilitazioni furono sempre controllate dalla polizia, l’affluenza sempre garantita appena dai militanti del MST, dai sindacalisti legati alla confederazione CUT e dai “funzionari” della macchina elettorale del PT.

Quest’ultima, in pratica è diventata il polmone del PT, poiché composto da più di 50.000 “militanti a tempo pieno”, professionalmente retribuiti per garantire alla direzione del PT la partecipazione del partito nelle elezioni per i governatori, i deputati e i senatori federali, quelle per i deputati degli stati, per i sindaci e i deputati municipali nei parlamentini di 5.557 comuni del Brasile.

Una macchina elettorale che è assolutamente contraria a qualsiasi tipo di politica di sinistra che possa incrinare lo statu quo e provocare un’eventuale rottura con la possibile reazione dei militari. Infatti, molti si chiedono perché il PT si è limitato a denunciare il “golpe” senza però reagire e senza fare appello ai proletari, ai lavoratori e agli studenti per scendere in piazza in sua difesa. Come pure rimane un mistero l’iniziativa di Lula di voler negoziare con Temer, pur sapendo che lui era principale responsabile della congiura politica nei confronti di Dilma e il garante della relazione sovversiva ideata dagli uomini del Dipartimento di Stato e della CIA, quest’ultimi perfettamente infiltrati nel Dipartimento di Intelligenza della Polizia Federale.

La risposta ce la dà lo stesso Lula nel suo libro, curato da Ivana Jinkings, insieme ai migliori intellettuali e giornalisti legati al PT, che la casa editrice Boitempo ha preparato subito dopo la condanna di Porto Alegre, per poi essere lanciato nei primi giorni della campagna elettorale con il titolo “Luiz Inácio Lula, a verdade vencerà” (2).

Un libro che in realtà è un’ambiziosa operazione editoriale che pretende di riaprire il dialogo tra il PT e alcuni settori della borghesia, delle chiese evangeliche e del mondo industriale, proponendo di sconfiggere la crisi economica e sociale che oggi affligge il Brasile, rinnovando quel rapporto politico stabilito nel 2002 e poi distrutto nel 2014. Quello che i giornalisti Luca Kfouri, Maria Inês Nassif, Mauro Lopes, Gilberto Maringoni e la stessa Ivana Jinkings non dicono è che Lula, dalla prigione di Curitiba, ha voluto riproporre con questo libro un secondo “compromesso storico” con gli stessi soggetti politici che nel 2002 accettarono che il PT governasse il Brasile. Un compromesso in cui la “pace sociale” è l’elemento determinante per uscire dalla recessione, con il ritorno del PT alla guida del paese. Vale a dire il controllo politico della forza-lavoro in eccedenza che nelle condizioni attuali di rinnovata povertà può ribellarsi in qualsiasi momento.

Lula, infatti, nel libro ricorda che “Andare al governo è cosa diversa da assumere il potere e il PT non è nato per essere un partito rivoluzionario”, per poi sottolineare “Noi abbiamo dato al popolo molto di più di quanto avrebbe potuto fare una rivoluzione armata e in Brasile non c’è stata mai una guerra, una rottura”.

Per poi concludere con la proposta del nuovo accordo con le élite, affermando: ”Ogni volta che la società è stata sul punto di rottura, c’è stato un accordo. Un accordo fatto dall’alto. Chi sta in cima non vuole andarsene. La democrazia in Brasile non è la regola, ma l’eccezione. Non c’è bisogno di un golpe militare, puoi farlo sfruttando la legge, comprando i giornali che costruiscono l’opinione pubblica per poi usarla contro il governo e spegnere l’indignazione popolare”.

Molti giornali si sono limitati a enfatizzare l’importanza letteraria del libro di Lula, evitando di commentare i contenuti politici per realizzare un nuovo compromesso con la classe dominante. Un argomento che, invece, ha fatto imbestialire molti intellettuali e dirigenti della sinistra sindacale soprattutto quando il pragmatismo politico di Lula tocca il suo apice: “Se perdessi fiducia nel Potere Giudiziario, dovrei smettere di essere un politico e dire che le cose in questo paese si possono risolvere solo con una rivoluzione. Allo stesso modo dico che non credo nel Tribunale Popolare e continuo a credere nella democrazia e nel funzionamento di tutte le istituzioni”.

Purtroppo, la fiducia di Lula in questa democrazia e, soprattutto, nel Potere Giudiziario, potrà costargli cara visto che cinque dei sei giudici che lui aveva nominato al Tribunale Superiore Federale hanno votato a favore della permanenza di Lula nel carcere federale, oltre a proibire la partecipazione nella campagna elettorale con interviste e reportage.

L’ultima mattonata del potere giudiziario sulla testa del povero Lula viene proprio dal nuovo presidente del TSF, il giudice José Antonio Dias Toffoli, che ha spostato al gennaio del 2019, cioè dopo le elezioni, il processo in Cassazione per Lula, bruciando, in questo modo tutte le sue speranze di ribaltare le sentenze articolate artificiosamente dal giudice di Curitiba, Sergio Moro, prima della fine della campagna elettorale.

E’ importante ricordare che questo giudice Toffoli fino al 2013 è stato sempre legato al PT, visto che nel 1991 era l’avvocato della Confederazione sindacale CUT, legata al PT diretta dallo stesso Lula. Poi nel 1994 fu nominato assessore giuridico del PT nell’Assemblea Legislativa dello stato di São Paulo. Dal 1995 fino al 2000 ha esercitato la funzione di avvocato di Lula nelle tre campagne elettorali. Infine, dal 2002 fino al 2007, quando Lula era presidente, ha svolto l’importante ruolo di coordinatore delle questioni giuridiche della Presidenza, per poi essere nominato dal presidente, nel 2008, Avvocato Generale dello Stato Federale, arrivando nel 2009 al livello massimo della carriera giuridica con la nomina, sempre da parte di Lula, di giudice del Tribunale Supremo Federale.

Comunque, per addolcire l’ennesimo tradimento di tutti quelli che Lula ha appoggiato o promosso, alcuni giornali sensazionalisti brasiliani hanno ipotizzato che sarà proprio grazie a Toffoli che Lula potrebbe tornare nelle sale del Planalto (3). Infatti, secondo queste voci, nel prossimo mese di gennaio il giudice Toffoli dovrebbe emettere una sentenza che confermerebbe l’innocenza di Lula. Di conseguenza, il presidente Fernando Haddad e il suo vice, Manuela D’Avila, rinuncerebbero convocando immediatamente nuove elezioni dove, logicamente, il candidato numero uno sarebbe Lula.

Più che un’ipotesi realizzabile sembra un autentico sogno, perché i suoi autori si sono dimenticati del famoso messaggio inviato dal telefonino del Capo di Stato Maggiore delle tre armi (Esercito, Marina e Aviazione), il generale Villas Boas, poco prima che il Tribunale Superiore Federale si pronunciasse su una richiesta degli avvocati di Lula per permettere all’ex-presidente di partecipare nella campagna elettorale.

Un messaggio che immediatamente la “TV Globo” divulgò in tutto il Brasile insieme alle risposte dei comandanti di tutte le regioni militari, che dichiararono di essere pronti a intervenire nel caso Lula fosse rimesso in libertà! La stessa fonte rivelò che subito dopo il presidente Temer e il generale Villas Boas si riunirono privatamente.

In realtà, la “TV Globo” e poi tutti i media hanno avvisato la direzione e la macchina elettorale del PT, dicendo chiaramente che i militari sarebbero intervenuti con un golpe militare nel caso il STF avesse liberato Lula.

In seguito i media hanno più volte ricordato quello che l’esercito e la polizia militare stanno facendo a Rio de Janeiro, con molta disinvoltura, vista l’esperienza accumulata con le “operazioni di pacificazione” in Haiti. Vale a dire, repressione selettiva, controllo militare delle comunità, generale cooptazione della classe politica, intervento nei sindacati e nelle confederazioni sindacali, oltre, logicamente, al sequestro dei beni e la chiusura di tutte le sedi dei partiti considerati “sovversivi”.

E’ evidente che il preziosismo pragmatico e letterario di Lula e la scelta di Fernando Haddad al posto del senatore di Rio de Janeiro, Lindenberg Farias, che vorrebbe un PT più combattivo e politicamente popolare, ha provocato accese risposte nella sinistra. Per esempio, lo storico Fernando Luz scrive in un suo articolo che “L’ex-presidente usa la sua sagacia per santificare gli interessi della macchina elettorale del PT, sterilizzando qualsiasi possibilità di critica e autocritica da parte della sinistra. Lula non ha imparato nulla dai tradimenti e dalle sconfitte che ha sofferto in passato e che continua a soffrire, anche nella sua condizione di detenuto, dando così origine a un sistema di articolazione politica insensata e inefficace”.

Più incisivo invece è il giornalista ed ex detenuto politico, Celso Lungaretti, secondo cui: “Per non contrastare i desideri della classe dominante brasiliana, la presidente Dilma, con il consenso di Lula, nel 2015 ha provocato una profonda recessione, che ha aperto la strada all’impeachment, contro cui il PT ha realizzato un retorico pippone parlamentare senza alcun risultato. Invece di riconoscere i suoi errori, la direzione del PT ha continuato a nasconderli. Limitandosi poi a evocare la tesi del golpe senza però reagire. In questo modo, il PT oltre a perdere lo status di partito differente, ha perso anche il sentimento di fiducia delle masse”.

Critiche che già circolavano nel 2016, quando Frei Betto – assessore di Lula nel programma “Fome Zero” – dopo le sue volontarie dimissioni presentò il libro “La mosca azul, refleções sobre o poder”(4). Un libro in cui spiccano due frasi che identificano la simbolica critica politica al PT. In ordine: “Il PT nei dodici anni che è stato al governo ha commesso molti errori preoccupandosi di favorire l’accesso ai beni personali per accontentare alcuni settori industriali (computer, cellulari, elettrodomestici, ecc) invece di pensare ai beni sociali, vale a dire l’istruzione, la salute, i trasporti, le case popolari, la sicurezza e le infrastrutture. Così facendo, mentre il governo del PT creava una nazione di consumisti e non di cittadini responsabili, il partito si dimenticava dell’educazione politica delle masse!”

Più avanti Frei Betto sottolineava un argomento che ha sempre ripetuto in tutte le sue interviste: ”Continuo a essere critico da sinistra, perché purtroppo in dodici anni il PT non ha prodotto nessun cambio strutturale in Brasile, perdendo importanti simboli della sua origine progressista, cioè essere il partito capace di organizzare politicamente i poveri e rappresentare l’etica nella politica”.

Invece su Fernando Haddad, pupillo di Lula, i pareri sono molteplici, anche se prevale il concetto critico di “quadro moderato uspino”, che è l’etichetta che gli ambienti della sinistra appiccicano a tutti gli accademici del PT che nell’Università di São Paulo “USP” sono vicini o dialogano con i “tucani” (5). Una critica che si è rafforzata durante la sua controversa amministrazione del comune di São Paulo, quando nel 2016 fu sconfitto ingloriosamente nel primo turno da João Doria Junior, un playboy di seconda categoria e assolutamente estraneo alla politica. Infatti, “Datafolha” ricorda: ”all’inizio del primo turno il 40% degli abitanti della megalopoli paulistana consideravano l’amministrazione di Haddad pessima, il 35% si limitava a dire che era sufficiente e solo il 18% diceva che era ottima!”

Per questo lo scienziato politico Fernando Bizzarro ammette che la scelta di Haddad da parte del PT creerà molti problemi negli elettori, soprattutto quelli che nel 2015 votarono il candidato indicato da Lula, vale a dire Dilma Roussef. La stessa che poi abbandonò il programma originale per fare un governo con la oligarca dell’agro-bussines Katia Abreu e i principali rappresentanti liberisti dei Chicago Boys, con cui fece sprofondare il Brasile in una profonda crisi recessiva.

Per questo Bizzarro argomenta: “Più tempo passa e più gli elettori si domandano se Haddad non sarà una nuova Dilma. Una domanda che può rivelarsi terrificante per il PT, soprattutto nel secondo turno!”

La risposta viene dallo storico Fernando Luiz secondo cui: ”La scelta di Haddad è complessa perché non è conosciuto a livello nazionale e tantomeno dai settori popolari. É un moderato con forti inclinazioni a negoziare con banchieri e le eccellenze della borghesia. Non ha un progetto economico e politico chiaro, capace di produrre un momento di resistenza alla crisi recessiva. Inoltre, in passato fu seriamente attaccato da Bolsonaro, quando presentò il Kit-Gay da distribuire nelle scuole, irritando la stessa presidente Dilma che ne proibì la distribuzione. Per questi motivi, Bolsonaro potrebbe conquistare l’adesione di quel 30% di elettori indecisi e stanchi dei giochetti parlamentari”.

La speranza, quindi, è credere che Lungaretti, Bizzarro, Luiz e lo stesso Frei Betto si sbaglino, per essere eccessivamente “esquerdistas” e, quindi, sognare con le parole del direttore della rivista “Carta Capital”, Mino Carta, secondo cui “Bolsonaro non andrà nel secondo turno e Fernando Haddad sconfiggerà il tucano Geraldo Alckim, riproponendo la polarizzazione paulistana tra il PT di Lula e il PSDB di Fernando Henrique Cardoso”.

Note

1 - Il PSB è un piccolo partito che, dopo aver perso le caratteristiche ideologiche del suo fondatore, il socialista Miguel Arraes, è diventato un “partito legenda”, cioè vende il titolo di “parlamentare del PSB” a chi lo compra. Come per esempio fece il giocatore Romario, che poi nel 2016 votò a favore dell’impeachment!

2 - “Luiz Inácio Lula da Silva, la Verità Vincerà”, pubblicato in Italia da dall’editore Meltemi

3 - Il Planalto è il Palazzo Presidenziale localizzato in Brasilia al lato del Parlamento.

4 - “Frei Betto – La Mosca azzurra, riflessioni sul potere” Edições Rocco), SãoPaulo

5 - Il PSDB (Partito della Social Democrazia Brasiliana) creata dall’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, è rappresentato da un Tucano che è un tipico uccello della fauna brasiliana. Peccato, come dicono i vignettisti che “fu catturato da un ornitologo statunitense per far divertire i suoi 121 figli”. Vale a dire le 121 multinazionali che operano in Brasile.

Fonte

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