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29/09/2018

Il piano di Savona per combattere l’Europa: più Europa!

Ve lo ricordavate il Professor Paolo Savona? Il pericoloso sovranista, il pensatore libero e scomodo che, per un paio d’ore, aveva agitato i sonni dell’Europa. Il difensore degli interessi patri, candidato in pectore a fare il Ministro dell’Economia nel ‘Governo del Cambiamento’, fatto fuori, senza troppe cerimonie, da Mattarella in persona e infine riproposto nel ruolo di Ministro per gli affari europei. Ci chiedevamo che fine avesse fatto e finalmente abbiamo avuto una risposta: era impegnato a scrivere di proprio pugno una vibrante lettera all’Europa.

All’apparenza, e ad una lettura superficiale, la missiva di Savona sembra improntata ad un generico buon senso. Il messaggio principale infatti è: per uscire dalla crisi che attanaglia l’Europa ormai da un decennio, c’è bisogno di politiche pubbliche, coordinate a livello europeo, che stimolino la domanda aggregata. In particolare, si fa riferimento alla necessità di investimenti pubblici nelle infrastrutture e di interventi volti a creare una knowledge based economy (un po’ di latinorum non si nega a nessuno). È però interessante provare a scavare un po’ più a fondo nella lettera, andare oltre quella che, nei fatti, è una semplice ed innocua enunciazione di principio e cercare di capire qualche elemento della visione d’insieme e del progetto di Savona.

Per prima cosa, è interessante notare come il Ministro, forse ancora scottato dalla tirata di orecchie ricevuta e desideroso di accreditarsi come persona per bene, senta il bisogno di mettere in chiaro, fin dal secondo paragrafo della prima pagina, che l’Italia “riconosce che il mercato comune, di cui l’euro è parte indispensabile, è componente essenziale del suo modello di sviluppo”. Per poi ribadire che gli interventi che egli propone hanno come scopo quello di “rendere irreversibile l’euro”, “rivitalizzare il consenso necessario per l’Unione Europea e l’euro” e così via. Questo per ricordare ancora una volta come la presunta sfida rappresentata dal Governo giallo-verde all’Europa dell’austerità sia, al massimo, un bluff agitato a scopi propagandistici, al quale non si accompagna alcuna volontà di rottura o semplicemente di cambio radicale. Ma questo, d’altro canto, non ci stupisce, era abbastanza chiaro fin dal principio. Bastava leggere il contratto di Governo.

La cosa che più colpisce è la sparizione totale della politica e la riduzione della questione – la crisi europea, la crisi di legittimità dell’Unione Europea, la disoccupazione che esplode... – ad un semplice problema tecnico.

Apparentemente, governanti ed istituzioni europee stavano semplicemente aspettando che Savona spiegasse loro che per far ripartire la produzione è necessario stimolare la domanda aggregata. E che li convincesse che i vincoli imposti dai Trattati europei non sono un ostacolo insormontabile.

A sentire il Ministro, sarebbe infatti sufficiente “una più attenta interpretazione degli accordi di Maastricht”. In una economia capitalistica, la disoccupazione è uno strumento necessario per imporre moderazione salariale e disciplina ai lavoratori. A leggere la lettera, tuttavia, il problema sembra semplicemente che chi ha preso le decisioni negli ultimi decenni non ha letto gli stessi libri di Savona. La stessa pseudo-ingenuità pervade l’analisi dell’operato della BCE.

Come mai, infatti, l’istituto guidato da Draghi, nei mesi della crisi degli spread sui titoli del debito sovrano, ha agito in maniera così intempestiva, rendendo la situazione di Paesi come l’Italia pressoché insostenibile? Semplicemente la BCE “si trovò impreparata a fronteggiare la situazione e la speculazione”. Nella lettura fornita da Savona e contrariamente a quanto appare evidente, non c’è stata nessuna volontà politica di portare un Paese sull’orlo del baratro per poi salvarlo all’ultimo minuto, al prezzo dell’imposizione delle riforme lacrime e sangue del Governo Monti. Semplicemente, la BCE non sapeva come si fa. Ebbene, per raddrizzare questi piccoli incidenti di percorso, e questa è l’unica proposta concreta che la lettera – e quindi il Governo – avanza, sembra auspicabile l’istituzione di “un Gruppo di lavoro ad alto livello”, che elabori “suggerimenti utili a perseguire il bene comune, la politica che manca al futuro dell’Unione e alla coesione tra gli Stati membri”.

 Altri aspetti della lettera colpiscono:

1) Savona propone di interpretare in maniera più flessibile i parametri che l’Europa impone su conti e deficit, per permettere ai paesi in difficoltà un po’ di spesa pubblica. Poi nota: come si possono tranquillizzare i paesi creditori (le virtuose Germania, Olanda, Austria etc.) sul fatto che non saranno loro, un giorno, a doversi fare carico del debito dei paesi spendaccioni (le pigre Italia, Grecia, Portogallo etc.), qualora questi ultimi non si dimostrassero in grado di ripagarlo? La soluzione è semplice. Il ministro, sovranista tra i sovranisti, suggerisce una “ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate”. In parole povere, il Ministro propone di sequestrare una parte delle tasse pagate dai cittadini del paese debitore, o di espropriare qualche proprietà pubblica, e di destinarle in automatico all’espiazione delle proprie colpe. Il debito pubblico, infatti, rimane un problema. Non uno strumento necessario per stimolare la crescita, ma uno stigma. In un mondo ideale, ci dice Savona, gli eccessi di debito pubblico rispetto al PIL sarebbero stati sistemati prima dell’adozione dei parametri di Maastricht (p. 12).

2) L’unico problema delle privatizzazioni selvagge e della precarizzazione del mercato del lavoro imposte, negli anni, dall’Europa (Savona non le nomina mai espressamente, preferendo un più asettico “riforme”) è che non sono state coordinate adeguatamente con politiche di domanda. Hanno tuttavia “migliorato l’efficienza generale dei sistemi economici nazionali” ed in quanto tali devono rimanere un pilastro su cui costruire l’Europa che Savona sogna. D’altro canto, in tutta la lettera non si parla mai di distribuzione del reddito o di compressione della quota salari, che di fatto è stato l’unico effetto reale delle riforme che il Ministro elogia.

3) Le delocalizzazioni? Di per sé, secondo il pensiero di Savona, non sono un problema. Nella misura in cui hanno “un effetto incentivante rispetto all’intera economia dell’UE” vanno sostenute ed aiutate. Sorprendentemente, non si menziona come un problema la ricerca da parte di padroni e padroncini di retribuzioni salariali da fame e condizioni di lavoro peggiori come variabile in base alla quale decidere dove portare i propri capitali.

4) La moneta unica “svolge un ruolo determinate nello sviluppo delle economie export-led, trainate dalle esportazioni, come la gran parte di quelle europee”. Savona dimentica di esplicitare in cosa consista questo ruolo: obbligare i Paesi a perseguire la competitività sui mercati esteri attraverso la compressione e la svalutazione salariale, poiché la svalutazione della moneta non è più uno strumento disponibile.

Nonostante qualche anima candida, colpita da un’infatuazione verso il Governo giallo-verde, veda nella lettera un importante avanzamento verso la conquista del bene, ancora una volta la realtà presenta il suo conto. Una cosa è fare gli sbruffoni con i disperati in fuga dalla miseria, un’altra è discutere con l’Europa dell’austerità. In questo, l’esecutivo Salvini-Di Maio, chiacchiere a parte, segue un copione già visto ed interpretato da Renzi: quando si è lontani da Bruxelles, fare la voce grossa, ringhiare e promettere rivoluzioni. Quando si interloquisce davvero con le istituzioni europee, responsabilità, calma e ragionevolezza. Non sia mai che cada dal tavolo qualche briciola di flessibilità.

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