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15/09/2018

Genova ad un mese dalla strage di Stato: alcuni nodi politici


“E così sulla porta, in mezzo al cielo, al fiume e alle montagne, una generazione dopo l’altra apprendeva a non compiangere oltre misura ciò che la torbida acqua si portava via. In tutti penetrava la spontanea filosofia della cittadina: che la vita è un miracolo impenetrabile, perché si consuma e si disfà incessantemente, eppure dura e sta salda «come il ponte sulla Drina”

Ivo Andrić, Il Ponte sulla Drina

Ad un mese dalla strage di Stato di Ponte Morandi, i nodi politici posti dalla tragedia permangono, così come la necessità di non abdicare alla denuncia coerente delle cause e dei responsabili, e alla conseguente mobilitazione.

Come è stato sottolineato da alcuni commentatori è chiara la responsabilità politica di chi, come Autostrade, godendo della rendita su un monopolio naturale, non è stata in grado di garantire il grado minimo di attenzione al pericolo rappresentato da quel gigante malato – che tagliava in due la Valpocevera – così come è altrettanto evidente che, ad ogni livello, nessuno ha mai ipotizzato “un piano b” per il passaggio del traffico da quella struttura.

Il ponte è stato “schiantato”, oltre che dall’incuria, dall’usura del flusso di merci provenienti e dirette verso il porto, ma nessuno di coloro che godono di una qualche autorità nella “comunità portuale” ha mai posto il problema, anche solo dell’eventualità di una chiusura temporanea, ed una alternativa.

Molte sono le similitudini tra le dinamiche dell’affidamento ad un soggetto privato di un bene pubblico, come le autostrade, e le concessioni delle banchine ad operatori privati, anche rispetto al pesante tributo di sangue pagato dalle varie figure che lavorano e ruotano attorno all’hub genovese: portuali, autotrasportatori, ma anche semplici abitanti della Superba che devono subire le “esternalità negative” del traffico, in termini di congestionamento e inquinamento, senza alcuna contropartita.

Come ha dichiarato in una conferenza stampa Il Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali: siamo qua per dire semplicemente che la privatizzazione ha fallito ma le responsabilità sono anche nostre, perché non abbiamo saputo fermarli.

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Nel Decreto cui il Consiglio dei ministri ha dato il via non c’è “la revoca immediata unilaterale della concessione di Autostrade per l’Italia (proposta i giorni scorsi dal Ministero delle Infrastrutture): la procedura per la revoca” riporta Alessando Arona, sul Sole 24 Ore di Giovedì, “avviata dallo stesso Mit, il 16 agosto, farà il suo corso (almeno alcuni mesi) in base alle regole della convenzione vigente”.

Un notevole passo indietro, dopo lo “stop and go” rispetto alla nazionalizzazione paventata in un primo momento, che fa emergere uno degli aspetti centrali della vicenda di Ponte Morandi.

Se era chiaro dalle prime ore dopo il crollo che si apriva la corsa al business della ricostruzione, e alla strumentalizzazione mediatica della tragedia per consolidare la narrazione sulla necessità della continuazione dei lavori della Tav-Terzo Valico e dell’inizio di quelli per la Gronda – progetti che non hanno alcuna pertinenza rispetto alle problematiche legate al traffico che passava sulla tratta autostradale crollata – con il passare dei giorni la cosa è diventata del tutto evidente come lo scontro di potere che sta attraversando il governo.

I nodi più rilevanti sono stati infatti delegati all’approvazione di un successivo decreto del presidente del consiglio (Dpcm): si va dall’incarico di Commissario straordinario tecnico alla ricostruzione e ai compiti che a lui verranno assegnati, ai soggetti e alle modalità con cui verrà ricostruito il Ponte.

Tra la rosa dei nomi papabili, figurano Giovanni Toti ed Edoardo Rixi, su cui il M5S ha espresso un parere negativo; Iolanda Romano, commissaria per il Terzo Valico dal 2015 e Marco Rettighieri, nominato commissario dopo la decapitazione dei vertici Cociv a causa delle numerose inchieste giudiziarie, ed infine Emilio Signorini, presidente di nomina governativa dell’Autorità Portuale della Superba.

La Confindustria locale si è schierata apertamente con il Presidente della Regione Liguria Toti – come riporta Giorgio Santilli sul Sole 24 Ore di venerdì: “a rilanciare il governatore potrebbero però essere la figura che si è andata definendo nelle bozze di decreto, con poteri davvero eccezionali come forse non si è mai visto nella storia repubblicana: non solo coordinamento e poteri sostitutivi in caso di inerzia, ma proprio una sostituzione automatica e ‘attiva’ di tutte le amministrazioni statali, regionali e comunali con l’eccezione delle Sovrintendenze”.

La frase "con poteri davvero eccezionali come forse non si è mai visto nella storia repubblicana" dovrebbe mettere in allarme chi ha denunciato l’accresciuta “esecutivizzazione” del processo decisionale e la torsione autoritaria in corso nello Stato italiano, aprendo un pericoloso precedente in termini di verticalizzazione delle dinamiche di governance.

Uno dei nodi giuridicamente più delicati – e la cui decisione sancirà il risultato del “braccio di ferro” non solo (o tanto) tra Governo e chi gestisce le Autostrade, ma tra questo e la trama di interessi legati alla “rendita” – è chi e come ricostruirà il ponte, quale sarà il ruolo di inclusione/esclusione della società, e le modalità di affidamento direttamente o meno a Fincantieri o con rapida selezione di almeno 5 candidati come vorrebbe l’UE.

Anche questa decisione verrà presa da un Dpcm; in caso di esclusione di Autostrade sono state paventate possibili contenziosi e rallentamenti.

Chiaramente, lo scontro non è legato solo alla filiera di interessi dell’uno e dell’altro contendente economico, ma è squisitamente politico: chi governa detiene veramente il potere? E per fare cosa?

In questi giorni abbiamo assistito ad un fuoco incrociato sul governo grigio-verde da parte delle maggiori istituzioni della UE, come del padronato italiano – anche su TAV e Tap – e che si può esemplificare con il titolo delle due brevi colonne apparse venerdì in prima pagina sul giornale di Confindustria, a firma Alberto Orioli: la ricreazione è finita.

Ciò che è contenuto nel decreto, secondo ciò che trapela da la Stampa, sono la creazione di una zona logistica speciale molto ampia, a cui verranno riconosciute le stesse semplificazioni previste per le Zone Economiche Speciali che stanno sorgendo nei porti del Sud, come Napoli e Gioia Tauro; una zona franca urbana per le imprese che hanno conosciuto difficoltà economiche con varie esenzioni, anche per le imprese che avvieranno la loro attività entro il 2019, facendo diventare le zone colpite un’ottima occasione d’affari per le aziende private, oltre a varie misure di miglioramento del monitoraggio sulla sicurezza viaria di varia natura.

Completerebbero il quadro – ma ci sono versioni parziali o discordanti, a seconda dei giorni in cui sono stati riportate le indiscrezioni – l’indennizzo statale a proprietari di case e imprese che hanno avuto immobili distrutti e danneggiati, rinvii ed esenzioni di obblighi fiscali e mutui, risorse per rilanciare il trasporto pubblico locale e la viabilità.

Nei prossimi giorni, potendo disporre della documentazione necessaria, sarà indispensabile passare al vaglio più dettagliato la prima tranche di manovre governative e osservare lo scontro di potere in atto.

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Un aspetto rilevante sottolineato dalle compagne e dai compagne dell’assemblea antifascista di Genova, in un post su Facebook corredato di video sull’anniversario della strage “14 agosto ore 11.36 strage di Stato”, riguarda il tentativo di rimozione e di censura rispetto alla denuncia politica di ciò che è successo e che da la cifra del clima che si respira da un mese in città:

“La settimana scorsa in piena zona rossa uno striscione di trenta metri con su scritto STRAGE DI STATO è stato calato di fianco a Ponte Morandi per ricordare a questi sciacalli perennemente in vetrina che i genovesi sanno benissimo cosa è successo e che le colpe sono tutte loro e non certo di povera gente bloccata in mezzo al mare, né degli spazi sociali o dei movimenti no tav/no gronda.
Altri striscioni, scritte, adesivi sono stati appesi in tutta la città in questi giorni ma la rabbia, la denuncia, il dissenso verso i responsabili di questo disastro sono sentimenti che vanno cancellati e così la macchina della repressione si è messa subito in moto. Gli striscioni vengono tolti a tempo record, le scritte coperte, adesivi e manifesti strappati... si deve solo parlare di Renzo Piano, del salone nautico e di pallone, lo show deve continuare.”

Le iniziative che saranno messe in campo nelle prossime settimane in corso di definizione in questi giorni come l’assemblea nazionale a fine settembre a Genova e la manifestazione a Roma il 20 ottobre sulle nazionalizzazioni, promosse sia da Potere al Popolo che dall’Unione Sindacale di base, e la loro preparazione, saranno importanti per non lasciare che tutto passi sotto silenzio e che i nodi politici non vengano elusi.

Se non farà tornare in vita le 43 vittime, onorerà la loro memoria e creerà le condizioni affinché le vite non vengano stroncate dalla logica del profitto e da uno stato piegato ai suoi fini.

Anche se rimane difficile non compiangere oltre misura ciò che la torbida acqua si portava via.

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