La discussione sul futuro di Potere al Popolo sta entrando nel vivo dei problemi. Al momento, ad animare il dibattito è la questione dello Statuto. Di fronte all'impossibilità di trovare una sintesi unitaria, il Coordinamento nazionale provvisorio ha prodotto due bozze diverse sulle quali si chiederà a tutti gli aderenti di esprimersi.
In questi giorni intorno a tale scenario sono venuti alla luce le “diverse sensibilità”, ma anche le diverse visioni sulla funzione e la natura di Potere al Popolo che si riflettono nelle due proposte di Statuto.
Intanto – nonostante le immense difficoltà, le differenze e la sistematica censura dei media mainstream (tranne poche e perciò lodevoli eccezioni) – nei sondaggi PaP continua a grattare o consolidare consensi e in giro riscontra interesse e possibilità a livello politico e sociale. Una percezione della sua funzione che ormai si è lasciata alle spalle l’1,13% ottenuto nelle elezioni il 4 marzo scorso e che, in altre occasioni, ne avrebbe potuto sancire la crisi e lo scioglimento. Ma questo non è avvenuto, anzi, è avvenuto “tutto il contrario” come evocato nella prima assemblea pubblica del 18 novembre.
La discussione sulle due proposte di Statuto assume così una valenza superiore a quella di una semplice discussione sulle regole. Su questo il nostro giornale ha già provato a mettere a disposizione una disamina delle proposte in campo.
Nei giorni scorsi la discussione si è fatta via via più tumultuosa, disordinata, incentivata ma anche condizionata in negativo dai social network.
Ieri la pubblicazione di un post che riportava un messaggio “operativo” sulle votazioni sulle due proposte di statuto, a favore del secondo, ha scatenato un pandemonio. Vuoi per la rozzezza da “furbi praticoni” del messaggio, vuoi per l’assoluta indifferenza per la politica da mettere in campo, vuoi perché ha rivelato la persistenza di un modo di fare e di “contarsi” che appartiene a quel “morto” di cui gran parte di Potere al Popolo vorrebbe o dovrebbe liberarsi. Ma che sopratutto ha determinato la progressiva, rapida, irreversibile scomparsa della cosiddetta “sinistra” in questo paese.
Ma ci sono state anche posizioni politiche più “ufficiali”, che rivelano le grandi difficoltà con cui il “corpo” delle varie organizzazioni stanno vivendo il passaggio al consolidamento di Potere al Popolo come “soggetto politico”. Un fenomeno umanamente comprensibile, ci mancherebbe, ma che politicamente si manifesta come un freno a mano tirato proprio quando sarebbe finalmente ora di dare gas e cominciare a viaggiare.
Comprendere che il buon mondo antico degli anni ‘90 è definitivamente dissolto, i partiti di massa (tutti! non solo quelli comunisti, ma anche democristiani, socialdemocratici, liberali, ecc.) sono stati distrutti da quasi 30 anni di politiche tutte identiche (l’austerità “europea” non ha avuto alternative, se non a chiacchiere); che ovunque la frammentazione sociale crescente costringe a forme politiche più “di movimento” – sia a destra che a sinistra – è estremamente faticoso e per molti versi doloroso.
Ma va fatto. E Potere al Popolo! è nato proprio in base a questa intuizione. Un’idea, una presa d’atto, che doveva e deve camminare facendo, confliggendo, lavorando tra la nostra gente. Non si poteva e non si può attendere che si trovasse la quadra tra tutte le mille opinioni diverse incancrenite da 30 anni di scissioni, separazioni, abbandoni. Non si poteva e non si può attendere che un “gruppo dirigente illuminato” fissi le coordinate di un’analisi storica, tesi politiche, parole d’ordine e stile di lavoro.
Potere al Popolo è nato per mettere in movimento energie nuove – compagni e attivisti “a chilometro zero”, gente che non aveva fatto o non faceva più politica, e collettivi, associazioni, organizzazioni più o meno estese – ma con una diversa logica politica. Una logica che privilegia l’unirsi per fare, resistere, costruire, crescere. Una logica che si confronta con le scadenze elettorali, ma non ne fa l’alfa e l’omega. Che privilegia la costruzione e il radicamento nel nostro “blocco sociale”, sbandato e privo di qualsiasi rappresentanza politica, prima ancora che elettorale.
Il vivo e il morto, per noi, sta soprattutto in queste logiche, non nelle singole organizzazioni. Che anzi hanno risposto spesso in modo positivo, soffrendo il trauma della trasformazione dell’attività “tradizionale”, com’era ovvio che fosse. Alcune non ce l’hanno fatta e hanno correttamente fatto un passo indietro. Altre offrono un quadro interno profondamente variegato, territorio per territorio. Con strutture che sono completamente interne alla nuova logica e altre che la rifiutano per restare nelle antiche certezze; altre ancora che vanno a strappi, piene di incertezza.
La discussione sullo Statuto ha visto concretizzarsi queste esperienze ed emergere resistenze esplicite.
Alcuni giorni fa è stato reso pubblico un documento sottoscritto da 160 dirigenti nazionali e locali del Prc che ha sparato sulla segreteria nazionale nel quale si afferma che: “si lavora più per incentivare le adesioni degli iscritti a Potere al Popolo!, mentre occorrerebbe concentrarsi sul tesseramento al Partito; vediamo che anziché impegnarsi per la costruzione di un ‘quarto polo’, tanto più urgente di fronte all’assenza di iniziativa contro questo governo ed alla necessità di costruire un’ampia, coerente ed efficace opposizione, si impegnano quasi esclusivamente su PaP le energie locali e nazionali del Partito”.
A giugno, dopo l’importante assemblea nazionale di Potere al Popolo tenutasi pochi giorni prima a Napoli, era stato il Comitato regionale del PRC della Toscana ad aprire il fuoco sostenendo che Potere al Popolo non poteva essere una “ipotesi strategica” per il PRC stesso.
Era stata infatti proprio l’assemblea nazionale di Potere al Popolo a Napoli ad aver compiuto un passo in avanti sul piano dei contenuti politici e a porre il problema di una strutturazione interna che consentisse non solo di discutere, ma anche di decidere e di realizzare concretamente le cose discusse. Cioè che consentisse a Potere al Popolo di cominciare ad agire con sincronia su tutto il territorio nazionale, definendo anche chi sia al momento il “popolo” di PaP, cioè chi vi aderisce e chi no, chi fa e chi intanto osserva.
Da lì la decisione di avviare le adesioni (partite però a luglio, dopo una discussione spesso elusiva e defatigante nel Coordinamento provvisorio), di allargare il coordinamento nazionale ai rappresentanti dei territori, di elaborare uno Statuto.
In questi mesi si è assistito ad un continuo stop and go che ha costretto spesso a ricominciare da capo su discussioni già fatte e decisioni già prese; fino a quando, dopo il campeggio di Grosseto, la questione dello Statuto è diventata una sorta di linea rossa temporale.
L’evidente difficoltà di arrivare ad una sintesi unitaria, ha prodotto una prima proposta di Statuto ritenuta non condivisibile da alcuni compagni (del PRC, ma non solo). Di fronte al rischio che si ricominciasse un logorante gioco dell’oca il Coordinamento ha chiesto che venisse esplicitata una seconda proposta di Statuto. Sulle due proposte a ottobre si andrà al voto tra tutte le aderenti e gli aderenti di Potere al Popolo.
Come abbiamo scritto anche sul nostro giornale, le due proposte di Statuto corrispondono secondo noi a due visioni diverse della funzione, della natura e del progetto di Potere al Popolo: una in discontinuità con la “sinistra” e per fare di Pap un soggetto attivo, politicamente indipendente; l’altra per evitare che PaP diventi una “camicia di forza” che imbrigli altre possibili opzioni politiche ed elettorali.
Dai documenti in circolazione, appare piuttosto evidente come il passaggio alla votazione sulle due proposte “metta in sollecitazione” molte strutture, in particolare il PRC che ha visto manifestarsi al suo interno posizioni molto divaricanti. Sulla carta il PRC avrebbe tutti i numeri per far vincere la seconda ipotesi di Statuto, ma deve coinvolgere in questo processo tutta la sua base. Cosa che – dalle accuse mosse dal documento dei 160 dirigenti – sta effettivamente cercando di fare, anche a rischio di qualche scivolone da parte di gruppi “federati”, come il post comparso ieri su fb.
Affrontare le incognite di una rottura con prassi consolidate, consuete e familiari, ma che hanno portato allo stato catatonico delle organizzazioni della sinistra, non può che creare agitazione e contraccolpi in un ambito costretto a fare i conti sia con i bruschi cambiamenti della situazione oggettiva – nella società e del mondo in cui siamo costretti a vivere – sia con le esigenze di una “nuova militanza” che si fa avanti con caratteristiche e spinte diverse da quelle ormai estenuate della “sinistra”.
Le due proposte di Statuto visualizzano questa divaricazione.
E’ dentro questo snodo, a nostro avviso inevitabile e indispensabile, che le fibrillazioni interne alla sempre più disomogenea “dirigenza e militanza” del e nel PRC rischiano di riportare nuovamente tutto alla casella di partenza. Va in questa direzione, quasi esplicitamente, la proposta di fermare le macchine, non procedere al voto sulle due bozze di Statuto, aggrappandosi all’appello a farne uno solo e condiviso.
Cosa che, se fosse stata possibile, sarebbe già stata fatta, visto che gli stessi soggetti sono ben rappresentati anche nel Coordinamento.
Insomma un volontario o involontario gioco a lasciare che il tempo scorra, magari in attesa che all’esterno di Potere di Popolo si manifestino ipotesi politiche che possano rimetterlo in discussione, almeno sul piano elettorale di breve termine.
In nome dell’”unità”, ovviamente.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento