di Roberto Prinzi
Come era prevedibile, nel suo discorso all’Assemblea
Generale dell’Onu il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha
“snobbato” la causa palestinese focalizzandosi quasi interamente
sull’Iran. Aiutandosi, come ormai sua consuetudine con alcune
immagini e diagrammi, Netanyahu ha accusato la Repubblica islamica di
continuare a produrre materiale nucleare. “L’Iran ha un nuovo magazzino
nucleare a Teheran dove nasconde numerosi ordigni – ha tuonato dal palco
dell’Assemblea – Perché lo nasconde?”. La domanda è retorica, la
risposta è immediata: “Non lo distrugge perché non ha abbandonato
l’obiettivo di sviluppare la bomba nucleare”.
È un Netanyahu aggressivo
quello che ha parlato ieri, i suoi toni sono da guerra:
“Continueremo ad agire contro l’Iran in Siria, in Libano, ovunque e
sempre in difesa del nostro popolo”. Nell’elenco dei nemici, non poteva mancare certo il partito libanese Hezbollah accusato
dal premier di usare i cittadini di Beirut come scudi umani e di
nascondere dei missili in tre differenti punti della capitale vicini
all’aeroporto. “In Libano l’Iran sta dirigendo Hezbollah a costruire
siti segreti per convertire proiettili impropri in missili guidati
precisi, missili che possono raggiungere il cuore d’Israele con una
precisione di 10 metri” ha affermato.
Ma la sua “rivelazione”sulla presunta attività nucleare iraniana resta l’apice del suo discorso di ieri. I toni sono enfatici, i gesti teatrali, a tratti caricaturali: “Oggi
vi svelo per la prima volta che l’Iran ha un’altra struttura segreta a
Teheran, un deposito segreto atomico per conservare un quantitativo
ingente di attrezzature e materiale proveniente dal programma nucleare
segreto iraniano”. Per rendere le sue accuse più credibili,
Netanyahu ha mostrato alla platea una foto del presunto luogo
incriminato: “Questo sito contiene 300 tonnellate di materiale e
attrezzature nucleari”.
Il premier non è nuovo a questi annunci: già lo scorso aprile,
infatti, poco prima del ritiro degli Usa dall’accordo sul nucleare del
2015, rivelò un “programma segreto nucleare iraniano”. L’obiettivo
è chiaro: dimostrare alla comunità internazionale che gli iraniani non
rispettano l’intesa nel tentativo così di arruolare nuovi possibili
alleati in chiave anti-Iran. Finora la sua retorica non ha
fatto molti proseliti al di là dei fedeli alleati statunitensi e diversi
stati arabi. Anzi si può dire senza esagerare che i suoi tentativi e
quelli di Trump si sono rivelati al momento fallimentari: le
altre cinque potenze mondiali (Francia, Gran Bretagna, Germania, Cina e
Russia) continuano infatti a difendere l’accordo, così come l’intera Ue.
Dopotutto le “rivelazioni” del premier contrastano con quanto sostiene
la stessa Agenzia internazionale per l’Energia atomica (IAEA) secondo
cui Teheran sta rispettando i punti dell’intesa.
L’apertura occidentale verso gli ayatollah è per il leader israeliano inaccettabile:
“Mentre gli Usa stanno affrontando l’Iran con nuove sanzioni, l’Europa e
gli altri [paesi] stanno cercando di aiutarla ad aggirare queste nuove
sanzioni”. Il duro attacco di Netanyahu all’Iran non poteva non
ricevere l’immediata risposta di Teheran. “Le sue accuse sono senza
senso. Il mondo riderà soltanto a questo discorso falso e inutile” ha
detto il portavoce del ministero degli esteri Bahram Qassemi
secondo quanto riferisce l’agenzia iraniana Fars. Della Palestina nel
discorso di Netanyahu non c’è traccia se non alla fine, quando si è
difeso dalle accuse di apartheid e ha accusato il presidente Abu Mazen
di finanziare il terrorismo.
Proprio il leader di Fatah, un’ora prima dallo stesso palco aveva
chiesto a Washington di rivedere le sue politiche aggressive contro il
popolo palestinese che “minano la soluzione a due stati”. “Rinnovo
il mio invito al presidente Trump di annullare le sue decisioni e
decreti riguardo a Gerusalemme [come capitale d’Israele], i rifugiati
[per i tagli all’Unrwa] e sulle colonie”. In un discorso più volte applaudito, Abu
Mazen ha ribadito che gli Usa non possono più essere l’unico mediatore
del processo di pace dato che le sue politiche vanno “contro i
palestinesi”. “[Con lui] abbiamo iniziato con lo stesso impegno
per la pace, abbiamo atteso la sua proposta di pace con pazienza ma
siamo rimasti scioccati dal risultato – ha argomentato il leader di
Fatah – Le decisioni prese sono un insulto al diritto internazionale,
minano la soluzione a due Stati. Propongono solo una soluzione
umanitaria, hanno tolto dal tavolo le questioni politiche, Gerusalemme e
i rifugiati”.
“Ora vediamo gli Usa con nuovi occhi” ha poi dichiarato, come
se 25 anni di Oslo non avessero già dimostrato quanto Washington fosse
un broker disonesto. Ha quindi pronunciato la frase più
significativa del suo discorso (“Gerusalemme non si vende. I diritti dei
palestinesi non sono negoziabili”) prima di proporre un tavolo
negoziale che abbia come mediatori il Consiglio di Sicurezza e il
Quartetto per il Medio Oriente. “Vogliamo uno Stato con confini definiti
e i suoi diritti. Dov’è il crimine in tutto questo?” ha domandato alla platea.
Il punto è se può bastare tutto questo. Il suo discorso,
sebbene a tratti coinvolgente, è apparso in definitiva una ripetizione
di vecchie formule già dimostratesi fallimentari. Non c’è una
visione politica dirompente, non c’è un piano che, al di là delle
critiche e degli applausi effimeri incassati ieri, possa rappresentare
un serio grattacapo politico per Israele. La scelta di Netanyahu di
liquidare i palestinesi e Abu Mazen con poche battute al termine del suo
discorso non è casuale. Tel Aviv ritiene da alcuni anni di
essere riuscita definitivamente a porre nel cassetto la causa
palestinese. Il nemico da eliminare è l’Iran, è l’Iran che non
fa vivere notti serene alla leadership israeliana: il tentativo è quello
di trovare sempre più partner disposti a condividere la sua politica
aggressiva contro Teheran. Nel frattempo, però, i palestinesi possono
tornare nell’oblio. Le dichiarazioni di alcune ore prima del ministro
alla difesa israeliano Lieberman non lasciano alcun dubbio a riguardo:
“Non mi interessa uno stato palestinese”.
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