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28/09/2018

Israele attacca nuovamente l'Iran all'ONU

di Roberto Prinzi

Come era prevedibile, nel suo discorso all’Assemblea Generale dell’Onu il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha “snobbato” la causa palestinese focalizzandosi quasi interamente sull’Iran. Aiutandosi, come ormai sua consuetudine con alcune immagini e diagrammi, Netanyahu ha accusato la Repubblica islamica di continuare a produrre materiale nucleare. “L’Iran ha un nuovo magazzino nucleare a Teheran dove nasconde numerosi ordigni – ha tuonato dal palco dell’Assemblea – Perché lo nasconde?”. La domanda è retorica, la risposta è immediata: “Non lo distrugge perché non ha abbandonato l’obiettivo di sviluppare la bomba nucleare”.

È un Netanyahu aggressivo quello che ha parlato ieri, i suoi toni sono da guerra: “Continueremo ad agire contro l’Iran in Siria, in Libano, ovunque e sempre in difesa del nostro popolo”. Nell’elenco dei nemici, non poteva mancare certo il partito libanese Hezbollah accusato dal premier di usare i cittadini di Beirut come scudi umani e di nascondere dei missili in tre differenti punti della capitale vicini all’aeroporto. “In Libano l’Iran sta dirigendo Hezbollah a costruire siti segreti per convertire proiettili impropri in missili guidati precisi, missili che possono raggiungere il cuore d’Israele con una precisione di 10 metri” ha affermato.

Ma la sua “rivelazione”sulla presunta attività nucleare iraniana resta l’apice del suo discorso di ieri. I toni sono enfatici, i gesti teatrali, a tratti caricaturali: “Oggi vi svelo per la prima volta che l’Iran ha un’altra struttura segreta a Teheran, un deposito segreto atomico per conservare un quantitativo ingente di attrezzature e materiale proveniente dal programma nucleare segreto iraniano”. Per rendere le sue accuse più credibili, Netanyahu ha mostrato alla platea una foto del presunto luogo incriminato: “Questo sito contiene 300 tonnellate di materiale e attrezzature nucleari”.

Il premier non è nuovo a questi annunci: già lo scorso aprile, infatti, poco prima del ritiro degli Usa dall’accordo sul nucleare del 2015, rivelò un “programma segreto nucleare iraniano”. L’obiettivo è chiaro: dimostrare alla comunità internazionale che gli iraniani non rispettano l’intesa nel tentativo così di arruolare nuovi possibili alleati in chiave anti-Iran. Finora la sua retorica non ha fatto molti proseliti al di là dei fedeli alleati statunitensi e diversi stati arabi. Anzi si può dire senza esagerare che i suoi tentativi e quelli di Trump si sono rivelati al momento fallimentari: le altre cinque potenze mondiali (Francia, Gran Bretagna, Germania, Cina e Russia) continuano infatti a difendere l’accordo, così come l’intera Ue. Dopotutto le “rivelazioni” del premier contrastano con quanto sostiene la stessa Agenzia internazionale per l’Energia atomica (IAEA) secondo cui Teheran sta rispettando i punti dell’intesa.

L’apertura occidentale verso gli ayatollah è per il leader israeliano inaccettabile: “Mentre gli Usa stanno affrontando l’Iran con nuove sanzioni, l’Europa e gli altri [paesi] stanno cercando di aiutarla ad aggirare queste nuove sanzioni”. Il duro attacco di Netanyahu all’Iran non poteva non ricevere l’immediata risposta di Teheran. “Le sue accuse sono senza senso. Il mondo riderà soltanto a questo discorso falso e inutile” ha detto il portavoce del ministero degli esteri Bahram Qassemi secondo quanto riferisce l’agenzia iraniana Fars. Della Palestina nel discorso di Netanyahu non c’è traccia se non alla fine, quando si è difeso dalle accuse di apartheid e ha accusato il presidente Abu Mazen di finanziare il terrorismo.

Proprio il leader di Fatah, un’ora prima dallo stesso palco aveva chiesto a Washington di rivedere le sue politiche aggressive contro il popolo palestinese che “minano la soluzione a due stati”. “Rinnovo il mio invito al presidente Trump di annullare le sue decisioni e decreti riguardo a Gerusalemme [come capitale d’Israele], i rifugiati [per i tagli all’Unrwa] e sulle colonie”. In un discorso più volte applaudito, Abu Mazen ha ribadito che gli Usa non possono più essere l’unico mediatore del processo di pace dato che le sue politiche vanno “contro i palestinesi”. “[Con lui] abbiamo iniziato con lo stesso impegno per la pace, abbiamo atteso la sua proposta di pace con pazienza ma siamo rimasti scioccati dal risultato – ha argomentato il leader di Fatah – Le decisioni prese sono un insulto al diritto internazionale, minano la soluzione a due Stati. Propongono solo una soluzione umanitaria, hanno tolto dal tavolo le questioni politiche, Gerusalemme e i rifugiati”.

“Ora vediamo gli Usa con nuovi occhi” ha poi dichiarato, come se 25 anni di Oslo non avessero già dimostrato quanto Washington fosse un broker disonesto. Ha quindi pronunciato la frase più significativa del suo discorso (“Gerusalemme non si vende. I diritti dei palestinesi non sono negoziabili”) prima di proporre un tavolo negoziale che abbia come mediatori il Consiglio di Sicurezza e il Quartetto per il Medio Oriente. “Vogliamo uno Stato con confini definiti e i suoi diritti. Dov’è il crimine in tutto questo?” ha domandato alla platea.

Il punto è se può bastare tutto questo. Il suo discorso, sebbene a tratti coinvolgente, è apparso in definitiva una ripetizione di vecchie formule già dimostratesi fallimentari. Non c’è una visione politica dirompente, non c’è un piano che, al di là delle critiche e degli applausi effimeri incassati ieri, possa rappresentare un serio grattacapo politico per Israele. La scelta di Netanyahu di liquidare i palestinesi e Abu Mazen con poche battute al termine del suo discorso non è casuale. Tel Aviv ritiene da alcuni anni di essere riuscita definitivamente a porre nel cassetto la causa palestinese. Il nemico da eliminare è l’Iran, è l’Iran che non fa vivere notti serene alla leadership israeliana: il tentativo è quello di trovare sempre più partner disposti a condividere la sua politica aggressiva contro Teheran. Nel frattempo, però, i palestinesi possono tornare nell’oblio. Le dichiarazioni di alcune ore prima del ministro alla difesa israeliano Lieberman non lasciano alcun dubbio a riguardo: “Non mi interessa uno stato palestinese”.

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