Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la notizia di indagini condotte dalla Digos in Sardegna che avrebbero portato a ispezioni domiciliari e al sequestro preventivo del passaporto nei confronti di Pierluigi Caria, giovane sardo che a suo tempo avrebbe militato tra le fila delle Ypg curde in Siria.
La notizia ha avuto clamore e subito sui media mainstream sono riecheggiati termini ed espressioni molto impropri, come “foreign fighter” e “terrorismo” che, nel caso specifico, non fanno altro che instillare confusione e dubbi su un tema già semisconosciuto al grande pubblico: quello della causa curda e del loro fondamentale ruolo di contrasto ai “terroristi veri”, ossia le milizie dello Stato Islamico (chiamato comunemente anche Isis o Daesh).
E’ la prima volta che un presunto combattente volontario nell’esercito popolare della confederazione della Siria del Nord viene perseguito dalle autorità italiane e la sua figura accostata dai mezzi di informazione a quella dei terroristi. E tutto ciò, occorre ribadirlo, appare tanto più paradossale se si pensa che le YPG e le YPJ rappresentano le forze militari che più di ogni altra compagine si sono distinti sul fronte contro l’Isis in Siria.
Per l’occasione, a scopo chiarificatore, abbiamo parlato con Alfio Nicotra, giornalista esperto di problematiche internazionali e della difesa, tra l’altro co-presidente di “Un ponte per...”, associazione di volontariato che si occupa di promuovere iniziative di solidarietà in diversi paesi del Medio Oriente.
Nicotra ci spiegherebbe brevemente chi sono e che fanno le Ypg?
YPG è l’acronimo di Unità di Protezione Popolare: sono milizie che agiscono nella Siria del Nord nella regione del Rojava. In buona parte curde, sono però composte anche da altre etnie; di estrazione laica e femminista hanno garantito l’incolumità della regione del Rojava dalla guerra civile siriana, ospitando sui propri territori oltre due milioni di persone proveniente da tutta la Siria. Sperimentano forme di confederalismo democratico e di autogoverno. Non chiedono la secessione da Damasco (e dunque sono contrarie alla divisione della Siria), ma chiedono che la nuova Siria sia democratica e basata sulla partecipazione attiva delle comunità locali. Ai vertici di tutte le istituzioni ci sono due presidenti, un uomo e una donna. Anche le YPG hanno il loro braccio femminile, le YPJ. Le combattenti curde delle YPJ si sono contraddistinte per atti di eroismo nella guerra contro Daesh, difendendo Kobane e contribuendo a liberare Raqqa, il capoluogo politico e militare dell’Isis in Siria. Il Rojava ha un patto di non aggressione reciproca con il regime di Damasco (anche se si sono verificati diversi scontri a fuoco, in aree contese), ha ricevuto aiuti anche dagli Usa in funzione anti Daesh. E’ fortemente osteggiata dalla Turchia sia perché Ankara sostiene milizie integraliste sunnite (e per tutto il primo periodo anche il Califfato) sia perché teme il contagio democratico nel Kurdistan turco.
Perché sarebbe improprio l’utilizzo del termine “foreign fighter” con riferimento ai volontari che militano nelle loro fila?
Ci sono due casi di cittadini europei che hanno combattuto con le YPG e che, al ritorno a casa, hanno saputo di essere indagati dalla magistratura: un caso in Gran Bretagna e l’altro in Italia, in Sardegna. Su quest’ultimo caso non si sa in base a quale disposizione di legge la Digos e la polizia di Nuoro considerino foreign-fighter persone che hanno combattuto contro il terrorismo di Daesh. L’accusa appare assurda in tutti i sensi, poiché l’Italia partecipa alla coalizione antiterroristica contro l’Isis (Daesh). Il ddl n. 1854 di conversione del decreto antiterrorismo (d.l. n. 7/2015), oltre a punire la “persona arruolata” con finalità di terrorismo anche internazionale per il delitto ex art. 270-quater c.p., ha introdotto nel codice penale l’art. 270-quater1 c.p., che disciplina la nuova fattispecie di reato “Organizzazione di trasferimenti per finalità di terrorismo”. Sia i foreign fighters, cioè coloro che si arruolano per andare a combattere all’estero con i terroristi, che chiunque organizzi, finanzi o propagandi viaggi in territorio estero finalizzati al compimento delle condotte con finalità di terrorismo, è punito con la reclusione dai cinque agli otto anni. Da tutte queste fattispecie è escluso il cittadino Caria che infatti si è si arruolato, ma con i nemici del terrorismo (in teoria, sostenuti anche dall’Italia) e non con i terroristi. Almeno che non si voglia far scattare imprecisate norme internazionali che limitano il fenomeno dei mercenari. Ma un mercenario lo fa per soldi, il combattente europeo delle YPG lo fa per una causa come lo facevano i giovani da tutto il mondo che si arruolavano nelle brigate Internazionali durante la guerra civile spagnola per fermare il franchismo e i nazifascisti.
Analogamente è da rigettare al mittente ogni loro ipotetica associazione a finalità terroristiche?
La Turchia insiste nel considerare le YPG una organizzazione terroristica al pari del PKK turco. In verità, mentre la secondo è effettivamente compresa in una lista delle organizzazioni terroristiche stilata dal Pentagono (sarebbe però opportuno toglierla per cominciare un vero processo di pace, ma questo è un altro discorso), le YPG invece non ci sono e questo ha creato una forte tensione tra Usa e Turchia. Tutto il mondo sa chi sono i terroristi e chi invece li combatte. Le YPG sono una delle principali barriere contro la barbarie di Daesh: iniziare a perseguire i suoi combattenti è profondamente sbagliato e preoccupante.
Da cosa deriva questa “approssimazione” della stampa nel parlare di vicende come queste?
Definire Pierluigi Caria, un giovane sardo che ha combattuto con le YPG, un foreign fighter è una castroneria in tutti i sensi. Il citato decreto antiterrorismo dice chiaramente che si è foreign fighter se ti arruoli per finalità di terrorismo, non per combatterlo. Purtroppo troppi colleghi giornalisti cercano il titolo gridato invece di indagare sulla realtà dei fatti. Siamo dentro quella criminalizzazione della solidarietà che mi pare abbia preso un certa piega negativa negli ultimi tempi.
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