Tra le sanzioni comminate da Washington alla Cina, ci sono anche quelle per l’acquisto di sistemi missilistici russi da difesa contraerea S-400 “Triumf”, in base all’art. 231 del CAATSA contro il “Rosoboroneksport”, l’ente russo che gestisce l’export di armi. La Casa Bianca minaccia di sanzioni anche India e Turchia, in caso di acquisto degli S-400 già ordinati, ma non sembra che Delhi e Ankara abbiano intenzione di desistere.
Per quanto riguarda la prima, è probabile che l’acquisto venga perfezionato nel prossimo ottobre, nel corso dell’incontro tra il Presidente Vladimir Putin e il Primo ministro indiano Narendra Modi e, oltre agli S-400, potrebbe essere firmato anche un contratto per quattro fregate della classe “11 356”.
Per quanto riguarda la Turchia, l’acquisto è considerato cosa fatta (in passato, forse per tentare di scoraggiare Ankara dall’acquisto, Washington aveva anche espresso dubbi sull’efficienza degli S-400) tant’è che la scorsa settimana, il Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, nonostante avesse definito “una sfida” la decisione turca, ha poi espresso la speranza in una soluzione “concordata con le necessità operative” dell’Alleanza atlantica. Da parte russa, si conferma il rispetto dei tempi di consegna, previsti per la seconda metà del 2019.
Fin qui la faccenda rientra abbastanza “nell’ordine delle cose”. C’è però un altro paese interessato all’acquisto di tale complesso missilistico. Non un paese qualunque: giudicato il maggior alleato yankee nel Golfo persico, mastino da guardia di una larga fetta di paesi africani per conto di Washington, responsabile di ripetuti bombardamenti contro la popolazione civile dello Yemen, a cui la vendita di armi, anche da parte dell’Italia, viene giustamente stigmatizzata e che di recente ha addirittura minacciato di guerra il vicino Qatar, nel caso si azzardi a munirsi di S-400. Si tratta dell’Arabia Saudita.
Venerdì scorso è giunta a Mosca una delegazione di Riyad per discutere l’acquisto del sistema missilistico e l’ambasciatore saudita ha dichiarato che gli USA non introdurranno sanzioni contro il suo paese per l’acquisto. Come mai? Interessati ai S-400 sono anche Irak, Viet Nam e Marocco e, nel caso dell’Irak, nota topwar.ru, sembra che Mosca non sia del tutto convinta a mettere un sistema, considerato strategico, nelle mani di un esercito, quello irakeno appunto, completamente controllato dalle forze USA; è dunque possibile che Washington, per ricevere informazioni tecniche dettagliate sull’arma, abbia dato ora mandato a Riyad di tentarne l’acquisto, escludendo quindi ogni sanzione. E’ questa la ragione per cui alcune fonti russe avanzano dubbi sulla disponibilità di Mosca a procedere alla vendita.
In ogni caso, scrive tvzvezda.ru, sorvolando per qualche motivo sull’India, nel caso l’affare vada in porto, l’Arabia Saudita sarebbe il terzo paese straniero a essere dotato del “Triumf”, dopo Cina e Turchia. La Russia ha già schierato alcune divisioni di S-400: in Crimea occidentale, a Eupatoria e Sebastopoli, a guardia del mar Nero, dove, accanto alla sempre più frequente presenza di naviglio da guerra USA, anche la Gran Bretagna ha intenzione di allargare la propria presenza, come dichiarato dal Ministro della difesa Gavin Williamson durante la recente visita in Ucraina; in Crimea orientale, a Feodosija, puntate presumibilmente verso il mar d’Azov, teatro di una crescente tensione con Kiev.
Già a inizio anno Sputnik Italia aveva scritto che Riyad ha assoluto bisogno di munirsi di sistemi missilistici di difesa contraerea, per difendersi dagli attacchi “dei ribelli Huthi yemeniti contro la capitale saudita Riyadh”, specificando che “principali candidati per la contraerea del regno saudita sono il sistema statunitense THAAD e il russo S-400”. Il primo è “in grado di distruggere obiettivi ai valori limite di altitudine per i sistemi tradizionali di contraerea, ovvero fino a 150 chilometri e secondo alcune fonti 200 chilometri di quota”, mentre i razzi 40H6 del “Triumf” non sarebbero efficaci “sopra i 30 chilometri di quota”, anche se “l’altitudine d’attacco del razzo, soprattutto quando si tratta di combattere i missili tattici, non è un aspetto critico”.
Ma la “differenza più importante è costituita dal prezzo: quasi 3 miliardi di dollari per una batteria THAAD, contro i circa 500 milioni del “Triumf”. Tecnicamente, i S-400 possono colpire fino a 36 obiettivi, a 400 km di distanza e 27 km di altezza, lanciando contemporaneamente 72 razzi, con un sistema di rilevamento che permette di scoprire aerei a volo radente lontani 600 km. Armato con razzi 40H6, il “Triumf”, insieme al “Pantsir-S” (“Corazza”: anch’esso semovente) e altri sistemi, costituisce uno dei principali elementi del cosiddetto “ombrello di Mosca”. A giudizio di iarex.ru, il S-400 surclassa di dieci anni analoghe armi straniere.
Sembra che l’industria produttrice dei S-400, all’interno del famoso trust “Almaz-Antej”, sia oberata di ordinativi fino al 2025. In effetti, il complesso militare industriale russo ha registrato un balzo nell’export di armamenti, valutato dai 3 miliardi di dollari del 2000, ai 15-17 degli ultimi anni – con un portafoglio di ordinativi di 40-50 miliardi di $ – e continua a essere il secondo (23%) tra i cinque maggiori esportatori, dietro agli USA (34%) e molto innanzi a Francia (6,7%), Germania (5,8%) e Cina (5,7%), mentre India (12%), Arabia Saudita (10%), Egitto (4,5%) e Emirati Arabi (4,4%) sono tra i maggiori importatori mondiali.
Secondo il SIPRI, il 70% dell’export russo (nel grafico: in miliardi di dollari) è diretto verso India, Cina, Viet Nam, Algeria, Venezuela e Medio Oriente; negli ultimi anni si è registrato un salto del 264% anche verso i paesi europei. Il 90% dell’export è dato da aviazione (45%), mezzi corazzati (14%), mezzi navali (12%), missili (11%), sistemi-razzo antiaerei (7%), oltre a sistemi elettronici e armi leggere.
In conclusione, gli eventuali dubbi di Mosca alla vendita dei S-400 a Riyad potrebbero essere dettati da puri motivi di segretezza militare e rivalità strategica con Washington e non da altre considerazioni o scrupoli “di principio” per la politica guerrafondaia della monarchia saudita.
D’altronde, il mondo non è una serra per sentimenti troppo delicati, scriveva il prussiano Theodor Fontane.
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