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15/09/2018

Big data e social network. Buone notizie da Oltremanica

Parliamoci chiaro: uno dei grandi problemi dei nostri tempi è che la politica e il diritto non riescono a stare al passo con i progressi tecnologici, specialmente a partire dall’avvento dell’era di internet.

È accaduto infatti che, mentre alcune grandi aziende informatiche si affermavano e diventavano rapidamente monopoli, i nostri parlamenti sono rimasti perlopiù inermi, sia perché vittime dell’illusione che rappresenta internet come il regno delle libertà, il massimo terreno di realizzazione della democrazia, sia per semplice inadeguatezza e mancanza di preparazione in materia.

Si è dovuta attendere la totale scomparsa della privacy, prima di porsi il problema di come tutelarla. Si son dovuti perdere miliardi di euro in tasse, a fronte degli enormi fatturati di Google, Facebook e Amazon, prima di iniziare a discutere sulla possibilità di una “tassa del web”, da rimandare però in sede europea.

I ceti politici, invece, inizialmente non hanno compreso le potenzialità offerte dai social network, perdendo bruscamente e a causa di ciò i loro consensi in favore di quelle nuove forze che invece ne hanno intuito i vantaggi in termini di propaganda, per poi farne, tutti insieme, un uso sistematico e spregiudicato, riducendo di fatto il loro rapporto con i cittadini ad una manciata di caratteri su Twitter. [1]

Quanto al funesto impatto che un sistema così articolato di collezione dei dati personali avrebbe avuto sulla salute nostre democrazie, nessuno se ne è occupato, salvo poi indignarsi in coro di fronte non ad una questione di etica pubblica o di tutela dei cittadini, ma all’effetto che i social network hanno direttamente o indirettamente avuto: l’elezione di Donald Trump.

Ma qui non si vuole discutere su come le nuove reti sociali abbiano esacerbato problemi più o meno latenti della civiltà occidentale, favorendo l’ascesa di nuove élite reazionarie. Si vuole piuttosto introdurre nel dibattito pubblico, dopo il totale silenzio dei media, dei partiti e in generale dei principali mezzi di informazione e formazione dell’opinione pubblica nella nostra penisola, un nuovo modo di affrontare quella che è una delle questioni più importanti del nuovo millennio.

Di fronte a un tale quadro desolante infatti, una risposta sembra provenire dalla Gran Bretagna.

Jeremy Corbyn, il leader del Partito Laburista, già noto per le sue proposte di nazionalizzazione dei servizi pubblici principali, in alcune sue dichiarazioni ha avanzato una strategia per far fronte alla realtà che si è solidamente affermata con internet. E il fatto che una simile novità provenga da lui è un’indicazione circa la lucidità e lo stato di salute dei laburisti inglesi, attualmente una delle poche forze politiche di sinistra, in Europa, che potrebbero affermarsi alla guida di un Paese.

Partendo dal presupposto che “il Regno Unito non deve sedersi e restare a guardare come poche mega aziende risucchiano diritti digitali, asset e, in definitiva, i nostri soldi”, Corbyn ha proposto di affiancare, alla già esistente BBC (British Broadcasting Corporation), una BDC (British Digital Corporation). Tale ente, rigorosamente pubblico, sarà una sorta di grande archivio culturale, centralizzato, per offrire alla popolazione un “punto di accesso per le conoscenze, le informazioni e i contenuti attualmente conservati negli archivi della BBC, nella British Library e nel British Museum”.

Un’istituzione pubblica per definizione non persegue le finalità di un’organizzazione privata. Piattaforme come Google e Facebook erogano sì gratuitamente i loro servizi agli utenti, ma lo fanno solo dopo che questi ultimi hanno acconsentito – e questa è una condizione necessaria e impossibile da contrattare – al trattamento dei loro dati personali per fini quantomeno commerciali. Nell’idea di Corbyn, esclusa la logica del profitto, occorrerebbe “sfruttare i big data a fin di bene”. Sì, ma come?

In due modi, entrambi rivoluzionari.

In primo luogo una BDC “potrebbe sviluppare nuove tecnologie”, e utilizzare le informazioni di cui entra in possesso, “per la creazione dei programmi in base all’orientamento del pubblico e perfino un social network pubblico, che garantisca la privacy degli utenti e abbia il controllo su quei dati che rendono Facebook e altri così ricchi”.

Il tema della nazionalizzazione di Facebook diventa sempre più incalzante, dal momento che la conoscenza così accurata di una popolazione può servire a fini tutt’altro che trasparenti: al controllo sociale, per condizionamenti di massa, a bombardamenti mediatici mirati o ad instillare l’odio, inquietudini morali e paure striscianti in grado di modificare i comportamenti, le abitudini, il modo di pensare – o di votare – dei più. Non vogliamo essere apocalittici o tendere necessariamente a scenari di orwelliana memoria, ma occorre stare all’erta: si tratta di cose già successe e che, verosimilmente, senza le opportune contromisure, riaccadranno.

In seconda misura un ente pubblico digitale potrebbe aprire nuovi spazi per la democrazia diretta, a partire dalla creazione di “nuove modalità di coinvolgimento, supervisione e controllo delle leve chiave della nostra economia da parte della popolazione”. Tutto ciò si inquadra, nell’ottica di Corbyn, in un più ampio piano di gestione della cosa pubblica. La BDC lavorerà in stretta sinergia “con altre istituzioni che il prossimo governo laburista istituirà, come la National Investment Bank, il National Transformation Fund, lo Strategic Investment Board, la Regional Development Banks”, fornendo così un collegamento base tra di esse ai fini di una maggiore trasparenza e democrazia.
La nuova istituzione è anche un tassello chiave per il rilancio attivo del ruolo dello Stato che, su un piano di servizi e commerciale, potrebbe arrivare ad essere concorrenziale con l’estero e con i privati. Essa infatti “potrebbe utilizzare tutte le nostre migliori menti, le tecnologie più recenti e le risorse pubbliche disponibili non solo per fornire informazioni e intrattenimento come quelli di Netflix e Amazon”, con la possibilità di competere e vendere bene anche Oltreoceano.

Le proposte del leader dei Labour, seppur ancora vaghe e poco articolate, sembrano già molto interessanti. L’articolo apparso sul Guardian [2] non ha però praticamente trovato alcuna risonanza in Italia.[3] Si spera che le forze comuniste e della sinistra popolare presenti nella penisola rispondano alle idee proveniente da Oltremanica elaborandone di nuove e più definite, studiando per esempio un sistema di controlli e garanzie per fare in modo che l’enorme mole di dati personali, non più in mani private, non finisca per essere a disposizione dei governi per spiare e monitorare i comportamenti della propria popolazione. Ovviamente questo è solo una delle tante possibilità. Compito nostro è quello di accogliere il contributo iniziale di Corbyn e formulare una proposta politica adatta a contribuire al dibattito e ad arricchirlo.

Note
[1] Basti pensare che, a dispetto di una lunga tradizione che vedeva i candidati alla presidenza americani fare il proprio annuncio in discorsi tenuti nelle università, Hillary Clinton palesò le proprie intenzioni su Twitter.

[2] https://www.theguardian.com/politics/2018/aug/23/corbyn-proposes-public-facebook-as-part-of-media-overhaul

[3] Unica eccezione, con traduzione delle parole di Corbyn in italiano (e in corsivo nel nostro articolo): https://www.rivistastudio.com/facebook-corbyn/

Fonte

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