di Piero Cipriano
Mi sono immaginato uno che oggi ha trent’anni, nato in Italia verso la
fine degli anni Ottanta mettiamo, quando quelli di prima ancora
comandavano, con autorevolezza e carisma, diciamolo pure (allora
sembravano tiranni ma non erano tiranni, non lo era Ghino di Tacco anche
se il vignettista del quotidiano della Repubblica lo tratteggiava a
torto con stivalone ducesco, non lo era don Ciriaco De Mita da Avellino
che con lui si spartì la nazione, non era tiranno nonostante la parlata
sofistica irpina dove sovente diceva “è vero e non è vero al dembo
sdesso”) e dopo nato è sopravvissuto alle malattie esantematiche
infantili e (senza spavento) è sopravvissuto pure ai vaccini che negli
anni Novanta esenti da idiozia sociale digitale si facevano senza colpo
ferire, e dopo bambino sarà stato un adolescente quando l’Italia se la
prendeva mesmerizzandola dalle sue televisioni il cleptocrate puttaniere
che di Ghino di Tacco esule tunisino fan di Garibaldi era stato
allievo, ma poi aveva saputo superare il suo maestro socialista mariuolo
di un metro e novanta come solo i bravi allievi sanno fare nonostante
il suo metro e sessantacinque, e così ridi e fotti il cleptocrate
puttaniere impresse il suo stile e la sua cultura all’Italia tra alti e
bassi per una ventina d’anni che alcuni storici del tempo presente con
poca fantasia non esitarono a definire il nuovo ventennio, infatti si
sbagliavano, la poca fantasia erra sempre, quando mai, comunque sia il
ventennio si allunga fino agli anni Dieci del nuovo secolo il Ventuno,
allorquando inizia inevitabilmente il declino del cleptocrate e
inopinatamente, dopo qualche anno di transizione, a fine anni Dieci,
dopo quattro cinque anni di governo di quelli della sinistra che si
svegliano tardi, anno domini 2018, il potere se lo prende il suo
figlioccio, il suo prodotto, un teratoma, una mutazione genetica, questo
Matteo Salvini che si è fatto le ossa proprio nelle televisioni del suo
ex socio di maggioranza a dodici anni con Doppio slalom complice Corrado Tedeschi a venti anni con La cena è servita qui è già più capellone e si presenta al presentatore con quella faccia un po’ così di Davide Mengacci come il nullafacente,
nel frattempo frequenta i comunisti dei centri sociali in auge allora
come il Leoncavallo, nonostante fondi i Comunisti Padani, nonostante i
capelli lunghi non viene accettato da quelli di sinistra allora si
sposta repentinamente a destra, a vent’anni il nullafacente è già eletto
consigliere comunale, coerentemente con la dichiarazione che fece al
Mengacci non lavorerà mai in vita sua, apposta appena diventa onorevole
farà della lotta a quelli che da continenti depredati dissanguati
stuprati vengono senza un lavoro con la fame addosso (per rubarci il
lavoro a noialtri nullafacenti) la sua missione. Intanto si sposa con
una e ci fa un figlio. Convive con un’altra e ci fa una figlia. Non è
vero che è un nullafacente. Qualcosa fa. Da allora dirà a tutti sono un
papà. Papà. Papà. Quanto gli piace a lui dire sono un papà. Come se
fosse difficile mettere incinta a una. Si mette con una stangona del
mondo televisivo ma questa, approfittando della sua distrazione e della
sua nullafacenza, dicono i giornali gossippari che lo rende cornuto. Lui
però la perdona, perché non è come quei meridionali che delle corna ne
fanno una questione d’onore e di principio. Ora la stangona è la
vice-first lady. Gli stira le camice. Indossa il burka. Il ministro ha
fatto tutti gli anni Novanta gli anni Zero gli anni Dieci nella Lega, un
partito che prima era Nord e adesso è Italia. Tutte le leggi disegnate
sulla persona del cleptocrate suo protettore il ministro nullafacente le
ha votate. Obbediente. In attesa del suo momento. Di passare
all’incasso. Ah, intanto che il cleptocrate invecchiava il nullafacente
prendeva la paga dall’Europa (che pure gli fa schifo) in quanto
parlamentare europeo, ma in quel parlamento al nullafacente non l’hanno
mai visto, neppure quando si discutevano le regole per accogliere i
migranti che lui tanto aborre, perché? Per coerenza con la sua
nullafacenza. Un tipo casual. Un tempo indossava felpe. In ogni posto
dove andava, siccome la gente è semplice e lui sa leggere la semplicità
della gente, indossava una felpa con su scritto Milano, Varese,
Predappio. Un tempo cantava canzoni propiziatorie per convincere il dio
Vesuvio a fare Pompei bis. Cenere dei meridionali. Poi ha intuito che i
meridionali sono rimasti sempre quelli che “vinze Franza o vinze Spagna
abbasta ca se magna”, e che per di più sono abilitati al voto, e quel
voto lui lo desidera, perché lo desidera? Sospendiamo il giudizio sul
suo desiderio, se ne occuperanno i filosofi o i neuroscienziati o gli
storici tra mezzo secolo, quando lo compareranno col suo modello più
famoso (Lui), siccome desidera il voto dei meridionali ha iniziato a
indossare felpe con su scritto Napoli, Caserta, Ceppaloni, Lampedusa.
Questo trentenne che ho in testa io, vede sul suo smartphone il
nullafacente ministro della propaganda parlare ai suoi fedeli del nord.
Da qualche mese, da quando è ministro, ha riposto le felpe sudate, non
servono più, si somministra qualche doccia di più perché ora indossa
sempre una camicia bianca stirata di fresco dalla compagna, la donna che
stira, indossa il burka, che un tempo sempre secondo quegli infidi
settimanali gossippari gli metteva le corna, ora non più, anche perché
lui l’ha perdonata, e questi sono gesti che fanno piacere, che segnano
un rapporto, lo cementano. Eppure, nonostante la sua fidanzata le stiri
camice e gli metta la crema abbronzante, questo ministro il più cattivo,
il più malvagio, il più hitleriano della storia repubblicana, il più
banalmente maligno direbbe di lui Hannah Arendt, non si addolcisce.
Perché non si addolcisce? Quale fuoco lo muove? Cosa vuole? Perché
sequestra centinaia di persone, i poveri sfrattati dal continente
africano saccheggiato che uno di loro, Franz Fanon, chiamava “i dannati
della terra”?, perché questo ministro li tiene sequestrati per giorni su
navi, navi che diventano carceri, di più, diventano lager, di più,
diventano tombe, muoiono queste persone, muoiono a centinaia per volta,
come mai non gli interessa, perché non si interessa delle prigioni
libiche dove vengono macellati, tanto da percepire la fuga il mare il
possibile naufragio comunque come una salvezza? perché la sua compagna
non gli dice, tra una camicia bianca e l’altra: amore mio, non ti pare
che stiamo esagerando?
Ha visto questo video sul suo smartphone, il trentenne incazzato che
ho in mente io, il trentenne che giorni fa era a San Babila a Milano ma
aveva in mente l’epilogo di Piazzale Loreto, un video dove il Ministro
parla ai suoi zombie, mesmerizzati, dove viene interrotto da una ragazza
diciassettenne (per fortuna non aveva conseguito la maggiore età, sennò
i cani rabbiosi vestiti di verde la linciavano) che gli urla: fascista!
Per un attimo il re, il re che istiga quelli vestiti di verde come
macchiette, grazie a questa ragazzina è nudo. Salvini, sei un fascista,
gli dice. Lui all’inizio ironizza, non perde la calma e l’aplomb, le
suggerisce: hai dimenticato di aggiungere xenofobo e razzista, dice è
questa la sequenza di insulti che quelli come te mi scagliano. Però,
appena si accorge che i suoi fedeli sono un po’ troppo cani fedeli e la
vorrebbero sbranare (la filmano, e le dicono vai via, e delle donne che
potrebbero esserle madre ma che sono cagne rabbiose le digrignano i
denti) è lui stesso, il ministro in persona che la salva dal linciaggio
dei suoi cani idrofobi, perché lo fa? Forse perché di questi tempi si
filma tutto e lui non vuol passare per fascista? Ma no. Ma no perché lui
lo sa di essere fascista, lo sa e ne è fiero, fascista sì ma
probabilmente ci tiene a non passare per nazista, ci tiene a questa
fondamentale differenza, perché fascista sì nazista no? Anche questo ce
lo diranno gli storici tra mezzo secolo, lui con piglio e orgoglio
fascista riprende e zittisce i suoi adoranti fascisti che da bravi
fascisti guaiscono un altro po’, come i cani rabbiosi che sono mostrano
un altro po’ i denti, ma poi da bravi fascisti si calmano, perché lui
dice loro: se non la lasciate stare me ne vado io. Aggiunge, indicandola
col suo dito indice più lungo del medio, dito indice a forma di fucile:
lasciatela stare, magari ci sente parlare, e si convince pure lei a
pensarla come noi. Noi che siam fascisti.
Il ministro, ha ragione la ragazzina coraggiosa, è fascista.
Fascista, sì. Se non volete credere a me credete a Umberto Eco. Umberto
Eco ha sempre ragione. Non solo quando dice che internet il web i social
network hanno dato fiato a legioni di imbecilli che prima avevano sfogo
giusto al bar oggi sproloquiano ovunque e su chiunque. E ha dato fiato
alla propaganda basica del ministro. Ma ha ragione quando distingue il
totalitarismo dal fascismo. Noi, o meglio, alcuni di noi pensano
erroneamente che Salvini non possa essere fascista, che sia
un’esagerazione dire che è fascista, un’iperbole cui non crede nessuno.
Perché confondiamo il fascismo col totalitarismo. E’ qui che (secondo
Eco) ci sbagliamo. Perché se per totalitarismo intendiamo un regime che
subordina ogni atto individuale allo stato, ebbene, in quel caso solo il
nazismo e lo stalinismo furono regimi totalitari. Non il fascismo. Ha
ragione Eco. Ma allora, che cosa fu il fascismo mussoliniano a cui la
gente italica è ancora così visceralmente legata, tanto da innamorarsi
di un bruto che fa di tutto per assomigliare a lui? (Guardatelo quando
denuda il suo petto pingue in spiaggia, non somiglia maledettamente al
Dux che nei campi di grano mieteva esponendo il suo grasso torso nudo?)
Fu una dittatura, certo, ma non totalitaria. Non completamente, almeno.
Perché no? Non sono io capace di dire perché no. Ma Umberto Eco lo sa, e
risponde al posto mio: per la debolezza filosofica della sua ideologia.
Così scrive Umberto Eco dentro a questo striminzito libretto di sole 51
pagine ma densissime, chiuse dentro una copertina nera nerissima come
il fascio come l’alito della tracotanza dei fascisti le scritte sono in
font stile littorio, quello con cui le teste rapate di Casa Pound
secernono pensieri che nelle loro scritte rettiliane riassumono, prima
di andare a presidiare le spiagge liberandole dal nemico africano
venditore di occhiali contraffatti.
Mus/solini (allo stesso modo del suo replicante Mus/salvini, che tra
poco farà a meno di quegli utili idioti sceriffi dalle cinque stelle,
inutili davvero, sentite a me, perché la gente italica è in buona parte
purtroppo visceralmente fascista ma non è fessa, se trova il fascista
originale, quello di razza, non gli serve più il fascista annacquato, o
indeciso, o ambivalente, o un giorno sì e uno no, o al settanta per
cento, se può affidarsi a uno tutto d’un pezzo come Salvini, non gli
serve più una mezza calzetta come Di Maio) (ah, mus peraltro è
un genere di roditore della famiglia dei muridi) non aveva nessuna
filosofia, aveva solo retorica. Solo propaganda. E pure la sua
propaganda era arronzata, non aveva la meticolosità di un Göebbles, pure
in questo Mus era un arruffone (uguale al suo epigono).
Pure Mus/solini cominciò ateo e finì col firmare il concordato con la
Chiesa. Mus/salvini per non essere da meno comincia comunista padano
nullafacente e ora bacia Vangelo e rosario e inneggia al crocifisso.
Il poeta del fascismo? D’Annunzio, un dandy che, scrive Eco, Hitler o
Stalin l’avrebbero fucilato. Il vate del fascismo mus/salviniano
pensavo fosse un filosofo dandy che di nome fa Fusaro che si esprime in
una tutta sua criptica dandyafasia che mi fa scompisciare ogni volta che
lo sento. Invece no. Il vate del Mus/salvini è un poeta. Un vero poeta.
Patentato. Pubblicato. Davvero. E non dico uno dei centomila poeti
italici che si pagano il libro con le proprie tasche, che lo potrei pure
capire. No. Pare incredibile che ci sia un poeta che possa trovare
parole da scambiare con il ministro più vigliacco della storia
repubblicana. Il poeta esiste e si chiama Davide Rondoni. Un poeta di
brutte poesie che si definisce cristiano anarchico (perché?, ero rimasto
a Tolstoj, l’unico cristiano anarchico che riuscivo a sopportare) e
dieci anni prima ha fatto le prove generali dell’anilingus al re
scrivendo l’introduzione a un libro di poesie di nientemeno che Sandro
Bondi (che a sua volta fu il vate astenico, il pennaiolo succube del suo
venerato cleptocrate).
Il fascismo mus/soliniano non fu tollerante. Gramsci muore in
carcere, Matteotti e i fratelli Rosselli assassinati, Pertini e altri
dissidenti confinati in isole sperse. Però fu politicamente e
ideologicamente sgangherato.
La versione incipiente e ingravescente mus/salviniana cui stiamo
assistendo ne è la perfetta erede, quanto a sgangheratezza politica e
ideologica che però miete lo stesso vittime ma altre vittime: non
oppositori politici, per adesso, ma africani. Centinaia. In pasto agli
squali mediterranei. Ogni morto africano sono un milione di like e un
punto percentuale in più nei sondaggi.
Ieri col libretto nero con titoli littori di Umberto Eco vagavo con la mia
BMW di terza mano per le vie d’Irpinia. Mi sono fermato a un chiosco, a
trecento metri da un piccolo lago sulfureo. Quasi una pozza che ribolle.
Un chiosco fantasma. Una scritta di legno: Polli arrosto. Ordino anzi
chiedo, per gentilezza, mezzo pollo. Chiedo pure una birra. Ha solo
Peroni. Sa di zolfo. Finita la birra, chiedo un caffè, il caffè, dice il
pollarrostaro, attendi un momentino che te lo prepara mia moglie, esce
di scena lui e entra in scena sua moglie, il caffè è nero nerissimo come
il fascismo, sa di zolfo con aggiunta di zucchero di canna, lo
trangugio in un sol sorso, brucia l’esofago, ora si rompe, esplode,
muoio.
Dico all’uomo del chiosco che vende polli arrosto: sono settimane
che se ne vedono di tutti i colori, anzi, si vede solo il nero, non
senti i telegiornali? Non hai Facebook sul telefonino? Non senti i
proclami in difesa della razza? Non senti la paura del capo anzi
vicecapo del governo che teme la sostituzione etnica?
In che senso, fa
lui?
Nel senso che i neri d’Africa, secondo questo ideologo del nero, si
prenderanno l’Italia. Tra un anno, secondo lui, se lui non ci salva non
ci sarai più tu qui a arrostire polli ma un nero d’Africa e invece di
polli ci farà mangiare, metti, iguane. Tu, per esempio, per chi hai
votato all'ultime elezioni?
Io prima votavo DC. Don Ciriaco. Poi PSI.
Craxi. Poi Forza Italia. Berlusconi. Poi, all’ultime elezioni visto che
Berlusconi tra poco muore ho votato Lega, Lega degli italiani. Salvini.
Ecco, lo vedi? Pure tu hai paura dei neri, e per colpa tua, della tua
paura, che al posto dei polli arrosto tra un anno qua sul cratere irpino
si venderanno iguane, o coccodrilli, per colpa vostra stiamo diventando
tutti carogne.
Ma io non sono razzista. Io non odio i neri. Io non sono fascista.
Tu non lo sai, però, credimi, fidati, fascista sei fascista.
Non penso di essere fascista. E’ che voglio essere lasciato in pace a
vendere i miei polli arrosto. E mia moglie, quando cuoce i polli
arrosto, deve poter stare tranquilla.
Facciamo così. Tu continui ad arrostire polli. Io ti dico perché tu e
quello che hai votato, siete fascisti. Ti faccio la lista delle
caratteristiche che sono gli archetipi del fascismo eterno (o
ur-fascismo). Che scuole hai fatto?
Il magistrale. Poi ho fatto un anno il maestro d’asilo ma con i polli arrosto ero più portato.
Benissimo. Dunque hai tutti gli strumenti culturali per potermi
capire. Ora conto fino a quattordici. Arrivato a quattordici puoi dirmi
se sei fascista o non sei fascista. Per dirti fascista devi sapere cosa
significa essere fascista. Se tu prima non lo sai, di che parliamo. A
vanvera?
Ascolto.
Bravo.
Uno. La prima cosa è il culto della tradizione. Voialtri fascisti vi
credete che tutto il sapere, tutta la verità, sia già stata annunciata.
Due. Rifiutate ciò che è moderno. No illuminismo sì irrazionalismo,
sì al sangue sì alla terra. Ti trovi? (scusa, non devi rispondere
adesso)
Tre. La cultura la trovate sospetta. Il ministro della propaganda
nazista metteva mano alla pistola appena sentiva la parola cultura. Lo
stesso fa il tuo viceministro. E tu pure, senza offesa, sei passato
dalle lettere ai polli.
Quattro. Non amate la dialettica. Non apprezzate le critiche. Essere
in disaccordo significa tradire. I cani rognosi che volevano azzannare
la ragazzina diciassettenne che dice fascista a Mus/salvini sono
coerenti, sono fascisti. Bravi. Così si fa. Anche i fascisti annacquati
delle cinque stelle d’altra parte appena uno è in disaccordo lo
cacciano. Via. Espulso. Pensiero unico.
Cinque. Avete paura di chi è diverso. Di chi è straniero. Dell’intruso. Se sei fascista non puoi non essere pure razzista.
Sei. Il tuo ministro fa appello alle classi medie frustrate. Che sono
terrorizzate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. E chi sono i
nuovi lumpen? Sì, voglio dire, i nuovi proletari? Ma sono i migranti. I
tuoi nemici. Il tuo incubo. Quelli che pensi vogliono prendere il tuo
posto per darci in pasto iguane o coccodrilli.
Sette. Il privilegio (l’unico) che il fascismo sa dare a chi come te
non ha identità sociale è: l’identità nazionale. Il nazionalismo vi
cementa. Per cementarvi vi serve un nemico esterno. Allora il tuo
ministro deve ossessionare il popolo con l’idea del complotto. Con
l’idea xenofoba della sostituzione etnica. Questi mi levano il lavoro.
Mi levano la moglie. Mi levano la terra. Mi levano i polli arrosto. E
voi, e tu, abboccate.
Otto. Bisogna che il popolo, soggiogato dai fascisti, si senta
umiliato dalla ricchezza dei nemici (un tempo valeva per gli ebrei,
usurai, o per gli inglesi, che mangiavano cinque volte al giorno), o se
non sono ricchi (e gli africani non lo sono) dalla loro forza (gli
africani sono più forti, più belli, più virili; perché secondo te non
nutri lo stesso timore per i cinesi i filippini i cingalesi? Eppure
siamo invasi da cinesi filippini cingalesi e dal loro cibo e da colf e
badanti, come mai non ti fanno paura, eh?).
Nove. La vita è guerra. Il pacifismo è arrendersi al nemico.
Dieci. Disprezzare i deboli. Darwinismo sociale e razziale.
Convincervi che voi italiani siete il miglior popolo al mondo. Ora,
però. Che poco fa erano i padani il miglior popolo al mondo.
Undici. Esaltare l’eroismo.
Dodici. Esaltare la potenza sessuale. Essere virili. L’ex capo della
Lega Nord gridava che lui, loro, l’aveva, l’avevano sempre duro. E
questo imperativo lo fotté. Che per averlo troppo a lungo duro si dice...
va be’, lasciamo stare con le illazioni. Perché facile a dire: abbiamolo
duro. Il gioco del sesso, il gioco di Priapo, mica è da tutti. Serve
predisposizione e passione. Infatti Mus/salvini, che quel maligno
settimanale gossipparo dichiarò cornuto, preferisce giocare con le armi,
ora ha preso a farsi fotografare col fucile in mano come un Charlton
Heston o un Clint Estwood insieme ai fabbricanti italiani di fucili (con
cui giocare al gioco preferito dagli italiani in questi mesi: il tiro
al bersaglio africano, uccellare l’africano dalle lunghe lance, come il
fuciliere di Macerata, salvo poi farsi passare per deficiente, perizia
psichiatrica, l’avvocato ti suggerisce di farti passare per scemo,
incapace di intendere, un paio di anni di REMS e te la cavi). Ma qui,
dammi retta, in questa esaltazione del fucile, sai che cosa direbbe uno
psichiatra o meglio uno psicanalista? Che è tutta invidia del pene
(africano, si capisce).
Tredici. Populismo. Non contano gli individui, i soggetti, i singoli.
Non conti niente tu, o lavoratore che vivi arrostendo polli. Conta il
popolo. Questa entità monolitica, dall’unico pensiero, che il leader e
solo lui sa interpretare. Ne è esegeta. Populismo da tv (prima)
populismo da smartphone (oggi). Lo smartphone è il medium con cui
ricevere il verbo, i messaggi, gli slogan, le direttive, le nuove parole
d’ordine. Molto più funzionale della tv. Sempre in mano, a portata di
mano, un like e amen.
Quattordici. Il fascismo comunica con una neolingua. Lingua
semplificata. Fatta di slogan. Governo del cambiamento. Prima gli
italiani. Finita la pacchia. Avvocato del popolo. Gli italiani,
accidiosi, abboccano.
Eja eja alalà.
L’ho concluso così, con questo demenziale grido fascista inventato
dal vate D’Annunzio, il mio tentativo di convincere il venditore di
polli arrosto che era fascista. Lui è stato tutto il tempo a rigirare i
suoi dodici polli. Sentire ha sentito. Ma è rimasto zitto.
Gli ho allungato dieci euro, l’ho lasciato a riflettere, sono salito
sulla mia vecchia BMW nera, ma di un nero non fascista e senza scritte
littorie, ho messo in moto.
Fonte
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