Lasciamo perdere gli ululati di Repubblica, che un giorno sì e l’altro pure prova a ingigantire le differenze tra pentastellati e leghisti, facendo un favore soprattutto a questi ultimi. Però è abbastanza evidente che l’alleanza di governo ha qualche serio problema.
L’agenda politica, da quattro mesi a questa parte, continua a esser dettata da Salvini, che ha fatto della questione migranti l’alfa e l’omega del suo torrenziale twittare quotidiano, mentre il suo sodale Giorgetti sistema le relazioni col mondo delle imprese alla democristiana maniera. L’andamento dei sondaggi – ufficialmente irrisi – preoccupa comunque i vertici grillini, perché se pure una perdita del 4% circa può essere considerata fisiologica (nemmeno il più ingenuo dei loro fan poteva pensare di avere tutto e subito), il quasi raddoppio dei consensi alla Lega mostra plasticamente chi è che sta guadagnando dagli attuali equilibri.
Inevitabile, dunque, cercare qualche tema che possa riportare in auge il “programma” pentastellato, per dimostrare che non sono gli utili idioti dei fascioleghisti.
La vicenda dei 49 milioni “zottati” dalla Lega quando ancora comandava Bossi è troppo indigesta per lo stomaco dei grillini della prima ora, e a maggior ragione per un elettorato che – ingenuamente o meno – crede davvero che il principale problema del paese sia la corruzione, altrimenti tutto andrebbe splendidamente. Era insomma un obbligo attaccare, prima o poi, su questo fronte. Non a caso l’incarico è stato assunto (o dato) dal grillino più popolare ma (o perché) privo di incarichi di governo o parlamentari. Alessandro Di Battista ha sparato ad alzo zero dal lontano Guatemala, invitando Salvini e i suoi a “restituire fino all’ultimo centesimo il maltolto”, demolendo con poche parole i fantasmi del “complotto” o del “processo politico”, continuamente riproposti dal cosiddetto ministro dell’interno.
Tattica democristiana anche questa, e pure scoperta: Di Battista può parlare a titolo individuale, senza coinvolgere più di tanto la formazione di governo. Ma è un segnale di insofferenza piuttosto chiaro.
Più seri i contrasti che si squadernano sui singoli dossier, visto che il “terzo governo” (i ministri che devono “rassicurare l’Unione Europea e i mercati”) non perde occasione nel fissare paletti economici o geopolitici che aumentano le differenze, invece di appianarle.
Il “reddito di cittadinanza”, ormai è palese, sarà una mezza delusione, se mai ci sarà. Le due indiscrezioni che vanno per la maggiore parlano di 780 euro al mese (la misura promessa...), ma soltanto per un milione di persone, con criteri dunque molto restrittivi; oppure di 300 euro per 4 milioni di cittadini al di sotto dei limiti della povertà assoluta (proprio come il “reddito di inserimento” varato dal governo Gentiloni e dal Pd). Ma entrambe sono fortemente a rischio, perché in ogni caso “pesano” per 10 miliardi annui sui conti pubblici.
Un po’ meno di quanto costerebbe la flat tax che tanto vogliono Salvini e Berlusconi, che comunque non può essere rimessa nel cassetto senza provocare mal di pancia nel referente sociale principale del centrodestra (imprese di ogni dimensione) e quindi nel consenso elettorale.
C’è poi la scabrosa faccenda della revoca della concessione ad Autostrade, che solleva l’ira del berlusconian-leghista governatore della Liguria, Giovanni Toti: “Se il Governo pensa in un rigurgito di centralismo della passata legislatura di fare una battaglia nazionale passando su Genova o imporre a Genova qualche ritardo pur di conquistare altri obbiettivi o di dettare l’agenda alle istituzioni locali siamo in un territorio opposto. Due anni per far partire l’infrastruttura è intollerabile e non succederà a Genova perché per farlo dovranno passare sulla mia faccia, sul mio corpo e su questa Regione”. Qualcuno si farà male, probabilmente...
Problemi seri anche sul ddl anticorruzione, che i leghisti vedono come il fumo negli occhi (anche perché metterebbe sassi negli ingranaggi dell’alleanza con Berlusconi, fondamentale in caso – non improbabile – di una crisi di governo ed elezioni anticipate).
E frizioni rilevanti persino sul decreto che dovrebbe limitare le aperture domenicali di negozi e centri commerciali, voluto dai Cinque Stelle per provare di essere dalla parte dei lavoratori più penalizzati. E’ un tema su cui, negli anni scorsi, i grillini si erano in qualche modo spesi (con promesse), fiancheggiando furbescamente le mobilitazioni di alcuni sindacati di base. Anche qui la Lega punta i piedi, pressata dagli interessi della “grande distribuzione”. Il ministro dell’agricoltura e del turismo (singolare accoppiamento...), Gian Marco Centinaio, ha tirato fuori l’eccezione che vanificherebbe qualsiasi nuova regola: “La proposta che abbiamo è di non bloccare le aperture domenicali nelle città turistiche”. In un paese come l’Italia, praticamente tutte...
Mancano, come si vede, i dossier che scottano davvero, come le nomine per enti,società partecipate, istituti vari… Quelle dove si misurano i rapporti di potere concreti e volano le coltellate che, se mal tollerate, possono portare a una crisi di governo.
Ricordando comunque che è Salvini ad avere il coltello dalla parte manico, in base ai sondaggi, perché dei due “contraeneti” è l’unico ad avere un’alleanza esterna potenzialmente in grado di produrre una maggioranza politicamente più coesa. Altrettanto di destra...
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