Tutti distratti dalle fanfaronate salviniane sulla guerra ai poveri, specie se “scuretti” di pelle, ben pochi si sono accorti della immane presa per i fondelli che si va preparando sul famoso e strombazzatissimo “reddito di cittadinanza”.
I problemi di partenza sono noti. Dare davvero 780 euro al mese a chi non ha un lavoro, oppure ce l’ha ma non arriva a un salario con quella cifra, implica un aumento di spesa pubblica incompatibile con le “regole europee”. Si potrebbero violarle, ma scatterebbero sanzioni e soprattutto la speculazione dei “mercati”, veri detentori della sovranità sugli Stati (tutti, sia quelli nazionali che quelli sovranazionali, come l’Unione Europea).
Sia la Lega che i Cinque Stelle, in campagna elettorale, avevano promesso che non avrebbero rispettato i famosi parametri di Maastricht e le “prescrizioni” di Bruxelles, ma una volta entrati a palazzo Chigi hanno cambiato idea e obbiettivi, diventando obbedienti cagnolini della tecnoburocrazia.
Sul costo del reddito di cittadinanza in versione hard i calcoli sono differenti quanto le teste che se ne occupano. Secondo alcuni ci vogliono almeno 15 miliardi, secondo Tito Boeri (presidente dell’Inps messo lì da Renzi per chiudere l’istituto) ce ne vorrebbero 35. Si va insomma da uno a due punti di Pil, ed è decisamente troppo per un governo che deve ballare sugli 0,1% in più o meno. Quel poveretto di Di Maio ha preso fiato per un attimo quando, ieri, Macron ha deciso di presentare una manovra in deficit al 2,8% pur di coprire un maxi taglio delle tasse (quasi tutto destinato alle imprese): “facciamolo pure noi”, ha sussurrato prima di venir coperto di calcoli devastanti sulle conseguenze per il debito già inarrivabile dello Stato italiano.
Fallito anche l’attacco ai tecnici del ministero dell’economia (con il sondaggio delle reazioni possibili affidato al “grande comunicatore” Casalino), gli esperti grillini al governo si sono messi a cercare una soluzione che consentisse di varare ufficialmente il “reddito di cittadinanza”, ma senza incidere troppo sui conti.
Come accade sempre con la matematica, se la somma finale deve essere zero o quasi, gli addendi da sommare o sottrarre devono produrre quella cifra.
E quindi giù con le proposte di esclusione dal possibile reddito di cittadinanza. La vicinanza quotidiana con Salvini ha prodotto il primo taglio: “solo agli itaGliani”, così si potrebbe escludere un bel 30% della platea potenziale. Ma anche così ancora non basta.
Qualcuno ha messo sul tavolo il costo del “reddito di inclusione” – la misura brodino-tiepido elaborata dal governo Gentiloni – suggerendo che quei 2,5 miliardi potevano essere riassorbiti nel nuovo istituto.
Ma anche così, poca roba... Ramazzando nelle pieghe del bilancio, qualcun altro si è accorto che già si spendono 1,5 miliardi per la Naspi, ossia l’assegno di disoccupazione. Basta farlo sparire e voilà, siamo già a 4 miliardi...
Pochi, troppo pochi. A questo punto l’idea geniale: “escludiamo dal reddito di cittadinanza chi è proprietario di una casa!”.
In questo modo, in effetti, si fa fuori un fettone enorme di potenziali beneficiari. Ricordiamo infatti che in Italia quasi 20 milioni di famiglie sono proprietarie della casa in cui abitano, il 77,4% del totale. E molti sono i soggetti, anche poverissimi e disoccupati, che si ritrovano “proprietari” per eredità di piccoli appartamenti in paesi desertificati dall’emigrazione verso le città o l’estero.
Se sarà questa la scelta, il “reddito di cittadinanza” sarà erogato a ben poca gente, certamente poverissima. E forse neppure nella misura promessa (780 euro), ma molto meno.
Va sottolineata a questo punto la logica del provvedimento in via di preparazione. Si suppone che la casa sia un bene liquido, facile da vendere, mettendo dunque i disoccupati con questo asset in portafoglio di fronte all’unica scelta possibile: venditi quella casa e mangiati il ricavato.
Le obiezioni possibili sono innumerevoli, ovviamente. Molte di quelle case avranno già un valore basso (i poveri notoriamente, fanno fatica a fare manutenzione adeguata), molti soldi se ne andranno nel prendere una casa in affitto (l’edilizia popolare è stata abolita di fatto 40 anni fa), il mercato immobiliare è in una situazione di stanca e una gran massa di appartamenti messi improvvisamente in vendita contribuirebbe ad abbassare ancora di più i prezzi (già precipitati a partire dal 2008).
Ironia della storia, oltretutto, un “reddito di cittadinanza” così concepito sarebbe addirittura meno “generoso” del “reddito di inclusione” del Pd in versione Gentiloni. In quel caso, infatti, serve presentare soltanto un Isee al di sotto dei 6.000 euro. Senza neanche calcolare la casa di proprietà...
Del reddito di cittadinanza, insomma, resta soltanto la parola, usata come la carota sventolata davanti al muso dell’asino, perché continui a tirare la carretta.
Pasticcioni, menzogneri, incapaci e razzisti, tutti insieme appassionatamente a prenderci per il culo...
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