Si discute molto, in queste ore, di alcune dichiarazioni del portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino. In buona sostanza Casalino sostiene che qualora il Governo non riuscisse a reperire le risorse necessarie a finanziare il “reddito di cittadinanza”, ciò deriverebbe principalmente dall’ostruzionismo dell’alta burocrazia ministeriale – ed in particolare dei tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) che lavorano concretamente alla stesura della legge finanziaria. Stando a quanto dice Casalino, ci sarebbe tutto lo spazio per finanziare le promesse elettorali dei giallo-verdi, ma un manipolo di dirigenti pubblici ostili al Governo starebbe alacremente lavorando affinché queste risorse restino nascoste nei meandri del Bilancio dello Stato, tra migliaia di complicate tabelle di cui solo questa casta di burocrati conosce i segreti.
Questa vicenda colorita – Casalino evoca i “coltelli” per “far fuori tutti questi pezzi di merda del MEF” – ha molti livelli di lettura, più o meno rilevanti, tra i quali emergono due aspetti politici salienti utili a gettare luce sull’operato di questo governo.
La denuncia di Casalino non è affatto campata per aria. Dopo venticinque anni di alternanza tra centrodestra e centrosinistra al governo, si è formata in seno al Ministero dell’Economia una classe dirigente assolutamente organica ai principali partiti sconfitti nelle elezioni dello scorso marzo. I posti chiave della struttura amministrativa sono effettivamente presidiati da nemici giurati del Movimento Cinque Stelle, personaggi come il Ragioniere Generale dello Stato Daniele Franco, che controlla tutti i dossier di spesa del Governo e sembra rispondere più ai diktat della Banca d’Italia – da cui proviene – che non alle richieste dell’esecutivo di cui dovrebbe essere un braccio operativo. Ricordiamo tutti il caso clamoroso del Decreto Dignità, osteggiato da Confindustria ed uscito dalla Ragioneria con una tabella che calcolava impatti disastrosi del provvedimento sull’economia. Chi critica Casalino appellandosi ad una presunta neutralità dei tecnici ministeriali, dunque, vuole nascondere i legami che inevitabilmente sussistono tra politica e burocrazia, legami che vengono a galla proprio ora perché una nuova maggioranza politica si scontra con gli apparati statali maturati dalla metà degli anni Novanta al 4 marzo 2018. Ma quale è la natura di questo scontro? Seguendo il teorema di Casalino, possiamo davvero imputare alla resistenza dei tecnici l’impossibilità di varare misure espansive?
Soffermiamoci per un istante sui compiti della burocrazia ministeriale. Una volta ricevuto l’input politico, gli apparati amministrativi devono redigere la documentazione tecnica e legislativa corrispondente al provvedimento da adottare. Se per esempio il Governo vuole costruire un ponte, i tecnici dovranno stimarne i costi e predisporre le gare d’appalto necessarie alla realizzazione dell’opera; dovranno poi individuare le coperture per quella nuova spesa rintracciandole tra le entrate fiscali presunte oppure individuando voci di bilancio che contengano risorse eccedenti gli impegni, in modo da trasferire quell’eccedenza al nuovo progetto. Insomma, la burocrazia svolge un delicato compito di affinamento dei conti che si basa su stime, calcoli e ipotesi di lavoro – tutte elaborazioni che possono condurre a risultati leggermente diversi, rendendo l’operato del Governo più o meno agevole. Tuttavia, la definizione dei dettagli operativi non può certo modificare l’ordine di grandezza dei provvedimenti emanati dal Governo: i tecnici possono favorire o rendere più complessa la quadratura dei conti, ma l’entità della manovra finanziaria riflette solo ed unicamente una volontà politica.
E veniamo all’aspetto principale della vicenda, rigorosamente taciuto nel fuoco di critiche alzato in questi giorni da politici e media liberisti, che deve essere rintracciato nel contesto generale implicito nella narrazione di Casalino. Il portavoce del Governo, infatti, non menziona alcun particolare vincolo alla spesa pubblica, e l’unico ostacolo alla realizzazione del programma sarebbe rappresentato da agenti dell’opposizione – capaci di occultare nel Bilancio risorse altrimenti spendibili liberamente. Ci si dimentica dell’elefante nella stanza: la principale difficoltà di qualsiasi governo europeo è oggi rappresentata dai vincoli alla spesa pubblica imposti dai Trattati. È l’azione di questi vincoli che costringe i governi alla spasmodica ricerca delle coperture per ogni tipo di spesa: se la spesa in deficit è sostanzialmente vietata, con pochi margini di flessibilità, ciò significa che per ogni maggiore spesa bisogna individuare maggiori entrate o ridurre altre voci di spesa, in modo da trovare le corrispondenti risorse. Nello schema dell’austerità la quadratura dei conti è tutto, ma l’accettazione di quello schema è una scelta politica. Vuoi realizzare il reddito di cittadinanza? Devi aumentare le tasse sui lavoratori. Vuoi tagliare le tasse alle imprese? Devi tagliare le pensioni. È la ferrea legge del pareggio di bilancio imposta dall’Europa. Il rispetto di questa legge deriva da una scelta di campo, la scelta di compatibilità con la governance europea. Solo dopo che si sono accettati quei vincoli ci si trova in balia della burocrazia del MEF, perché il rispetto dei parametri di deficit e debito dipende da virgole, da minuzie contabili, da dettagli che sono effettivamente in mano a poche figure chiave dell’amministrazione.
Possiamo quindi concludere che il potere della burocrazia si esprime nel controllo delle scarse risorse lasciate in gestione ai governi nazionali, ma quella scarsità è determinata altrove: le risorse per la crescita e l’occupazione ce le nega l’Europa dell’austerità, non un manipolo di tecnici ministeriali.
Quando Casalino rivolge i coltelli verso il nemico interno ci rivela una scelta strategica precisa: non vi è alcuna volontà politica di rottura verso l’alto, ovvero verso l’Europa ed i suoi vincoli. Questo punto è fondamentale per inquadrare l’operato del Governo di cui Casalino è il portavoce. Al di là dei proclami bellicosi, il governo giallo-verde mette in chiaro per l’ennesima volta che non è disposto a forzare la gabbia che l’Europa ha costruito intorno al nostro Paese: i limiti alla spesa pubblica saranno religiosamente rispettati, e la colpa di una (sempre più probabile) insufficienza di risorse verrà imputata a singoli untori. Casalino si lascia sfuggire una confessione, lamentandosi del fatto che “una manovra da 20 miliardi la fa qualsiasi governo, mica stiamo parlando di 100 miliardi”. Ecco, in queste cifre c’è tutta l’ipocrisia di un Governo che ha raccolto la rabbia sociale degli sconfitti della globalizzazione solo per riportarla nel vicolo cieco dell’austerità. Confessano di voler fare come “qualsiasi governo”, la solita manovra fiscale lacrime e sangue, con buona pace del cambiamento tanto sbandierato – e si lamentano perché i tecnici ministeriali gli fanno fare brutta figura a Bruxelles. Quella tra Governo e alta burocrazia è una guerra tra bande che vogliono accreditarsi presso le istituzioni europee per gestire il progetto neoliberista dell’austerità in Italia: i giallo-verdi vorrebbero godere di una qualche flessibilità di manovra in più, del tipo di quella che consentì a Renzi di elargire i suoi 80 euro, ed i tecnici – legati alla vecchia maggioranza – non hanno alcuna intenzione di concedergli un simile spazio di manovra.
Nessun progresso potrà essere conseguito all’interno dei paletti fissati dall’Europa. Le minacce di Casalino ai burocrati infedeli ci permettono di capire che la priorità di questo Governo è la medesima dei governi precedenti: far quadrare i conti, rispettare i vincoli europei, amministrare l’austerità che sta condannando un’intera generazione alla precarietà e alla povertà.
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