di Michele Giorgio – Il Manifesto
Israele dovrebbe essere
più riconoscente nei confronti di Jimmy Carter, al quale, a quanto pare,
non ha perdonato l’aver espresso qualche anno fa sostegno ai diritti
dei palestinesi.
Il presidente americano fautore del primo accordo di pace tra lo
Stato ebraico e un paese arabo, l’Egitto, è intervenuto più volte a
sostegno e copertura delle politiche degli alleati israeliani. Come nel
1979 quando Carter stese un velo di silenzio su un esperimento
nucleare segreto che chiamava in causa Israele e di cui nei giorni
scorsi è stato ricordato il 40/mo anniversario. Ancora oggi quel test non è mai avvenuto ma la verità è nota da sempre agli americani.
L’anniversario dell’incidente Vela, dal nome del satellite
che registrò l’esplosione sospetta, cade mentre crescono le pressioni
economiche e diplomatiche degli Usa su Tehran, di pari passo alle accuse che Israele lancia agli iraniani di voler costruire armi nucleari.
Che questa sia l’intenzione della Repubblica islamica è da provare –
gli iraniani negano di voler assemblare ordigni atomici – ma la Casa
Bianca e Israele non escludono un attacco militare. In ogni caso Israele,
che non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione, voluto
proprio dagli Usa, resta l’unico paese del Medio oriente a possedere
segretamente bombe atomiche.
Il Vela era uno dei satelliti lanciati da Washington sulla
scia del Trattato di divieto parziale dei test del 1963 (PTBT) che vieta
gli esperimenti nucleari nell’atmosfera, sott’acqua e nello spazio.
Alle 00:53 del 22 settembre di 40 anni fa il Vela localizzò
un’esplosione vicino alle Isole del Principe Edoardo, a circa 1.000
miglia dalla costa meridionale del Sudafrica. Si trattava di un “doppio lampo”, uguale ai test nucleari rilevati in 41 precedenti occasioni dai satelliti Vela.
I sospetti caddero sul Sudafrica e successivamente su Israele che
aveva legami segreti con il regime dell’apartheid. Per Carter,
sottolinea Foreign Policy, che a questo anniversario ha
dedicato uno speciale, si presentò subito un problema politico e
diplomatico di eccezionale importanza: i due paesi coinvolti erano nell’orbita americana.
Inoltre una legge approvata due anni prima sul controllo delle
esportazioni di armi, imponeva la fine dell’assistenza militare e
l’applicazione automatica di sanzioni statunitensi se fosse stato
accertato che uno Stato (diverso da quelli autorizzati dal Trattato di
non proliferazione nucleare) aveva fatto detonare un ordigno nucleare
dopo il 1977.
L’amministrazione Carter perciò si mosse per mettere in
dubbio la validità dei dati satellitari. Disse che il Vela, in orbita da
dieci anni, era vecchio. Ma il satellite sino a quel momento aveva
funzionato alla perfezione. Quindi il “doppio lampo” fu attribuito alla collisione tra il Vela e un minuscolo meteorite.
Infine l’anno successivo un comitato scientifico, in linea con la
posizione della Casa Bianca, accertò senza ombra di dubbio che non c’era
stata una esplosione nucleare. I risultati delle indagini erano
profondamente diversi da ciò che si sapeva e che lo stesso Carter
scrisse nel suo diario, nel febbraio 1980. «Cresce la
convinzione tra i nostri scienziati – annotò il presidente – che gli
israeliani hanno effettivamente condotto un test nucleare nell’oceano
vicino all’estremità meridionale dell’Africa». Eppure non agì di conseguenza e fece secretare i documenti relativi all’inchiesta.
Il caso fu chiuso e gli Stati Uniti ancora oggi fingono di non sapere che Israele possiede armi atomiche. Il programma atomico israeliano, partito negli anni ’50, è stato rivelato nel 1986 al Sunday Times
da un tecnico della centrale di Dimona (Neghev), Mordechai Vanunu, che
ha pagato il suo gesto con 18 anni di carcere ed isolamento, dopo essere
stato rapito dal Mossad a Roma.
In un articolo del New Yorker del giugno 2018 si afferma che
Israele avrebbe lettere di Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama e
Donald Trump, in cui i quattro presidenti si impegnano a proteggere le
sue armi nucleari. Le Amministrazioni Usa non solo non hanno
imposto a Israele la firma del trattato di non proliferazione ma hanno
anche accettato la linea della «ambiguità nucleare», ossia lo Stato
ebraico che non conferma e non nega di possedere armi atomiche.
La cooperazione militare tra Israele e il Sudafrica
dell’apartheid è andata avanti per decenni anche se il primo ministro
israeliano Menachem Begin nel 1977 negò l’esistenza di qualsiasi
collaborazione per lo sviluppo di armi. Il giornalista e
ricercatore Sasha Polakow-Suransky la descrive dettagliatamente nel suo
libro del 2010, “The Unspoken Alliance: Israel’s Secret Relationship
with Apartheid South Africa”.
Polakow-Suransky, dopo aver consultato oltre 7mila pagine di
documenti ufficiali sudafricani declassificati, presenta nel libro prove
sull’offerta di testate nucleari fatta dal leader israeliano Shimon
Peres al ministro della difesa sudafricano Botha nel 1975. Testate che
il Sudafrica non comprò poiché intenzionato a costruirle da solo, però
con la collaborazione di Israele. La cooperazione bellica tra i due
paesi, anche in campo missilistico, è andata avanti per decenni, «quasi
fino alla vigilia della presidenza di Mandela», secondo
Polakow-Suransky. Israele, aggiunge, denunciava l’apartheid in pubblico e
in segreto vendeva armi ai razzisti sudafricani.
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