di Michele Giorgio – Il Manifesto
Riecheggiavano ieri nel
Daraya Palace di Riyadh le esortazioni del re saudita Salman all’unità
delle sei petromonarchie sunnite contro la «minaccia iraniana».
Le sue parole hanno fatto il giro del mondo. «Il regime iraniano – ha
affermato – continua le sue politiche aggressive nella regione e mina
la stabilità dei paesi vicini». Le monarchie del Golfo devono
proteggersi dagli attacchi missilistici delle forze ostili, ha aggiunto
il sovrano riferendosi ai ribelli sciiti yemeniti e a Tehran.
I sauditi flettono i muscoli ma l’obiettivo principale del 40esimo
vertice del Consiglio di cooperazione del Golfo non era tanto l’adozione
di politiche comuni e più incisive contro Tehran, quanto porre fine al
conflitto tra Arabia Saudita e Qatar cominciato il 5 giugno del 2017 con
l’annuncio di pesanti sanzioni di Riyadh e dei suoi principali alleati
(Bahrain, Emirati ed Egitto) contro Doha accusata di mantenere rapporti
con l’Iran e di «sostenere il terrorismo», ossia di appoggiare il
movimento dei Fratelli musulmani storici avversari della monarchia Saud.
Obiettivo mancato.
Il testo delle conclusioni raggiunte al summit non fa
riferimento alla spaccatura Riyadh-Doha. Non sorprende. L’emiro Tamim,
leader del Qatar, non si è presentato al summit e in sua sostituzione ha
inviato il premier Abdullah bin Nasser al Thani: si tratta
della più alta rappresentanza del Qatar in Arabia Saudita da due anni a
questa parte ma è anche una prova che le due parti restano distanti.
Alcuni credevano che la partita calcio tra Qatar e Arabia Saudita,
disputata la settimana scorsa a Doha per la Coppa delle Nazioni del
Golfo, avrebbe contribuito in maniera decisiva ad aprire la strada
della riconciliazione, da suggellare al vertice di ieri. Così non è stato.
Eppure la lacerazione aveva cominciato a rimarginarsi. Piccole
aperture, toni più moderati sui social, dichiarazioni meno nervose dei
leader delle due parti. Quindi il mese scorso il ministro degli esteri
del Qatar, Mohammed bin Abdul rahman Al Thani, ha effettuato una visita
nella capitale saudita e fatto un’offerta per chiudere la frattura.
E poco dopo l’emiro Tamim ha ricevuto da re Salman l’invito a
partecipare al CCG. Invito non accolto. La soluzione della crisi non è
ancora a portata di mano.
Gli interessi comuni sono forti. Re Salman e l’erede al trono
Mohammad dopo l’attacco con droni e missili che lo scorso 14 settembre
aveva paralizzato circa la metà della produzione petrolifera saudita,
hanno dovuto prendere atto della vulnerabilità del regno. E di
fronte alla decisione di Trump di non rispondere all’Iran (ritenuto il
responsabile del raid), hanno scelto di rinsaldare i rapporti con il
Qatar in nome di una difesa comune di tutto il CCG.
La fine delle ostilità tuttavia resta lontana.
L’emiro Tamim sa che il tempo gioca a suo favore e di aver vinto ai
punti il match con il potente vicino. Sino ad oggi Doha non ha accolto
nemmeno una delle 13 condizioni poste due anni fa da Riyadh per porre
termine all’embargo economico.
Da registrare la presa di posizione di re Salman sulla questione
palestinese. Da tempo si parla di una stretta alleanza dietro le quinte
tra Riyadh e Tel Aviv ma ieri il re saudita ha ribadito il sostegno del
suo paese a uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme est come
capitale. E ha promesso che non avallerà alcun “piano di pace” degli
Stati Uniti che non affronti lo status di Gerusalemme o il diritto al
ritorno dei profughi.
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