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10/07/2020

Tecnologie e disoccupazione, dietro le paure di “autunno caldo”

Immaginatevi un’impiegata o un impiegato in smartworking che lavora che so all’Inps, all’Agenzia delle Entrate, all’Istat o in qualche ministero.

Per lavorare costoro devono interfacciarsi con una mole impressionante di dati resi possibili dal cambiamento tecnologico di questi decenni. Non hanno l’impiccio di fare magari 40 km al giorno per andare in ufficio o riunioni infinite, come spesso capita.

Questo risparmio di tempo – certo esistono anche i cosiddetti “fannulloni” – è spesso impiegato nel concentrarsi sulla lavorazione di questi dati e nei relativi processi lavorativi, per sbrigare pratiche.

Ad esempio, si è saputo che durante il lockdown gli impiegati dell’Inps hanno lavorato milioni di pratiche in pochissime settimane, quando prima occorrevano mesi, se non anni.

Stessa cosa sta succedendo, con ancora più forza, nel privato, dove non sono pochi i casi di allungamento forzato della giornata lavorativa.

Questa potenza di fuoco del marxiano “lavoro sociale” si scontra con rapporti di produzione che in questi ultimi decenni hanno voluto riportare le lancette della storia indietro, fino all’800. Quando, però, tutto si faceva “a mano” e le città si sviluppavano intorno alle fabbriche.

La contraddizione del mutamento tecnologico, che innesca una potenza di fuoco del lavoro sociale, ad un certo punto dovrà per forza di cose esplodere; anche perchè produce sempre più disoccupazione, in assenza di provvedimenti, o di lotte, tese alla riduzione e redistribuzione dell’orario di lavoro.

È come se l’impiegato dell’Inps veda la liberazione dal tempo di lavoro ma rimanga imprigionato da un assetto che era vecchio già nel 1969, anno dell’autunno caldo (esplicitamente citato addirittura dal ministro dell’interno, Lamorgese).

Il timore di un suo ritorno da parte delle forze politiche manifesta il fatto che la classe dirigente non controlla più la potenza distruttrice del capitale e soprattutto la potenza di fuoco del lavoro sociale.

Hanno paura che dopo 50 anni un po’ di gente dica: è arrivato il tempo del Prometeo liberato.

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