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02/11/2020

Cina - Verso il 14° Piano Quinquennale (2020-2025)

“Attualmente il mondo sta vivendo una grande trasformazione del tipo che non si vede da un secolo (...) L’equilibrio delle forze internazionali sta subendo un profondo aggiustamento (...) L’instabilità e l’incertezza sono chiaramente aumentate”.

Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese

Lo scorso giovedì si è concluso il quinto Plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, che aveva il compito di indicare gli indirizzi generali del quattordicesimo Piano Quinquennale.

Qualunque sia il risultato che uscirà dalle urne dopo il 3 novembre negli Stati Uniti, qualunque sia la strategia che verrà messa in campo dalla prossima amministrazione nord-americana – come ha dichiarato un funzionario del governo cinese al Financial Times“è certo che la strategia di de-connessione industriale tra la Cina e gli Stati Uniti continuerà il prossimo anno”.

Come ha affermato al prestigioso quotidiano britannico Larry Hu, capo-economista di Macquarie rispetto alla Cina: “oggi la più grande sfida per Pechino è la potenziale de-connessione economica con gli USA”.

Una separazione che passa attraverso una maggiore autonomia tecnologica da realizzarsi con massicci investimenti statali in “Ricerca e Sviluppo”, che si assesteranno per i prossimi 5 anni attorno al 3% del PIL, rispetto al 2,2% attuali.

“Solo essendo tecnologicamente autosufficienti possiamo supportare uno sviluppo di alta qualità”, ha detto venerdì mattina Han Wenxiu, un alto funzionario finanziario del partito, in una conferenza stampa.

Quali saranno i settori in cui la Cina investirà maggiormente?

Qu Hongbin, capo economista cinese di HSBC, ha affermato al FT che “ci sarà più di una spinta politica per una maggiore spesa in ricerca e sviluppo nei prossimi anni, soprattutto in settori strategici come la biotecnologia, i semiconduttori e i nuovi veicoli energetici”.

Una delle priorità sarà quindi colmare il gap produttivo rispetto al settore dei semi-conduttori, di cui solo ¼ di quelli venduti in Cina è prodotto nella Repubblica Popolare.

La Cina è alla pari degli Stati Uniti come quota mondiale del settore, con poco più del 10% e 13 mila aziende, dietro rispettivamente alla Corea del Sud – leader globale – che copre più di un quarto della produzione mondiale, Taiwan con circa il 20% (con cui la Repubblica Popolare trattiene però rapporti sempre più ostili), ed il Giappone, poco sopra il 15%, che ha più volte annunciato la propria volontà di sganciarsi dalle filiere produttive cinesi.

Un ruolo relativamente subordinato, quello della Cina, anche rispetto alle capacità che la Repubblica Popolare è in grado di mettere in campo, nonostante i sussidi statali forniti negli ultimi 20 anni ai produttori di chip, 100 volte in più di quelli erogati dal governo di Taiwan nel settore. Un sostegno alle aziende che già andava ben oltre la loro redditività economica immediata, ma considerato come strategico.

La “potenza di fuoco” di questi investimenti verrà potenziata – probabilmente 1.400 miliardi di dollari da qui al 2025 – anche se alcuni esperti affermano che questo non risolverà le difficoltà cinesi nel settore.

Secondo una recente inchiesta del FT: “Le priorità di Pechino ora includono il potenziamento della sua abilità tecnologica nell’automazione della progettazione elettronica (EDA) – il software utilizzato nella progettazione dei chip – e nella realizzazione delle macchine utilizzate negli impianti di fabbricazione dei chip.”

Ed è notizia recente che il colosso Huawei sta lavorando ai piani per un impianto ai chip, a Shanghai, che non utilizzerebbe la tecnologia americana, consentendole di garantire le forniture per la sua attività di infrastruttura di telecomunicazioni principale nonostante le sanzioni statunitensi.

Un passo significativo per una delle sfide più impegnative per Pechino.

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Torniamo al Plenum.

Il comunicato si apre con il riconoscimento del sostanziale raggiungimento degli obiettivi del tredicesimo Piano Quinquennale e della continuità del lavoro.

Vengono ribaditi i concetti entrati stabilmente nei ragionamenti della dirigenza cinese sotto Xí Jinping: il “pensiero di Xí Jinping per la Nuova Era”, “il Grande Ringiovanimento della Nazione Cinese” e “la modernizzazione socialista entro il 2035”.

Secondo il comunicato, nel 14esimo Piano il nocciolo duro: “sarà la circolazione domestica, la doppia circolazione domestica e internazionale si sosterranno l’un l’altra”. E “l’innovazione sarà al centro dello sviluppo del paese”.

“La sessione plenaria propone la formazione di un forte mercato domestico e la costruzione di una nuova via di sviluppo. Aderendo alle basi strategiche di espansione della domanda interna, accelerare la costruzione di un sistema di domanda interna completo, integrare l’attuazione della strategia dell’espansione della domanda interna con l’approfondimento delle riforme supply-side, creare una nuova domanda sulla base di offerta innovativa di alta qualità”.

È necessario infatti “promuovere i consumi ed espandere gli spazi di investimento”. Il contrario dell'“austerità”, esplicitamente.

“Il Plenum ha proposto di dare priorità allo sviluppo delle aree rurali e agricole, promuovere la rivitalizzazione rurale. Continuare nel lavoro sulle “tre questioni rurali” deve essere una priorità del lavoro del Partito, seguire il percorso della rivitalizzazione rurale socialista con caratteristiche cinesi (…) Rafforzare l’uso dell’industria per rifornire l’agricoltura e usare le città per guidare le campagne, promuovere la formazione della mutua promozione tra operai e contadini”.

Il comunicato parla di “un nuovo tipo di relazione tra aree urbane e rurali, in cui queste aree sono complementari, coordinate e prospere”. Nel passaggio finale si auspica quanto segue: “arrivare a una connessione efficace tra il consolidamento e l’espansione dei risultati sulla lotta alla povertà da una parte e la rivitalizzazione rurale dall’altra”.

Il Comunicato non indica volutamente obiettivi numerici, che verranno pubblicati invece nel Piano Quinquennale completo, che sarà un documento molto complesso, e sarà bene diffidare di chi vorrà darne una lettura in tempi brevissimi.

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Oltre ai passaggi qua tradotti, vale la pena di notare alcune cose.

1) Il concetto della “doppia circolazione” introdotto questa estate entra a far parte della terminologia ufficiale della dirigenza cinese. Almeno a partire dal dodicesimo Piano Quinquennale, il riequilibrio dell’economia cinese è nelle priorità di una dirigenza che da tempo sa di non poter gestire il paese sulla base delle sole esportazioni.

Tra l’esserne consapevoli e trarne le dovute conseguenze, il passo non è automatico. L’aumento dei consumi interni e la creazione di una fascia di popolazione a medio reddito, formata da centinaia di milioni di persone – tutte cose che il documento del Plenum registra come successi – non è bastata a spostare decisamente l’asse della crescita verso la domanda interna.

Ora la dirigenza cinese punta tutto sull’alta tecnologia per creare un mercato interno che non sia solo grande, ma anche di qualità.

2) Nella terminologia rientrano anche le riforme supply-side. Un termine che nei paesi occidentali ha coperto le riforme pro-mercato, e che in Cina è tornato dai primi anni di presidenza di Xí dopo molti di assenza.

Finora le riforme “supply-side” sono andate a colpire imprese pubbliche in settori specifici (acciaio e carbone, per esempio) che non riuscivano più a stare sul mercato, imprese che appesantiscono i debiti soprattutto delle istituzioni locali.

Questo tipo di riforme sono in ogni caso recessive e la dirigenza cinese le ha compensate con altre riforme espansive. Non ci è dato sapere se questa compensazione è frutto del raggiungimento di un punto di equilibrio tra Xí e dei suoi consiglieri più stretti o se, come sostengono alcuno osservatori, sia “equilibrio precario” tra chi vuole andare molto più a fondo con le riforme supply-side – il nome generalmente indicato è quello del vice-premier Liu He – e il corpo dell’amministrazione che invece teme effetti dirompenti di riforme che intacchino il sistema di potere consolidato e la governance politica delle contraddizioni sociali.

Fatto sta che dalla crisi del Covid-19 i giornali internazionali sono tornati a battere la grancassa del rischio di insolvenza di imprese di stato e istituzioni locali.

Questo è un nodo che evidenzia come ci sia un conflitto tra due visioni che sono espressione di interessi di classe che sono riusciti a trovare una convergenza ed un output politico conseguente, ma il confine tra “razionalizzazione produttiva” e forme di vero e proprio downsizing del settore produttivo pubblico è molto labile.

3) Sull’ambiente non c’è un paragrafo dedicato, ma la questione è presente in più o meno tutti gli aspetti toccati dal comunicato. La salvaguardia ambientale è un tema che è entrato nei piani quinquennali già dal dodicesimo congresso, ora bisognerà vedere come verrà trattato nell’articolazione completa del quattordicesimo.

Meno di due mesi fa Xí Jinping ha annunciato all’ONU la volontà di programmare una Cina carbon-free entro il 2060. Considerato che a oggi la Repubblica Popolare è il maggiore consumatore mondiale di carbone – circa il 58% della produzione totale di energia del paese è derivata da carbone – il Piano dovrà contenere indicazioni molto concrete in questa direzione.

Come riporta il quotidiano cinese Global Times – che cita uno studio sulle strategie di lungo termine di Pechino per la riduzione della propria dipendenza dal carbone – il picco delle emissioni di CO2 potrebbe essere raggiunto nel 2025 per poi calare nel 2030.

“Rispetto al 2005, le emissioni di CO2 per unità di PIL in Cina sono diminuite del 48% entro il 2019, pari a una riduzione di 5,62 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, 11,92 milioni di tonnellate di emissioni di SO2 e 11,3 milioni di tonnellate di NOx. (...) Il consumo di carbone è sceso al 55,7% della produzione di energia dal 72,4% e l’energia non fossile ha rappresentato il 15,3% della produzione di energia” Afferma Xie Zhenhua, Special Advisor per le questioni attinenti al cambiamento climatico in Cina, Ministro dell’Ecologia e dell’Ambiente e Presidente dell’Istituto del Climate Change e dello Sviluppo Sostenibile all’Università di Tsinghua. In pratica la più alta autorità in materia.

4) Il Comitato centrale ha dichiarato che l’esercito cinese – una delle priorità fondamentali di Xi da quando è entrato in carica nel 2012 – è notevolmente migliorato, anche se ha promesso di fare ulteriori “passi importanti” per migliorare la sicurezza del paese. Il comitato non ha dettagliato alcun nuovo programma, ma ha chiesto “un rafforzamento completo dell’addestramento e della preparazione militare”.

Xi è tornato più volte sul tema nelle recenti apparizioni con l’Esercito Popolare di Liberazione, mentre le tensioni militari sono aumentate dall’Himalaya a Taiwan al Mar Cinese Meridionale. Il comitato ha anche chiesto una più stretta coesione civile-militare, sotto l’autorità del Partito Comunista, spina dorsale della società cinese.

“È necessario rafforzare il sistema di sicurezza nazionale e lo sviluppo delle capacità per garantire la sicurezza economica nazionale, garantire la sicurezza della vita delle persone e mantenere la stabilità e la sicurezza sociale”, ha affermato il Comitato.

Come afferma il Corrispondente di Le Monde a Pechino: “Il comunicato insiste su altre due date: 2027 e 2035. La prima data corrisponde al centenario dell’Esercito popolare di liberazione. L’obiettivo è di portare a termine ‘la completa modernizzazione dell’esercito’ entro questa data. Ma Xi Jinping non è solo presidente della Commissione militare centrale, ma ‘il pensiero di Xi Jinping per rafforzare l’esercito’, una frase finora poco usata, è apparsa nel comunicato. La ‘sicurezza’ è una delle componenti essenziali di questo 14 ° piano”.

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Qualunque sia il giudizio sullo Stato cinese, non ci si può più permettere di guardarlo con le lenti dell’“orientalismo”, del China bashing o, esagerando in direzione opposta, dell’innamoramento acritico.

Concludiamo con il giudizio sul Plenum di Julian B.Gewirtz, uno dei consulenti nord-americani sulla Cina più influenti in campo democratico e che aveva espressamente affermato la necessità di riformulare una strategia complessiva nei confronti di Pechino: “Il tono dominante è che la Cina ha grandi opportunità di crescita, per gestire il processo di disaccoppiamento a proprio favore e per stabilire i termini per la prossima fase della globalizzazione” ha dichiarato al New York Times.

“Questo è davvero un tono straordinario da ascoltare in un momento in cui non sono solo gli Stati Uniti che continuano a lottare con la pandemia”.

E se lo dice lui.

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