Com’è giusto, la rivolta di piazza di Napoli ha fatto capire chiaramente che le reazioni al nuovo Dpcm e ai contrastanti diktat delle Regioni, questa volta, non sarebbero state né blande né rassegnate.
In modo diverso tra loro, altre città e altre piazze, hanno ripreso o “copiato” quella rivolta e mandato a dire che no, questa volta le misure adottate non erano convincenti, né comprensibili, né accettabili; e le notti dei coprifuoco si sono accese di colori diversi, alcuni strumentali e detestabili, altri pienamente legittimi e promettenti.
Le piazze sociali di Napoli, Firenze, Roma, Torino, Milano sono state assai diverse dalle gazzarre organizzate dai gruppi neofascisti, guarda caso volutamente amplificate e strumentalizzate dai mass media e dalla politica. Il miglior modo di criminalizzare la protesta è attribuirne ai fascisti il “monopolio”, anche perché il fantasma della camorra – evocata con toni razzisti per la “prima” di Napoli – non poteva credibilmente coprire tutta Italia.
Adesso è chiaro che le mezze misure non sono in grado di fermare o ridurre la curva pandemica, ma sono sicuramente in grado di mettere in ginocchio economicamente troppe persone, gruppi sociali, attività e professioni. “L’economia” è fatta anche di questo, non solo di grandi multinazionali e finanza, che prosperano lo stesso, anzi di più in questi tempi.
Per fermare e ridurre i contagi – e quindi i ricoveri e i decessi – occorre fermare veramente la circolazione delle persone e questo si chiama lockdown.
Andava fatto subito, già a febbraio-marzo, nelle realtà territoriali (aree metropolitane o regioni) dove gli indicatori stavano dicendo che la situazione sarebbe finita fuori controllo. Andava fatto comunque tra settembre e l’inizio di ottobre, quando la curva pandemica ha ripreso a salire mentre qualcuno pretendeva – al contrario – di riaprire gli stadi...
Fontana, Sala o chi per loro, possono starnazzare quanto vogliono, ma se in un’area metropolitana ad alti flussi di traffico, circolazione, diffusione, non fermi tutto per un periodo, la curva pandemica non la blocchi.
Situazione analoga ormai anche in altre aree metropolitane come Napoli, Torino e ormai forse anche Roma.
Il governo ha preferito ancora una volta, così come a marzo, dare retta a Confindustria e governatori delle Regioni ed ha preso finora mezze misure che stavolta la gente non ha compreso e che anzi hanno fatto scattare la scintilla della rivolta.
Anche il nuovo Dpcm – dalla gestazione estremamente faticosa, perché la Conferenza Stato-Regioni al momento conta più del Parlamento, e ogni cacicco regionale mette se stesso davanti a tutto – non si schioda dagli stessi principi. Con in più qualche velleità eugenetica nei confronti degli anziani...
Chiudere alla 18 per rintanarsi dentro casa dopo una giornata di lavoro? Perché? Se uno si contagia per strada, come fa a non contagiarsi sul lavoro o sui mezzi pubblici, cioè in luoghi chiusi?
E poi c’è quel legittimo tarlo che s’è fatto spazio nella testa delle persone: mi dicono che devo rischiare il contagio sul lavoro o sui trasporti, ma perché non posso rischiarlo fuori dal lavoro?
I motivi li ha riassunti il vergognoso post del governatore della Liguria, Giovanni Toti. Va salvaguardato il processo produttivo e coloro che a questo sono funzionali, tutto il resto è sacrificabile su una scala diversa: dal lasciar morire gli anziani a chiudersi in casa solo dopo il lavoro.
Ma in questo crescente rifiuto, soprattutto giovanile, dell’assioma “Produci, consuma (poco), crepa”, c’è tanta roba, ancora spuria e molto confusionaria, ma c’è una potenziale rottura con la cultura capitalista dominante, anche quando ne riprende alcuni tratti caratteristici (l’individualismo esasperato, ormai in aperta contraddizione con la vita della società).
Perché è chiaro che se la priorità è fermare la diffusione del virus, occorre fermarsi e chiudere tutto quello che è necessario chiudere, per un periodo di tempo e magari, per ora, solo nei territori in cui questo diventa assolutamente necessario.
Non si può continuare a dire che “occorre fermare a tutti i costi il virus” e poi lasciare che il ciclo produttivo abbia ancora la prevalenza sulla salute pubblica. Questa contraddizione non è più accettabile e non sarà accettata.
Un lockdown ha dei costi economici e sociali? Certo, proprio per questo vanno definite e stanziate le risorse per assicurare che nelle settimane di chiusura alle famiglie arrivi il necessario.
È impossibile? NO. Ormai ci sono banche dati che indicano anche a che ora hai ordinato un pizza online. Se invece di essere sfruttate per fini commerciali e pubblicitari fossero utilizzate per avere il quadro della situazione, i Comuni e le Regioni avrebbero continuamente a disposizione il numero delle attività ferme, dei dipendenti che vi lavorano e quindi dove allocare le risorse – in denaro o aiuti alimentari, come è stato fatto a marzo.
Chi dice che un lockdown limitato nel tempo e nel territorio di applicazione, non è sostenibile, sa di dire una mezza bugia, perché se ci sono migliaia e migliaia di persone contagiate (quindi in quarantena, in attesa di tampone e addirittura ricoverate) è ovvio che per un periodo di tempo non andranno comunque a lavorare e quindi ci sarebbe lo stesso un effetto sul processo produttivo.
Anzi, più cresce la curva del contagio e più questo diventa pesante; più dura la pandemia, più l’economia tracolla.
Va rotto lo schema che ci presentano imprese, governo, media: “non si può fermare l’economia”, bisogna “convivere con il virus”, anche a costo di sacrificare una parte della popolazione “non indispensabile allo sforzo produttivo”.
Anche se non esiste ancora un vaccino efficace, e non sarà disponibile per tutti ancora a lungo, si può battere l’epidemia. L’esempio c’è e viene da Cina, Cuba, Vietnam e altri paesi.
Persino i più prevenuti inviati mainstream in Cina, tipo Guido Santevecchi del Corriere della Sera, sono costretti a descriverlo nei dettagli e nel successo.
Per un caso positivo asintomatico, nella sperduta prefettura di Kashgar, nel deserto del Taklamakan, sono stati effettuati 4,7 milioni di tamponi, su tutta la popolazione della regione, trovando in tutto “ben” 137 positivi. Pochi giorni, problema isolato, riprende la normale vita di tutti.
Qui siamo arrivati ad appena 215.000 tamponi in un giorno, in tutta Italia, e i media sono così idioti da chiamarlo “record”, invece che misura dell’insufficienza e dell'inefficienza.
Dunque, isolare e battere il virus si può già ora.
Ma serve uno Stato serio, non subordinato alle esigenze del profitto privato, un soggetto davvero “pubblico” che – come in guerra, esempio spesso fatto a pene di segugio per qualificare la situazione attuale – dispone ciò che serve, senza aspettare che “il mercato” fiuti l’affare e risponda.
Bisogna testare tutta la popolazione, nel periodo di lockdown, altrimenti il blocco temporaneo di alcune attività produttive o commerciali non servirà a niente. Giusto una pausa, per poi ripiombare nell’incubo.
Cosa serve per farlo?
– Un numero altissimo di tamponi, che vanno prodotti senza attendere che “il mercato” ce li metta a disposizione a un prezzo altissimo (più forte è la domanda, più sale il prezzo, come da manuale); per questo, come in guerra, si riconvertono d’autorità alcune linee produttive nelle aziende del settore;
– un numero corrispondente di medici e infermieri, precettando anche quelli della sanità privata, per il periodo necessario; giorni, non mesi...
– reagenti e laboratori per processare quei tamponi (non sono stati potenziati, in otto mesi di pandemia, “aspettando il mercato”);
– risorse e reddito per tutti quelli che dovranno stare fermi (per giorni, non mesi).
Costa troppo? NO. Costa infinitamente meno di quanto si è già speso fin qui, infinitamente meno di quanto si è perso finora in termini di produzione, commercio, turismo, ecc.
È impossibile? Solo fin quando accetteremo di vivere e farci “consumare” da un sistema che mette il profitto di pochi davanti al benessere di tutti. Un sistema che – ormai sta diventando ogni giorno più evidente – non funziona più nemmeno per i propri scopi.
Infatti, non solo non riesce a “proteggere la salute della popolazione” – non è mai stato il suo obbiettivo, del resto – ma non riesce neanche più “a far crescere l’economia”.
Non è un problema italiano, nonostante qui ci sia forse la peggiore classe dirigente del “mondo industrializzato”. In tutta Europa, è lo stesso, e negli Usa anche peggio. Quindi è chiaramente “il sistema” a rappresentare il vero problema, non le sciocchezze di Tizio o Caio.
Quando il malessere sociale tirerà le stesse conclusioni, avremo molte più soluzioni a portata di mano... Dipende da noi.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento