Da un recente report firmato da PWC e UBS, due società che svolgono prevalentemente attività di analisi finanziaria, emerge come la ricchezza sia sempre più concentrata nelle mani di pochi,
pochissimi. Infatti, si legge nel report, nel mondo vi sono ad oggi
2.189 persone che hanno una ricchezza che supera il miliardo di dollari.
Una ricchezza complessiva, quella dei supermiliardari, che ha sfondato
quota 10.000 miliardi di dollari nel 2020, superando il precedente
record del 2017, quando si attestava ad un valore poco inferiore ai
9.000 miliardi di dollari. Particolarmente significativo, da aprile a
luglio gli ultra-miliardari hanno aumentato la loro ricchezza del 27,5%:
in piena emergenza sanitaria, mentre si moriva anche per mancanza di
respiratori, mentre lavoratori e disoccupati faticavano ad arrivare alla
fine del mese a causa del lockdown, qualcuno si arricchiva,
a dimostrazione del fatto che non siamo tutti sulla stessa barca:
viviamo in una società spaccata in due dalle disuguaglianze economiche.
A far da eco, secondo l’ultima analisi
dell’Institute for Policy Studies elaborata sulla base delle
classifiche di Forbes e Bloomberg, dalla metà di marzo ad oggi la
dozzina di uomini più ricchi degli Stati Uniti, la cui ricchezza era già
arrivata a livelli record a inizio anno, ha visto i propri patrimoni
aumentare di ben 283 miliardi, una crescita del 40%. Non molto diverso
lo scenario in Italia: infatti, i miliardari italiani sono aumentati a
40, registrando quattro new entries rispetto a luglio 2019,
quando erano 36, di cui due terzi uomini. Ma soprattutto, se nel 2019 il
totale della ricchezza dei ‘paperoni’ era diminuito del 12%, a 125,6
miliardi di dollari americani, in poche settimane – tra aprile e luglio
2020 – i loro patrimoni hanno compiuto un balzo del 31%, a 165 miliardi
di dollari.
Per rendere più chiaro il significato
di tutti i numeri forniti finora si pensi che, nel Global Wealth Report
del 2019, Credit Suisse stimava come l’1% più ricco della popolazione mondiale detenesse il 44% della ricchezza planetaria, mentre,
al contrario, il 56,6% della popolazione avesse un patrimonio inferiore
ai 10.000 dollari, rappresentando appena il 2% della ricchezza
complessiva. Cifre spaventose che raccontano come la disuguaglianza, tra
paesi e all’interno degli stessi paesi, stia crescendo a ritmi
vertiginosi negli ultimi anni. Un’accelerazione, si badi bene, perché in
realtà l’aumento della disuguaglianza è un fenomeno ormai tristemente
noto dalla seconda metà degli anni ‘70 dello scorso secolo. Proprio in
quegli anni il conflitto per la distribuzione della ricchezza prodotta,
la lotta di classe, vedeva i lavoratori soccombere ad una nuova
offensiva del capitale organizzata intorno al progetto politico neoliberista della globalizzazione, un progetto che alle nostre latitudini abbiamo avuto modo di sperimentare nella forma del processo di integrazione europea.
La disuguaglianza fotografata da questi dati, dunque, è il portato
inevitabile di un disegno di società che fonda la ricchezza di pochi
sulla povertà di molti.
Eppure, anche se siamo ormai abituati
ad osservare come i ricchi diventino sempre più ricchi, qualcosa sembra
turbarci più del solito. Questo straordinario accrescimento del
patrimonio dei più ricchi si registra proprio durante i mesi in cui la
pandemia da Covid-19 ha stravolto le nostre vite, rendendole ancora più
precarie. Molti, moltissimi hanno perso il lavoro. Nel mondo, sempre
secondo il report di PWC e UBS, si è avuta una perdita di 3.500 miliardi
di redditi da lavoro. Restando in Italia, in un documento del Ministero di Economia e Finanza,
a giugno – e dunque si consideravano soltanto i mesi di marzo e aprile –
è stata stimata, per i dipendenti, una perdita di reddito lorda
potenziale in assenza di misure compensative pari a 21,7 miliardi,
ridotta a 11,4 miliardi per effetto della CIG e del bonus per gli
autonomi.
I dati ci mostrano come questa
pandemia non abbia affatto un “potere livellatore”, come molti
sembravano suggerire. Gli effetti del virus si abbattono, fisicamente ed
economicamente, in particolar modo sulle classi sociali più povere.
Negli Stati Uniti, ad esempio, una ricerca del
APM Research Lab mostra come la Covid-19 abbia un impatto molto diverso
a seconda dell’etnia. In particolare, gli afro-americani risultano
essere quelli più colpiti mentre i bianchi sono quelli meno colpiti.
Ovviamente, la maggiore incidenza sui primi è il risultato della povertà
relativamente più diffusa tra quei gruppi etnici. Ancora più efficace è
il dato che riguarda, sempre negli Stati Uniti, i lavoratori colpiti da
Covid-19. Ad esempio, Amazon – di cui è proprietaria proprio la persona
più ricca del mondo, quel Jeff Bezos che ha appena superato i 200 miliardi di dollari di patrimonio – ha dichiarato che, soltanto negli Stati Uniti, quasi 20.000 dipendenti hanno
contratto il virus da marzo ad oggi. Proprio durante la pandemia,
Amazon ha registrato un grande incremento dell’attività che ha permesso
al suo proprietario di accumulare grandi ricchezze, a discapito della
salute dei lavoratori. Inoltre, sempre negli Stati Uniti, circa 1.000 lavoratori impiegati nel settore della sanità hanno perso la vita e
la maggior parte di essi erano immigrati. Un terzo dei morti non aveva
una protezione adeguata. Ecco l’altra faccia della medaglia di questa
enorme ricchezza che continua ad accumularsi: miseria, povertà ed oggi –
nel drammatico contesto della pandemia – persino la morte diventano il
presupposto materiale necessario a garantire il lusso di pochi.
Prendiamo come riferimento gli Stati
Uniti, non a caso, perché rappresentano con maggior trasparenza il
sistema economico-sociale che c’è dietro la disuguaglianza economica. È
nella natura stessa del capitalismo produrre disuguaglianza, perché il
capitalismo si fonda sulla disuguaglianza e di essa si nutre per essere
ancora più forte. La Covid-19 ha semplicemente mostrato come
l’orientamento liberista, ormai generalizzato a livello globale, non
soltanto non sia in grado di proteggere i più deboli, ma addirittura li
rende sempre più deboli perché è dalla loro vulnerabilità che deriva
quella infinita accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi.
D’altronde, l’analisi di Oxfam e Development Finance International
(DFI), pubblicata pochi giorni fa, rivela come prima dello shock
pandemico solo 26 dei 158 paesi analizzati destinavano un livello di
risorse adeguate alla sanità pubblica, stimabili nel 15% della spesa
pubblica totale. Inoltre, agli inizi della diffusione globale della
pandemia in 103 paesi almeno un lavoratore su tre non godeva di diritti e
tutele essenziali come l’indennità di malattia.
I lavoratori sono molto più esposti al rischio contagio,
stretti dal ricatto salute-lavoro costruito ad artificio dalla classe
capitalista come se fosse un destino ineluttabile. Quando poi il virus
colpisce alcuni rappresentanti della classe dominante, abbiamo visto
come, grazie alle risorse economiche a loro disposizione, il trattamento
sanitario sia molto diverso nei loro confronti: reparti completamente
riservati, o addirittura cliniche, e macchinari all’avanguardia. Per combattere il virus, dunque, servono risorse economiche:
in un mondo in cui le risorse economiche sono concentrate nei conti di
pochi individui, la stragrande maggioranza della popolazione si ritrova
ad essere sovraesposta al rischio pandemico. Questa sovraesposizione va
però inquadrata per quel che è: non un dato di natura, bensì il frutto
avvelenato della nostra organizzazione sociale.
Sebbene la Covid-19 colpisca anche attori, calciatori, politici e celebrità varie, non dobbiamo farci ingannare. Il virus non colpisce tutti allo stesso modo:
è la classe lavoratrice, occupata o meno, ad essere il bersaglio
preferito di questa pandemia. Teniamolo a mente quando sentiamo gli
strali di Confindustria per il blocco dei licenziamenti, quota 100 o il
Reddito di Cittadinanza o perché non vuole rinnovare i contratti
collettivi. Teniamolo bene a mente ora che ci dicono che, data la
situazione, non abbiamo il diritto di scioperare o manifestare.
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