L’Unione Europea, attraverso la Francia, sta giocando una partita importante, contro vecchi e nuovi rivali: Stati Uniti, Cina, Russia, Turchia e Paesi del Golfo.
Ma la “politica francese” in Africa se da un lato cerca di consolidare i pilastri storici della sua presenza, si sta proiettando anche oltre al suo tradizionale giardino di casa, mantenendo una notevole presenza militare ed un esteso teatro operativo in Sahel, formalmente per la “lotta al jihadismo”, in cui impiega droni, caccia, elicotteri.
Al suo dominio, in epoca post-coloniale nella Françafrique, affianca ormai un tentativo di penetrazione in altri Paesi, ex colonie portoghesi e britanniche: si pensi ai progetti di sfruttamento offshore in Mozambico – una delle maggiori riserve di gas stimate al mondo – o alla East Africa Crude Pipe Line, tra Uganda e Tanzania, quasi 1500 km di conduttura, unica nel suo genere.
Come riferisce l’indagine del «Financial Times» che abbiamo tradotto:
«Un’inchiesta dell’anno scorso riguardo al rilancio della presenza economica in Africa dei ministeri degli esteri e delle finanze, ha evidenziato che la quota di mercato francese nel commercio con il continente si è dimezzata al 5,5% tra il 2000 ed il 2017 – la Francia esporta più del doppio, fino ad arrivare a 28 miliardi di dollari all’anno, ma il mercato si è quadruplicato nel frattempo – considerata la competizione della Cina e di altri rivali.
Da allora, la Francia ha annunciato una serie di accordi al di fuori dei suoi vecchi “territori di caccia”, che includono contratti da più di 2 miliardi per trasporto e infrastrutture in Kenya, ed un contratto per la francese Axens per aiutare la costruzione di una nuova raffineria di petrolio in Nigeria, con una capacità di 200.000 barili al giorno.»
Diminuisce quindi in proporzione il peso della Francia rispetto ad altri attori, ma aumenta il suo volume di investimenti, e si estende.
Il consolidamento della sua presenza avviene anche avallando processi politici ben poco “democratici” – per usare un eufemismo – come le recenti elezioni del 18 ottobre in Guinea e quelle del 31 in Costa d’Avorio, entrambe contestate dall’opposizione (che in parte le ha boicottate) e dentro un quadro di violenze e di feroce repressione che non trova spazio nei media occidentali.
Anche in questo caso, lì dove ad essere in discussione sono i propri “figli di puttana” – per parafrasare Kissinger – è meglio non parlarne, alla faccia della retorica sulla trasparenza elettorale ed i diritti umani strombazzata in altri contesti.
In Guinea, per il suo “terzo mandato” dopo una discussa e poco trasparente riforma costituzionale, è stato eletto Alpha Condé, sebbene lo sfidante Cellou Dalein Diallo – che ha scelto la via elettorale a differenza del resto dell’opposizione schierata per il boicottaggio – si fosse proclamato vincitore.
La Commissione Elettorale ha “certificato” la vittoria di Condé il 7 novembre, con poco meno del 60% dei voti contro i poco più del 33% dello sfidante. In questo importante paese, tradizionale alleato francese con legami economici sempre più stretti con la Cina, la situazione rimane ancora instabile, anche per la reale consistenza dell’opposizione politica e la sua capacità di mobilitazione, dimostrata negli ultimi anni.
In Costa d’Avorio, mutatis mutandis, la situazione è la stessa.
Lì il Consiglio Costituzionale aveva confermato il “plebiscito” in favore di Alessane Outtara, con più del 90% dei voti, con l’opposizione che aveva avuto un ruolo di boicottaggio attivo in un quadro di violenza che ha fatto più di un ottantina di morti, circa 5 mila seggi elettorali presi d’assalto o invasi da un’opposizione che aveva gridato allo scandalo dopo l’estromissione dei suoi principali leader dalle elezioni.
Difficile pensare a come Outtara, al suo terzo contestato mandato, possibile grazie ad una interpretazione piuttosto arbitraria e bizzarra della riforma costituzionale del 2016, possa “riconciliare il Paese”, come ha recentemente affermato.
Se la Francia rimane la voce più ascoltata ed il principale “alleato”, in Costa d’Avorio agiscono altri attori: il Marocco, il Qatar alleato della Turchia, oltre alla Cina.
A Port-Bouët, infatti, vi è una base militare francese che è la principale piattaforma logistica per l’operazione “Barkhane”, in cui la Francia impiega più di 5 mila uomini sul terreno e che sarà di fatto il laboratorio di prova dei prodotti per l’industria di difesa europea.
In generale l’Esagono, così come l’Unione Africana e la Comunità di Stati dell’Africa dell’Ovest (Cédéao), vorrebbero evitare che si ripeta una situazione che gli sfugga anche parzialmente di mano, com’è avvenuto con lo “strano” colpo di Stato in Mali dell’agosto di quest’anno.
In questo Paese, una giunta di “militari patriottici” (CNSP) ha destituito il Presidente Ibrahim Boubacar Këita (“IBK”) e sciolto gli organismi “eletti”, dopo mesi di mobilitazioni condotte dalla composita coalizione di forze d’opposizione (M5-RFP). La quale ha in un primo momento salutato positivamente l’azione dei militari, ma ne ha poi messo in rilevo i limiti di partecipazione nel processo di transizione avviato, finora saldamente in mano alla giunta.
La storia recente dell’Africa è costellata da situazioni di instabilità interna dei Paesi – e da difficili e per nulla lineari processi di transizione, dopo prolungate mobilitazioni popolari (Algeria, Sudan e Mali) e da cangianti equilibri geopolitici in un mondo a tutti gli effetti sempre più multipolare.
Non può stupire, per esempio, che la prima delegazione diplomatica incontrata dai “golpisti” maliani sia stata quella russa, considerato che una parte dell’opinione pubblica vede come fumo negli occhi la presenza francese in Mali – incapace di risolvere il cancro jihadista – e vede positivamente la Federazione Russa, che ha attivamente contribuito alla lotta al terrorismo islamico, tra l’altro in Siria.
Come non può stupire l’annuncio della costruzione, proprio da parte della Russia, di una futura base navale in Sudan, a Port Sudan, che potrà ospitare 300 tra civili e militari, 4 navi tra cui i mezzi a propulsione nucleare, e che diventerà un importante hub logistico affacciato sul Mar Rosso. Un accordo che fa avanzare la già precedente cooperazione in ambito militare.
Sembrano non esserci quindi rendite di posizione realmente inscalfibili, nel continente, né immodificabili assetti di potere legati agli uomini-simbolo dell’“Africa Francese”, considerato il livello dello scontro tra blocchi e la dinamicità della situazione.
Questa ha precise conseguenze anche sulle nutrite e stratificate comunità di immigrati provenienti dall’Africa nella vecchia Europa e su un ceto politico-intellettuale fatto di giovani che trovano nel pan-africanismo e negli autori di una vera indipendenza nazionale una nuova aspirazione.
Del resto le promesse di “nuovo corso” nei rapporti tra Francia ed Africa si sono dimostrate evanescenti, come registra l’articolo del quotidiano britannico.
Buona lettura.
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Perché Macron ha difficoltà a ridefinire i legami con l’Africa
Perché Macron ha difficoltà a ridefinire i legami con l’Africa
In un suo discorso tenuto nel 2017 all’Università di Ouagadougou, nello stato africano del Burkina Faso, Emmanuel Macron ha annunciato la fine di quella che era conosciuta come Françafrique, strategia francese per esercitare un’influenza militare, politica ed economica sulle sue ex-colonie nel continente.
Il presidente francese, eletto appena sei mesi prima, dichiarò: “Non sono venuto qui a dirvi qual è la politica francese rispetto all’Africa, come hanno fatto altri, perché la Francia non ha più una cosiddetta ‘politica per l’Africa’”. Ha quindi annunciato un fondo da mille miliardi per le piccole aziende e l’accattivante promessa di restituire le opere d’arte africane rubate alla loro casa originale.
Macron non è stato il primo presidente francese ad annunciare una svolta nel suo paese, per poi spesso far degenerare i rapporti con i vecchi territori in Africa. Ma Macron, allora trentanovenne, ha sostenuto appassionatamente che lui sarebbe stato l’uomo che avrebbe rotto con il torbido sistema del passato, in quanto troppo giovane per conoscere quel tempo in cui i paesi africani erano ancora colonie europee.
Tutta via, dopo tre anni, a molti sembra proprio che i buoni propositi del presidente si siano spenti, lasciando le truppe francesi impelagate in una guerra contro il terrore islamico nel Sahel, e i suoi diplomatici invischiati nelle difficili politiche di territori un tempo coloniali ancora ricchi di risorse, come la Guinea e il Mali.
In Costa d’Avorio, nell’Africa dell’ovest, Macron è stato accusato di intrusione politica in prossimità delle elezioni in cui Alassane Outtara è alla caccia di un controverso terzo mandato – anche se gli ufficiali francesi giustificano la loro implicazione come volontà di avvertire riguardo all’incostituzionale prolungamento del periodo della carica e per raccomandare la posticipazione per evitare minacce di violenza.
Questo genere di problemi minaccia di oscurare i segni di progresso nel tentativo di Macron di lasciarsi alle spalle il bagaglio coloniale: questo mese, l’Assemblea Nazionale francese ha fatto passare una legge per la restituzione entro un anno, al Benin e al Senegal, di 27 opere d’arte provenienti da due musei parigini, onorando la promessa fatta da Macron sul patrimonio rubato.
Lui ed i suoi ministri hanno anche fatto progressi nel corteggiare paesi non francofoni, fuori dalla sfera di influenza di Parigi – ottenendo nel frattempo dei grandi contratti infrastrutturali.
Il cambio di rotta di Macron, tuttavia, non è stato convincente per alcuni osservatori africani. “La Françafrique è viva e vegeta, e questo è il motivo per cui la gente ritiene che Macron non abbia cambiato niente se non le parole”. Così si esprime il politico d’opposizione senegalese, Abdoulaye Bathily, che indica Ouattara e Machy Sally, presidente del Senegal, come galoppini della Francia.
Aggiunge: “Oggi, a causa della questione sulla sicurezza nel Sahel, c’è molto più risentimento verso la Francia di prima”.
Legami post-coloniali
Il commento di Bathily evidenzia i due più scoraggianti ostacoli all’ambizione di Macron di modernizzare le politiche francesi ed il commercio nella regione – dove compete tanto con antichi rivali, come il Regno Unito, quanto con i nuovi, come Cina, Russia e Turchia – e di migliorare la sua immagine tra i giovani e la popolazione africana.
Primo ostacolo è l’intensificazione della missione militare nel Sahel, da alcuni chiamato “Afghanistan francese” – con fastidio da parte dei consiglieri di Macron. Sono più di 5,000 le truppe francesi impegnate nel più grande conflitto del paese fin dalla guerra di indipendenza dell’Algeria sotto la presidenza di Charles de Gaulle.
L’operazione Barkhane si distende per 4,000 Km, dalla costa atlantica, attraverso Mauritania, Mali, Burkina Faso, Nigeria e Chad con l’impegno a combattere al-Qaeda e l’Isis, nel semideserto sud del Sahara.
Macron insiste che lo sforzo è essenziale per tenere il terrore islamico fuori dall’Europa, ma l’operazione è soffocata da diverse problematiche. Gli esponenti francesi lamentano privatamente la corruzione e il cattivo governo in paesi come il Burkina Faso, mentre nel Sahel accusano Parigi di uno stile di governo fortemente paternalistico. Anche i cinque paesi che sono parte dell’operazione sono indecisi rispetto alla presenza delle truppe francesi sul suolo africano.
L’instabilità nel nord della Libia, a seguito l’intervento che ha determinato il rovesciamento di Gheddafi nel 2011, è un altro fattore. Inoltre, la maggior parte dei paesi europei alleati francesi sono riluttanti all’impiego di ulteriori risorse nel conflitto del Sahel.
L’ultimo colpo per Macron nella regione è arrivato quando l’esercito del Mali ha deposto il presidente Ibrahim Boubacar Keita – alleato francese, o comunque una figura rispettata – in un colpo di stato ad agosto. Macron ha chiesto un rapido ritorno ad un governo civile. Solo nel Mali, lo scorso anno, sono state uccise 4.000 persone coinvolte nei combattimenti tra milizie locali e gruppi associati ad al-Qaeda ed Isis.
Secondo Parigi il Mali non dovrebbe negoziare con i gruppi jihadisti, nonostante il diffuso sostegno all’idea tra i maliani, stanchi della violenza. Dovendo affrontare la minaccia alla sicurezza e la pandemia da Coronavirus, il Mali, come altri paesi del Sahel, sono così poveri che le Nazioni Unite stimano che 13 milioni di persone abbiano bisogno ora di aiuto urgente.
François Galume dell’Ifri, l’Istituto Francese per le Relazioni Internazionali, ritiene che le decisioni di Macron di mandare un altro centinaio di truppe per sostenere l’Operazione Barkhane, sottolinea quello che lui vede come un pericoloso cambiamento nell’importanza della Françafrique dalla sfera commerciale a quella militare.
Galume afferma: “La Francia è molto brava a mandare truppe in Africa, ma non a mandarci investitori. Le rivendicazioni di Macron erano ‘il colonialismo è finito’ e ‘Sono nato dopo il colonialismo’, tuttavia è molto impegnato con le relazioni postcoloniali”.
Una questione non conclusa
Ulteriore ostacolo al tentativo di Macron di ridefinire la Françafrique è la determinazione di alcuni “vecchi elefanti” che amministrano le ex-colonie nel restare al potere, a qualsiasi costo. Le obiezioni sollevate dalla loro stessa popolazione o da rappresentanti francesi sembrano avere ben poco impatto su questi “uomini forti”.
Macron ha anche ospitato il settantottenne Ouattara – eletto e istallato come presidente della Costa d'Avorio una decina di anni fa, con il supporto delle truppe francesi che lo hanno aiutato a cacciare il suo rivale, Laurent Gbago – per un pranzo all’Eliseo lo scorso settembre. Tuttavia, non è riuscito a convincere il presidente Ouattara a rimandare le elezioni.
La Francia ospita la diaspora africana di milioni di persone, dal nord, ovest e centro del continente, mentre Parigi resta un nodo focale per l’élite francofona africana. Guillaume Soro, vecchio leader dei ribelli ivoriani ed ex-primo ministro di Ouattara, ha usato la stanza Versailles del lussuoso hotel Le Bristol, vicino all’Eliseo, per denunciare a settembre il presidente e dichiarare che l’elezione non ci sarebbe stata poiché egli è stato ingiustamente squalificato. Soro, infatti, è stato condannato ad aprile, in contumacia, a 20 anni per appropriazione indebita.
Soro ha continuato: “La Costa d’Avorio è sul margine dell’abisso”. Secondo le Nazioni Unite, almeno 20 persone sarebbero morte durante scontri per le elezioni nel paese un tempo guidato dal francofilo Félix Houphouët-Boigny, dall’indipendenza nel 1960 fino alla sua morte nel 1993.
La Costa d’Avorio e il Mali non sono però gli unici due paesi che hanno sperimentato il tentativo di innovazione di Macron. Anche in Guinea, l’ottantaduenne presidente Alpha Condé ha riscritto la costituzione per poter ottenere un terzo mandato. Egli è stato dichiarato vincitore delle elezioni dopo il primo round del 18 ottobre, tra l’accusa di frode e violenti scontri fra sostenitori dell’opposizione e le forze dell’ordine, che hanno causato 21 morti.
In Togo, Faure Gnassingbé, ultimo rampollo della dinastia che ha governato per più di 50 anni, deve fronteggiare un governo rivale, in esilio a seguito di un’altra elezione contestata.
“Abbiamo portato avanti questa nuova politica per tre anni. È una questione ancora non conclusa, ma almeno stiamo cambiando le prospettive”. Così si esprime un alto funzionario vicino a Macron, che conclude: “ma è difficile quando ci sono sempre novità rispetto al terrorismo, colpi di stato militari, presidenti che iniziano terzi mandati e dittatori difficili da cacciare”.
Vista da Parigi, se non da altre città nel continente, la relazione tra Francia e Africa è diversa dalla vecchia Françafrique. Dopo l’invasione nazista della Francia nel 1940, de Gaulle scappa a Londra, ma Brazzaville nel Congo francese è diventata la capitale della Francia Libera.
Durante la rapida decolonizzazione in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, de Gaulle, attraverso Jacques Foccart a capo del “reparto africano” all’Eliseo, ha mantenuto strette relazioni militari e politiche con le ex-colonie francesi.
Ugualmente ha fatto il suo successore. Sotto Valéry Giscard d’Estaing, la Francia ha provveduto a finanziare la sfarzosa incoronazione di Jean-Bédel Bokassa come imperatore dell’Africa centrale nel 1977, solo per poter mandare lì le proprie truppe con cui rovesciarlo e sostituirlo, due anni dopo, con suo cugino.
Pascal Airault e Jean-Pierre Bat, in Françafrique: Secret Operations and Affairs of State, scrivevano: “Nessun presidente francese ha mai voluto lasciar andare quel potere esclusivo in Africa, genuino DNA della presidenza durante la Quinta Repubblica”.
Inoltre, il clima è gradualmente cambiato. In un momento in cui molti giovani africani sono fortemente contrari a qualsiasi accenno di neocolonialismo, è difficile immaginare un leader africano che ripeta il mantra dell’interdipendenza scandito da Omar Bongo del Gabon nel 1996: “L’Africa senza la Francia è una macchina senza guidatore, la Francia senza l’Africa è una macchina senza benzina”.
Momar Nguer, presidente di Total e capo della federazione Africa per le aziende francesi MEDEF, ritiene che molti giovani africani siano seccati dall’atteggiamento europeo ostile ai migranti africani, come da un periodo coloniale che non hanno mai sperimentato.
Nguer afferma: “C’è un presidente francese nato dopo l’Indipendenza ed anche in Africa ci sono capi di stato nati dopo l’Indipendenza. La relazioni tra le due parti è ora più sincera e diretta. Ci sono meno problemi di eredità, meno colpe”.
Trovare nuovi partner
Macron può, tuttavia, mostrare qualche successo recente. Tra questi, la diminuzione della tensione anti-coloniale rispetto alla valuta della regione, il franco CFA (comunità finanziaria africana). Un anno fa, stando accanto a Ouattara ad Abidjan, annunciò la fine del franco CFA usato in 8 nazioni dell’Africa occidentale.
Alla fine, quel processo di distacco si è bloccato, in parte a causa di un dibattito sull’“eco”, nome della valuta alternativa proposta, e in parte perché alcuni dei paesi che adoperano il franco sono preoccupati per l’instabilità se la relazione con l’euro venisse indebolita. La Francia, però, ha fatto due importanti cambiamenti simbolici, lasciando perdere la richiesta che metà delle riserve finanziarie fossero tenute a Parigi e indietreggiando sulla sua rappresentanza alla banca centrale della regione.
Macron ha inoltre restaurato il rapporto della Francia con il Ruanda ed il suo influente presidente, Paul Kagame – benché questo comporti problemi diplomatici legati alla reputazione autoritaria del leader ruandese.
Il Ruanda ha sostituito la lingua francese con quella inglese, ha demolito il centro culturale francese a Kigali ed ha preso parte al Commonwealth, il gruppo che collega il Regno Unito con la maggior parte delle sue ex-colonie.
Macron, però, ha convinto Kagame rilasciando dei documenti riguardo al presunto coinvolgimento della Francia nel genocidio del 1994, e scegliendo la ruandese Louise Mushikiwabo per il posto di segretario generale dell’Organizzazione Internazionale della Francofonia, comprendente 88 paesi in cui si parla francese – di cui la maggior parte territori un tempo coloniali – simile al Commonwealth.
Secondo Macron: “Mushikiwabo è genuinamente interessato a voltare pagina sulla relazione tra la Francia e l’Africa”. Nonostante lei aggiunga un avvertimento: “Un presidente da solo non è sufficiente. Non sono sicura di chi altri del sistema francese sia d’accorso con lui. Alcune vecchie abitudini sono dure a morire”.
L’intenzione del presidente per distinguere gli interessi commerciali francesi in Africa dai tradizionali e relativamente piccoli mercati francofoni, è un’altra iniziativa che sembra dare i suoi frutti.
Frank Riester, ministro del commercio internazionale afferma: “È un nuovo traguardo nella relazione tra Francia e i diversi paesi dell’Africa. Non si tratta di dimenticare o negare una storia comune, ma di lavorare con i paesi che sono potenziali partner per il futuro, qualunque siano gli antecedenti”.
Un’inchiesta dell’anno scorso riguardo al rilancio della presenza economica in Africa dei ministeri degli esteri e delle finanze, ha evidenziato che la quota di mercato francese nel commercio con il continente si è dimezzata al 5,5% tra il 2000 ed il 2017 – la Francia esporta più del doppio, fino ad arrivare a 28 miliardi di dollari all’anno, ma il mercato si è quadruplicato nel frattempo – considerata la competizione della Cina e di altri rivali.
Da allora, la Francia ha annunciato una serie di accordi al di fuori dei suoi vecchi “territori di caccia”, che includono contratti da più di 2 miliardi per trasporti e infrastrutture in Kenya, ed un contratto per la francese Axens per aiutare la costruzione di una nuova raffineria di petrolio in Nigeria, con una capacità di 200.000 barili al giorno. La Total è una delle tante compagnie straniere coinvolte nell’investimento di 50 miliardi di dollari in progetti sul gas naturale liquido nel Mozambico, ed ha firmato un accordo di sicurezza per aiutare il governo a proteggere gli impianti energetici nelle vecchie colonie portoghesi.
Realtà politiche
Nonostante questi segni di cambiamento, Macron si sta sforzando di cancellare l’impressione che la nuova Françafrique sia poco meno di un cambiamento di nome. La sua amministrazione ed altri sotto ancora, affrontano facilmente continue minacce alla sicurezza e disaccordi politici nelle ex-colonie francesi, che nonostante i più grandi sforzi, sono fuori dal controllo a lungo termine di Parigi.
La repressione interna della Francia contro l’islamismo radicale a seguito dell’omicidio di un insegnante a Parigi ha portato a un boicottaggio dei prodotti francesi in alcuni paesi del Medio Oriente; Parigi spera che i paesi africani con una considerevole popolazione musulmana non seguano la stessa strada.
“La Francia è in un vicolo cieco qualunque cosa faccia”, dice Caroline Roussy, ricercatrice africana presso Iris, l’Institute of International and Strategic Relations. Dice che i nuovi approcci di Macron per trattare con i pungenti leader africani non hanno sempre avuto successo e sarà necessaria una strategia più intelligente.
“Si scontra con la sua stessa personalità e le realtà che non riesce a gestire... Ad un certo punto dobbiamo porre fine a questa malsana relazione Francia-Africa”.
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