Con la faticosa vittoria di Biden abbiamo di nuovo la solita Amerika. Quella contro cui mezzo mondo si batte da 75 anni, mentre l’altra metà sta sotto il suo non gentile tallone (i passaggi dall’una all’altra condizione sono stati ovviamente molti, e tutti piuttosto noti).
L’Amerika di Trump, in quattro anni, ha mostrato un volto ancora peggiore e dunque – come spiega anche un palestinese come Bassam – “un sorriso” deve giustamente attraversare la nostra faccia.
Non di più e non per tanto tempo, però.
Per due ordini di motivi, in attesa di un’analisi più circostanziata.
Si tratta di un “ritorno al passato” che dunque ripropone i vecchi schemi che avevano prodotto e permesso l’ascesa del trumpismo, quel misto di suprematismo dichiarato, fascismo semi-palese, maschilismo prevaricatore, razzismo e mille altri orrori, uscito allo scoperto con Orange Man alla Casa Bianca (tracimando fino al “salvinismo” di casa nostra).
Quell’Amerika non scompare con la fuoriuscita – e vedremo in che forma potrà avvenire – dell’inquilino che ancora siede alla Casa Bianca. Come scrivono anche analisti di area Confindustria, “Il Trumpismo ormai scorre nelle vene dell’America”. Il dentifricio è uscito dal tubetto, e di solito non si può rimetterlo dentro.
Tanto più che la sconfitta elettorale è avvenuta di un soffio, sì, ma solo grazie alla presenza di una lista ancor più di destra, quella del Libertarian Party per Jo Jorgensen president.
La semplice analisi del voto negli Stati-chiave, fatta con sollevata ironia da un americanista progressista come Alessandro Portelli su il manifesto, mostra che senza quella “concorrente sullo stesso terreno” il risultato finale si sarebbe probabilmente rovesciato, consegnando agli statunitensi e al mondo four more years di quel disgraziato col ciuffo.
Insomma, quell’Amerika profonda, rurale (l’analisi dei voti mostra che persino negli Stati trumpiani le città maggiori hanno votato per Biden e, simmetricamente, anche negli stati “democratici” le campagne hanno scelto Trump), continuerà a pretendere di comandare. E si radicalizzerà nel pretenderlo.
Anche perché fin dal primo momento la strategia democrats dichiara di volere un compromesso, un rappresentare anche quegli interessi, coinvolgendo le figure meno radicali di quell’area ultra-reazionaria addirittura nel futuro governo.
In secondo luogo, sarà bene guardarsi in faccia anche “a sinistra”, nel nostro come in altri paesi “non americani”. Così come, passata la festa, avverrà nei movimenti made in Usa, da Black Lives Matter ad Antifa.
Abbiamo di nuovo davanti il vecchio nemico, non un “nuovo amico”.
E non mancherà di farcelo capire molto presto. Dategli il tempo di insediarsi e vedrete.
Per esemplificare con qualche dettaglio in più le due ragioni, vi proponiamo qui l’articolo di Sandro Portelli e la riflessione di Vincenzo Morvillo.
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Biden ha vinto, che sia benedetta Jo Jorgensen
Biden ha vinto, che sia benedetta Jo Jorgensen
Una notazione più che marginale. Noi siamo talmente abituati a pensare al sistema politico americano come perfettamente bipartitico che non facciamo caso all’esistenza di “terzi partiti” con minicandidati che prendono percentuali irrisorie (più o meno quelle che prendevamo noi negli anni ‘70) – che però, in un sistema uninominale secco, possono avere un impatto non irrilevante.
Guardiamo gli ultimi stati in cui Biden ha finalmente scavalcato Trump, con nostro infinito sollievo, e allarghiamo la prospettiva. Georgia: Joe Biden 2.461.455 voti; Donald Trump, 2.454.207; Jo Jorgensen, 61.792. Pennsylvania: Biden, 3.337.069; Trump, 3.308.192; Jorgensen 77.116. Lo stesso in Wisconsin: Biden ha circa ventimila voti più di Trump, e Jorgensen ne ha presi 38.415. In Arizona, il margine è di trentamila voti, e Jorgensen ne ha 47.632. In Nevada è stato così per molte ore, poi la forbice si è allargata.
In tutti e tre i casi, dunque, i voti andati a Jo Jorgensen, candidata del Libertarian Party (che in Usa vuol dire un partito sostanzialmente di destra radicale), sono di più del margine di vantaggio di Biden su Trump.
Certo, non è affatto detto che, se non ci fosse stato il Libertarian Party, questi voti “dispersi” sarebbero andati tutti a Trump, e comunque i margini possono cambiare nel seguito dei conteggi. Ma è qualcosa su cui fermarsi a ragionare un momento.
Arizona, Wisconsin, Pennsylvania e Georgia hanno un totale di 57 voti elettorali; c’è la possibilità che alla fine l’esito positivo di questa fondamentale elezione dipenda anche dalla presenza iperminoritaria di una candidatura “di disturbo” a destra: per una volta, sono loro a dividersi.
Questo non rende la vittoria di Biden meno legittima: ha vinto nettamente nel voto popolare, anche se non sempre nel sistema americano questo basta. Piuttosto, direi che questi dati la fanno apparire ancora più preziosa: è un segno di quanto siano presenti nel paese visioni del mondo, della società e della politica che abbiamo corso il rischio di veder restare al potere o nei suoi dintorni per altri quattro anni.
Che Dio benedica Jo Jorgensen!
Alessandro Portelli
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Compagni ma che cazzo esultate? Biden è il nemico!
Compagni ma che cazzo esultate? Biden è il nemico!
In un’intervista al Washingtonian del 1972, Biden spiegava di essere «liberal in tema di libertà civili e conservatore quanto ad aborto ed esercito». Dunque, è ideologicamente contro l’aborto e parecchio militarista. (Va sottolineato l’anno, di questa dichiarazione: si era al culmine, anche negli States, dei movimenti nati sull’onda del Sessantotto, che aveva tra i pilastri la liberazione sessuale e la critica feroce della guerra in Vietnam. Insomma, in quella temperie Biden era un reazionario duro e puro, ma “in campo democratico”, NdR)
D’altra parte, negli Usa, se ti dichiari a favore dell’interruzione di gravidanza, senza se e senza ma, col cazzo che diventi Presidente. Devi quanto meno mediare con i comitati anti-abortisti. Lobby potentissima, che fa sentire il suo peso ad ogni elezione.
E quell’essere conservatore in tema di esercito, significava che, tra le fila delle Forze Armate americane, non voleva né donne né omosessuali. Per non dire dell’essenziale ruolo guerrafondaio che Biden attribuisce a quello stesso Esercito. Che, in ossequio alla democrazia a Stelle e Strisce, fa stragi di popoli e di individui in giro per il mondo. Popoli ed individui – soprattutto bambini, donne e vecchi – per i quali i sinistrati globali si strappano le vesti e i capelli, un giorno sì e l’altro pure, sui social!
Comunque, la sua storia politica al Senato pare improntata al moderatismo più prudente. Che, tradotto per chi si dichiara “di sinistra” – categoria oramai inconsistente, postmodernista e aleatoria almeno quanto un film di Sorrentino – significa che Biden è un fottuto reazionario.
Si oppone al busing, la pratica che cercava di favorire l’integrazione razziale attraverso il trasporto degli studenti in scuole al di fuori delle aree di residenza. Vota per il “Defense of Marriage Act”, che proibiva il riconoscimento federale per le coppie dello stesso sesso. Sponsorizza una legge che tutela gli interessi di banche e istituti di credito in tema di bancarotta (duramente contestata dalle associazioni dei consumatori). Gestisce il passaggio dell’infausto e criticatissimo “Comprehensive Crime Control Act”, la legge responsabile dell’incarcerazione di migliaia e migliaia di giovani, soprattutto afro-americani, per reati minori.
La sua vera passione è però la politica estera. Fa parte per anni della Commissioni Esteri del Senato, dove si occupa di controllo degli armamenti, di Nato, di tessere relazioni diplomatiche con gli alleati.
È a favore dell’intervento militare nella ex-Yugoslavia. Vota per la guerra in Afghanistan del 2001, affermando che “tutto ciò di cui c’è bisogno, dobbiamo farlo”.
Si dà un gran da fare per definire Saddam Hussein una minaccia alla sicurezza nazionale USA e nel 2002 appoggia senza esitazioni l’invasione dell’Iraq.
Fa anche parte, per anni, nella Commissione Giustizia del Senato. È lui a gestire in modo brusco e spiacevole la testimonianza di Anita Hill, la donna che accusa il giudice della Corte Suprema Clarence Thomas di condotta inappropriata. Anche per quell’episodio, segnato da un non troppo mascherato maschilismo, Biden in seguito deve chiedere scusa.
Perciò, esultate, esultate pure. E continuate pure a fare cervellotici distinguo. La verità, cari compagni, è che continuiamo a crearci vili alibi per il nostro immobilismo. Per la nostra inettitudine e pigrizia intellettuale! E allora, cosa c’è di meglio che urlare:
W Joe Roubinett Biden. Il cesso, in fondo a destra, della democrazia!
Vincenzo Morvillo
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