Recentemente l’ex Presidente del Consiglio Mario Monti, fresco della nomina a Presidente della Commissione Europea per la Salute e lo Sviluppo Sostenibile dell’OMS, è intervenuto in una trasmissione televisiva paragonando
i negazionisti della pandemia da Covid-19 e del virus Sars-CoV-2 a chi
si è opposto alle sue politiche restrittive basate sui tagli alla spesa
pubblica, tra il 2011 e il 2012. Chi oggi nega il virus sarebbe
paragonabile, nelle parole di Monti, a chi ieri osava mettere in
discussione l’ineluttabilità e la necessità delle misure di austerità
lacrime e sangue che il suo governo impose all’Italia tra 2011 e 2013.
Con la sua lezioncina, il Senatore a vita Monti tenta di far passare impostazioni economiche alternative al mainstream
come scientificamente infondate, esattamente come quelle di coloro che
mettono in discussione l’esistenza del virus. Sia chiaro: chi nega
l’esistenza del Sars-CoV-2 o ne inscrive la nascita nella cornice di un
complotto mondiale non ha alcuna credibilità. Il tentativo di accomunare
questi deliri cospirazionisti e una critica, basata sull’evidenza dei
fatti, delle politiche di austerità è una mossa tanto disperata quanto
meschina. Una mossa che rivela tutta la debolezza teorica che sta dietro
un certo modello politico ed economico, fittiziamente e deliberatamente
ammantato di scientificità. Vediamo per quali ragioni questa
similitudine è del tutto infondata e in che modo essa serva, ancora una
volta, a coprire le responsabilità di chi, in anni recenti, in ossequio
al mantra dell’austerità espansiva e con l’obiettivo di ridurre le
rivendicazioni salariali, ha contribuito allo sfacelo dello stato
sociale in Italia.
Una delle tendenze più durature,
nell’ambito del liberismo, è quella che dipinge la politica economica
come determinata da regole “naturali” e immutabili gestite da tecnici apolitici. Nelle parole di Margaret Thatcher, “There is no alternative”. Di qui l’idea, tanto sbandierata da Draghi, del “pilota automatico”:
le scelte politico-economiche non dipendono dalla politica e dalle
scelte fatte dai cittadini tramite le elezioni, ma, al contrario,
qualunque governo deve attenersi inevitabilmente alle stesse scelte
economiche perché, per l’appunto, semplicemente non ha scelta. Nella
narrazione dominante, infatti, non c’è spazio per scelte di politica
economica espansiva: c’è un tasso di disoccupazione, determinato dai
“parametri profondi” dell’economia, che non può essere ridotto con un
maggior ricorso al debito pubblico. La conseguenza, ci dice la teoria mainstream,
sarebbe soltanto un aumento dell’inflazione. E come si fa a cambiare i
parametri che influiscono sul tasso di disoccupazione? C’è una ricetta
anche per questo: ridurre il potere dei sindacati, le tutele dal
licenziamento, aumentare il ricorso ai contratti a termine, aumentare
l’età pensionabile.
Tutte queste scelte, guarda caso,
vanno nella stessa direzione: contro i lavoratori. Non si tratta, però,
di un infame destino dettato da leggi deterministiche. Si tratta della
volontà di far prevalere quella parte di teoria economica che favorisce
sistematicamente sempre gli stessi, sempre i padroni. Le scelte
politiche, checché ne dicano i profeti dell’austerità, non sono affatto
asettiche e neutrali. In particolare, quelle di politica economica (ma
anche di legislazione sociale e del lavoro) hanno sempre delle
conseguenze sui rapporti di forza tra i lavoratori, da un lato, e il
capitale, dall’altro. Le scelte fatte negli ultimi decenni, ispirate
alla teoria economica dominante, che prescrive di tagliare la spesa
pubblica, liberalizzare il mercato del lavoro, mettere al primo posto il
controllo dell’inflazione a scapito del perseguimento della piena
occupazione, rendere le banche centrali indipendenti dai governi,
spingere agli estremi la libertà di movimento dei capitali, vanno tutte
nella medesima direzione: avvantaggiare il capitale a danno dei
lavoratori. È questo l’approdo cui tende la rotta, scellerata dal punto
di vista di chi ha a cuore i destini dei lavoratori, del “pilota
automatico”. Ed è questo, anche qui non a caso, il quadro teorico di
riferimento per i trattati istitutivi dell’Unione Europea e della Banca
Centrale Europea.
È dunque chiaro cosa Monti vuole
nascondere: gli effetti delle politiche del suo governo e il carattere
retorico e truffaldino delle teorie su cui queste erano basate.
Decisioni sbandierate come inevitabili per la loro aderenza al retto
pensare scientifico, ma che in realtà avevano il solo obiettivo di
ricondurre l’Italia nell’asfittico recinto dell’austerità e della difesa dei profitti.
Per fare un esempio, il governo Monti nel 2011 previde una
flessione del 0,4% del PIL nel 2012 dovuta alla sua manovra, mentre, in
realtà, l’anno successivo la caduta del PIL fu del 2,6%. Un crollo sei
volte più pesante, che ha comportato sacrifici tremendi per i lavoratori
italiani, così come la riforma delle pensioni nota come “riforma Fornero”.
Gli effetti negativi di quelle politiche hanno continuato e continuano a
dare i loro frutti amari per vari anni. Ma non si pensi a un errore di
previsione. L’austerità è una scelta politica deliberata che distrugge i
sistemi economici e le vite delle persone. Di fronte all’ormai
conclamata evidenza di queste scelte politiche, Monti prova a rimuovere
sin da subito la possibilità che le azioni del suo governo siano
sottoposte a scrutinio critico. Ecco quindi l’etichetta infamante, la
scomunica, per schermare le sue nefandezze dal giudizio di chi le ha
subite.
C’è poi un elemento particolarmente odioso nella vicenda: i tagli alla sanità perpetrati dal governo Monti, insieme a quelli dei governi successivi, sono proprio la causa della mancanza di terapie intensive e medici che oggi affligge il nostro Paese. Soltanto con il decreto-legge 95/2012, quello della “spending review” (denominato ufficialmente, con apprezzabile humor nero, “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini“),
il governo Monti decise un taglio di 6,8 miliardi al finanziamento del
Servizio sanitario nazionale per gli anni dal 2012 al 2015. Certo, in
buona compagnia. Prendendo in considerazione la differenza tra il
livello di spesa sanitaria (al netto degli investimenti) del 2009 e
quello del 2018, siamo in presenza di un taglio di circa 26 miliardi
(-12%), che si traduce in termini pro-capite in un taglio di quasi 400
euro. Se si considerano anche gli investimenti, l’entità dell’intervento
pubblico nel settore sanitario è caduta dal 2008 del 13%, da 136
miliardi a 118 miliardi annui. Aver tagliato la sanità pubblica ha
comportato problemi alla salute e alla qualità della vita dei cittadini
italiani, anche in periodi di ordinaria amministrazione. Di fronte alla
situazione emergenziale della pandemia, poi, la situazione, già
critica, è diventata disastrosa. L’imprevedibilità della pandemia non
può assolvere i protagonisti dei tagli: mettere in ginocchio lo stato
sociale, e in particolare la sanità pubblica, ha effetti tremendi per la
popolazione e questi effetti, amplificati nei momenti di crisi, si
sentono anche in assenza di una pandemia. Il distanziamento sociale a
cui oggi siamo obbligati è legato a doppio filo con la carenza di
servizi adeguati nella sanità pubblica e questo dipende in gran parte
dai tagli effettuati negli anni scorsi.
Criticare dunque le politiche del
governo Monti è naturale per ogni cittadino colpito direttamente o
indirettamente dalla pandemia, impoverito dall’austerità, svantaggiato
da un peggioramento della qualità della vita. Così come è naturale
criticare le ricette economiche che hanno portato a quelle scelte,
asservite al capitale e allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e
dell’uomo sulla natura. L’abbattimento di questo sistema di sfruttamento
passa anche dalla critica feroce delle teorie economiche che ne reggono
l’impalcatura ideologica. Per questo si vuole evitare ogni critica e
ogni possibile dibattito su di esse, perché queste politiche sono
teorizzate e praticate scientemente per perpetrare lo sfruttamento nel
sistema capitalistico e farlo accettare alle masse di lavoratori come se
fosse inevitabile.
Monti, che ha inferto senza pietà
profondi tagli nel settore della sanità pubblica, prova, con questa sua
uscita, a prendere due piccioni con una fava: ammiccando a quella
visione della pandemia per cui i morti sono causati dai negazionisti, e
non dall’inadeguatezza del sistema sanitario che lui stesso ha
contribuito a smontare, prova addirittura a far passare l’idea che la
stessa fiducia che oggi dobbiamo riporre negli scienziati – che ci
chiedono il sacrificio del distanziamento sociale, del coprifuoco, etc. –
dovrebbe essere accordata ai sacerdoti dell’austerità, che ci chiedono
il sacrificio della precarietà, della disoccupazione, dei tagli alla
spesa sociale. Occorre, invece, ribadire, e con decisione, che i
lavoratori non hanno alcuna intenzione di abboccare a questa esca
retorica. Con tutte le nostre forze, continueremo a opporci al destino
di precarietà e marginalità che non le stelle, né la scienza, hanno
approntato per noi, ma che è stato progettato e voluto per accrescere la
forza del capitale.
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